Rivista Anarchica Online
Reds
di Mario Castellani
"Reds" (Rossi) si presenta come uno dei films più ambiziosi girati negli
ultimi anni in America. Tre
degli Oscar per il 1981 sono andati infatti a questo film. Un film che vuole essere il miglior affresco della vita
e delle esperienze, tradotte nel linguaggio
cinematografico americano, della sinistra statunitense del secondo decennio del secolo; il tutto visto
attraverso la figura di John Reed, il giornalista americano che intorno al 1915, dopo aver vissuto e
descritto la rivoluzione messicana (ma questo avvenimento nel film non appare), fu uno degli
esponenti più accesi del movimento sindacale e d'opinione d'oltre oceano, dopo aver osteggiato
l'entrata in guerra, raggiunta la Russia assisté e partecipò alla rivoluzione d'ottobre, cercando in
seguito di costruire, in patria, un Partito Comunista d'America. Morì di tifo a Mosca nel 1920 a soli
trentatrè anni, dove venne sepolto, unico americano, tra le mura del Cremlino. Nel film tutto ha inizio
con l'incontro di John Reed con Louise Bryant (Diana Keaton), già moglie di
un dentista che lascia per inseguire Reed e la possibilità di un affermazione giornalistica nella New
York. In questa prima parte, senz'altro la più corposa e convincente, la provincia americana e il
Greenwich Village di New York fanno da supporto alla descrizione delle tensioni, delle lotte del
movimento operaio (IWW) e le repressioni da esso subite, nonché i dibattiti e la vita, anche privata,
degli intellettuali e dei militanti della sinistra radicale, fra cui emerge, quasi come un fantasma, la
figura di Emma Goldman (Maureen Stapleton, Oscar quale miglior attrice non protagonista).
Descritta nel film, in cui appare ogni tanto, quasi per sottolineare il carattere radicale della sinistra,
in maniera del tutto superficiale, senza peraltro che ci sia data la possibilità di capire con chiarezza
la posizione politica della stessa. Assistiamo così a questo quasi mitico affresco d'epoca, interrotto
da varie testimonianze di
"sopravvissuti" di quegli anni, buttati sullo schermo a testimoniare in modo a volte contraddittorio
(ma tipicamente americano) i caratteri dei personaggi (quasi che questo più che un film sia un
processo), ma che risultano alla fine inutili e dannose alla fluidità del film appesantendone e
interrompendone la visione. Affresco all'interno del quale i momenti d'amore e di passione prendono il
sopravvento sulla
descrizione sociale. Il regista (e protagonista) Warren Beatty si dilunga a descrivere i sentimenti e i
rapporti più personali tra John Reed e Louise Bryant, la quale abbandona John per il
commediografo Eugene O'Neil (Jack Nicholson), per poi ricongiungersi con Reed; nessuna
immagine invece per i molti "amori" che Reed ebbe, unico dato le molte partenze, famosa diviene la
frase "C'è il taxi che aspetta", tanto che potrebbe essere il sottotitolo del film. Lo scoppio della guerra
vede John e Louise divisi come cronisti in Europa. Si riuniscono per andare
in Russia, dove sembra che le sorti dell'umanità saranno decise. E qui comincia la parte più
dolente
del film. E' infatti nella descrizione del viaggio e nella permanenza in Russia che si delinea
pesantemente il modello a cui Beatty si è rifatto: "Il Dottor Zivago". Sullo sfondo della Russia del
1917, infatti, si accentuano i toni drammatici e melensi del grande amore tra John e Louise, quasi
che la Rivoluzione d'Ottobre (e tutta la vita di Reed) non sia altro che un pretesto per rappresentare
l'ennesima storia d'amore confezionata ad Hollywood. Dopo aver vissuto la grande, esaltante
esperienza della presa del Palazzo d'Inverno, dopo aver fatto l'amore con le note dell'Internazionale,
i nostri eroi tornano in patria a propagandare ciò che hanno vissuto. Reed partecipa attivamente alla
vita politica del partito socialista d'America fino alla scissione di
questo ed al tentativo di costruire un Partito Comunista d'America, che porta Reed ad un secondo
viaggio nella Russia accerchiata, per il riconoscimento dello stesso; e questo attivismo politico non
potrà portare che ad un deterioramento dei rapporti sentimentali con Louise (ennesimo spunto per
dimostrarci che il privato e l'amore sono di gran lunga più importanti del politico). Reed a Mosca si
trova ben presto prigioniero dei disegni propagandistici di Zinoviev mentre il suo
cuore è lontano (lui, più che alla rivoluzione, pensa a Louise). Particolarmente confuso ed inutile
è
qui l'episodio finlandese, che vede il nostro Reed dopo una fuga dalla Russia senza Amore,
prigioniero delle guardie bianche in Finlandia e quindi rilasciato grazie all'intervento di Lenin che lo
scambia con due professori. E quindi il suo rientro a Mosca, più come prigioniero che come
partecipante alla Rivoluzione, dove tra un telegramma e l'altro nel tentativo di rintracciare la sua
amata (che nel frattempo lo sta raggiungendo in Russia) incontra la cara Emma Goldman a cui
Beatty, sia pur a denti stretti, fa dire la grande verità storica e che cioè nella Russia rivoluzionaria
non c'è libertà. Reed parte quindi per propagandare la rivoluzione in Oriente, mentre Louise
arrivata a Mosca si
incontra con la Goldman da cui viene rassicurata sulla salute e sull'amore di John. Intanto sul treno
della propaganda il nostro eroe si accorge di essere uno strumento nelle mani della burocrazia, cerca
di ribellarsi ma di fronte al nemico (il treno viene attaccato) ogni divergenza scompare. Il treno
rientra a Mosca carico di feriti e di eroi, ad attendere John c'è Louise. Un abbraccio strappalacrime,
e dopo alcuni giorni Reed ricoverato in ospedale muore di tifo in una descrizione che sfiora i toni
più alti del melodramma. Che dire a questo punto se non che, se amate i drammoni tipo "Via col
vento", questo è un film per
voi, costruito bene secondo i canoni classici di Hollywood (il film è costato più di 40 miliardi
di
lire) con una buona (anche se non eccellente) fotografia dell'italiano Vittorio Storaro (Oscar per la
fotografia). Se invece vi aspettate un film sulla vita reale di John Reed e della sinistra americana, se
vi aspettate un film di contenuti, lasciate perdere, risparmiate i soldi. Questo film, da buon film
hollywoodiano, mischia le carte in un gioco d'azzardo, in cui lo spettatore è sempre perdente.
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