Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 13 nr. 107
febbraio 1983


Rivista Anarchica Online

BARCELLONA '83
di Paolo Finzi

Dall'8 al 15 gennaio la Settimana Culturale Internazionale, con i suoi dibattiti, conferenze, proiezioni, mostra storica, ecc. Dal 12 al 16 gennaio il 60 congresso della Confederación Nacional del Trabajo, con le sue sedute-fiume, le interviste ai delegati, gli scambi d'opinione con le altre delegazioni straniere, il tentativo di capire la realtà dell'anarcosindacalismo spagnolo negli anni '80. Per nove giorni, i due compagni della nostra redazione presenti a Barcellona hanno avuto di che riempire il tempo. In queste pagine pubblichiamo un resoconto delle iniziative culturali e del congresso, nonché nove delle interviste che hanno fatto ai margini del congresso. Chiude il servizio la cronaca di un viaggio fatto da un anarchico italiano, volontario in Spagna nel '36, nei luoghi dove combattè la colonna Ascaso quasi mezzo secolo fa.

Il «Salon dos actos» dell'AISS si affaccia sulla centrale via Layetana, via Durruti mi corregge un vecchio compagno ricordando i cambiamenti della toponomastica durante la rivoluzione del '36. E' qui che si tengono le conferenze-dibattito della Settimana Culturale Internazionale: avrebbero dovuto tenersi in una sala dell'Università molto più grande e adatta a contenere le molte centinaia di partecipanti, ma il rettore - che pure l'ha concessa per iniziative molto meno significative (e affollate) - ne ha negato l'uso.
Sabato 8 gennaio, alle 12, la prima conferenza: «I movimenti marginali». L'orario è decisamente curioso per noi italiani, il timore è che non ci sia quasi nessuno. Invece si inizia con 200 persone in sala e il loro numero aumenta. Dopo le relazioni di Santi Vilanova (ecologista catalano che si è presentato candidato nelle liste della Sinistra Catalana), di Antonio Lopez Campillo (anarchico spagnolo esule a Parigi, fisico del Centro nazionale per la ricerca scientifica, che affronta la questione del nucleare) e del sottoscritto (sulla situazione sociale italiana nell'ultimo quindicennio), si apre il dibattito. Non ci sono pause, silenzi imbarazzati, inviti a parlare, come capita spesso qui da noi. Tuttaltro. Si iscrivono a parlare decine di persone, giovani e vecchi, spagnoli e stranieri, uomini e donne: è impressionante vedere quanto la gente partecipi. Si tirano le 4 e solo allora la sala comincia a sfollarsi. Non c'è nemmeno il tempo di recarsi a El Prat de Llobregat, qualche chilometro fuori della città dove si trova il supermercato Carrefour. Qui la locale sezione sindacale della CNT ha indetto una manifestazione di protesta contro l'atteggiamento padronale, nel corso della quale - lo apprenderemo all'indomani - la polizia arresta 5 compagni (e altri 3 vengono fermati di notte mentre affiggono in quartiere manifesti di protesta per gli arresti). La sera con alcuni compagni/e ci si ritrova alla libreria «Los artales», gestita da un compagno: è una libreria antiquaria, ma in vetrina c'è l'ultimo libro di Abel Paz, sulla storia della CNT dal '39 al '52. Abel è lì e si parla un po' del suo lavoro di storico: la sua biografia di Durruti è già stata tradotta in 8 lingue, ora sta lavorando alla prosecuzione della storia della CNT sempre nell'epoca franchista, tra esilio, clandestinità, lotta, speranze e dissidi.
Domenica 9, alle 12 il salone è già stracolmo di gente: da Parigi è arrivato Fernando Arrabal, 40 anni crica, uno degli intellettuali spagnoli più noti, scrittore, uomo di teatro. E il teatro dovrebbe essere il tema del giorno: inevitabilmente, invece, l'atmosfera si fa infuocata dal momento che Arrabal ripete subito quanto alcuni giorni prima ha dichiarato alla stampa: che cioè gli è apparsa la vergine in una visione mistica. Arrabal si è a volte definito anarchico individualista, tolstoiano, ma il suo insistere sulla necessità di far propria la tradizione cattolica, il suo ostentato misticismo lo situano altrove. E' indiscutibilmente una prima donna, tiene testa alle bordate degli interventi: di teatro non parla quasi niente ma di teatro ne fa tanto. Il salone si riempie all'inverosimile di gente, di fumo, di eccitazione. Nonostante fischi, boati e qualche insulto da parte del pubblico, Arrabal non viene cacciato (come gli è capitato l'unica volta che è stato invitato dai comunisti): più di uno sottolinea al microfono la positività di questo atteggiamento aperto dei compagni. Poco dopo la fine della sceneggiata di Arrabal, è la volta del dibattito sulla «libertà» d'insegnamento (libertà è tra virgolette sul programma ufficiale della Settimana). Tra le relazioni, notevole quella di Carlos Peregrin Otero, spagnolo, cenetista, professore di linguistica all'Università di Los Angeles e stretto collaboratore di Noam Chomsky (che, come Bookchin, non è venuto a Barcellona nonostante fosse preannunciato). Anche questa volta, tra relazioni e dibattito, passano 4 ore.
Lunedì 10 è giornata dedicata al Nord America. Alle 12 vengono proiettati due film realizzati dai compagni del Pacifica Street Film Collective di New Y ork. Il primo («L'anarchismo negli Stati Uniti») consiste soprattutto in una raccolta di interviste sia con militanti anarchici e libertari sia con persone che vivono in modo «diverso» variamente collegandosi a certa tradizione antistatalista americana. Interessantissimi alcuni spezzoni, come quelli relativi a manifestazioni ed azioni ecologiste. Lascia sconcertati lo spazio lasciato in un film con questo titolo a personaggi vicini alle posizioni del Partito Libertario, che poco o niente ha a che fare con una concezione pur pluralista dell'anarchismo. Il secondo film (che, proiettato da alcune TV americane, è stato già visto da 2 milioni di telespettatori) ricostruisce con eccezionale precisione e vivacità la storia del movimento anarchico di lingua yiddish in America: un movimento che, costituito dalle massicce immigrazioni proletarie e sottoproletarie dall'Europa Orientale, ha scritto pagine eccezionali nella storia della lotta di classe nordamericana. Servendosi anche delle testimonianze degli ex-redattori del periodico «Freie Arbeiter Stimme» («La libera voce dei lavoratori»), che per tre quarti di secolo è stato l'organo principale di quel movimento, il film si sofferma su agitazioni sindacali, esperienze pedagogiche libertarie, ecc.
Una breve interruzione e poi è la volta di tre compagni dell'Istituto Anarchos di Montreal, che introducono il dibattito su situazione e prospettive dell'anarchismo in Nord America oggi, facendo anche il punto su realtà e progetti dell'Istituto Anarchos. Ne viene fuori un efficace panorama dell'anarchismo americano con tutte le sue originalità e caratteristiche, così diverso dalla nostra realtà europea: di qui domande di chiarimenti ed anche polemici interventi da parte di numerosi compagni spagnoli. Alcuni vecchi insistono sulla centralità del ruolo della classe operaia, Roussopoulos (che dell'Istituto Anarchos è il promotore) cerca di chiarire l'impossibilità di un simile approccio alla realtà sociale americana. E la polemica, nonostante i problemi di traduzione (nessuno degli americani mastica un po' di spagnolo e tutto deve essere sempre tradotto), si mantiene vivace.

Una mostra sulla rivoluzione
Alle ore 20, nella Casa de l'Ardiaca, poco distante dal salone dell'AISS, c'è l'inaugurazione della mostra dedicata alla presenza anarchica nella rivoluzione del '36: è organizzata congiuntamente dalla CNT e dall'assessorato catalano alla cultura. In due sale comunicanti sono esposti documenti, manifesti, tessere, volantini e altro materiale dell'epoca, scelto con intelligenza tra i fondi storici della CNT, da poco riportati in Spagna dall'Olanda dov'erano rimasti custoditi durante il franchismo. Vengono anche proiettati in continuazione filmati storici sull'epopea rivoluzionaria, ed anche un cortometraggio propagandistico sulla CNT oggi. Da segnalare il bellissimo catalogo della mostra, ricco di foto inedite del '36. All'inaugurazione della mostra parlano anche il segretario uscente José Bondia e Federica Montseny, notissima militante anarchica, oggi quasi ottantenne, che nel periodo rivoluzionario partecipò come ministro della Sanità al governo (partecipazione peraltro molto discussa in campo libertario ). All'inaugurazione non facciamo a tempo a presenziare, perché fin oltre le 9 di sera prosegue il dibattito nel salone dell'AISS sul Nord America. Facciamo una breve puntata alla mostra, poi di corsa alla Filmoteca (di questa e delle successive serate alla Filmoteca de Catalunya riferiamo in una scheda a parte).
All'indomani a mezzogiorno la stessa Montseny e Jolande Cohen (una dei tre esponenti dell'Istituto Anarchos) aprono il dibattito su «La donna nelle lotte sociali». La sala è stipata di gente, la presenza della Federica (come la chiamano un po' tutti, non solo i molti che la vanno ad abbracciare) ha fatto salire di molto l'età media dei presenti: centinaia di vecchi compagni e compagne sono sbucati fuori. La Montseny parla a lungo e con buona oratoria, ma alcune parti del suo intervento fanno drizzare i capelli non solo a noi: quando per esempio dichiara che Indira Gandhi è molto meglio della Thatcher, oppure quando ricorda di aver esortato nel '36 dei compagni, tra i quali alcuni condannati a morte, a rientrare in carcere per dimostrare così la loro gratitudine al direttore che aveva loro concesso di passare la notte a casa. Più che su questo, comunque, il dibattito si scatena sul tema del maschilismo in Spagna. Da parte delle compagne è un generale sottolineare la pratica maschilista dei compagni in genere e della CNT come organizzazione: c'è chi dice che la colpa è soprattutto delle donne stesse che non sanno imporsi a dovere, ma c'è anche la femminista che rivendica di aver abbandonato la CNT dopo averla scoperta organizzazione maschilista come le altre. Interessanti alcune testimonianze di militanti cenetiste oggi anziane sulle difficoltà incontrate nell'epoca rivoluzionaria, ma anche sulle attività svolte per contribuire nella lotta comune all'emancipazione di tutti/e dalle tare e dai tabù di un'educazione retrograda.
Alle 5 del pomeriggio è Luis Andres Edo, che di questa Settimana Culturale Internazionale è stato l'animatore instancabile e onnipresente, ad introdurre il dibattito sulla situazione carceraria. Con molti anni di galera alle spalle (e non solo in epoca franchista), parla con cognizione di causa. Lucidi gli interventi di due avvocati impegnati sul fronte anti repressivo e in particolare contro la tortura. Curiosa, in questo contesto, la presenza tra i relatori di Joacquin Rodriguez Suarez, uno dei massimi responsabili dell'ordinamento carcerario spagnolo (di tendenza progressista, in relazione all'ambiente professionale). Il quadro della repressione spagnola, com'è uscito da questa serata, non è molto dissimile da quello italiano.
All'indomani mattina, mercoledì, è previsto alle 12 un vivace dibattito tra Juan Gomez Casas (cfr. la nostra intervista in una delle pagine seguenti) per la CNT e Pablo Castellanos, leader della «corrente critica» del PSOE. Ma Castellanos non si presenta e Gomez Casas tiene da solo una conferenza. Fin dal mattino, però, noi siamo al Palazzo degli Sport, dove per le 10 è previsto l'inizio del 6° Congresso della CNT. L'entrata dei delegati (circa 800), degli invitati e degli osservatori avviene lentamente: chi non l'ha potuto fare nei giorni precedenti, deve ora presentare le proprie credenziali, ricevere l'apposito tesserino, farsi riconoscere dai compagni del servizio d'ordine all'entrata. I giorni successivi, naturalmente, tutto procederà spedito.

Inizia il congresso
Con le note di canti anarchici rivoluzionari, la lettura di comunicati,saluti e adesioni, con gli interventi dei rappresentanti di altre organizzazione anarcosindacaliste (anche se in effetti la CNT è l'unica ad avere - e a superare di molto - la consistenza minima perché l'autodefinizione di sindacato non sembri eccessiva - com'è il caso dell'italiana USI), iniziano i lavori del congresso. Ad aprirli è la relazione del segretario uscente José Bondia: è molto attesa, perché Bondia si trova al centro di vivaci polemiche per essersi espresso recentemente, e pubblicamente, a favore della partecipazione della CNT alle elezioni sindacali. E' infatti questo il problema più scottante che i delegati si troveranno ad affrontare. Al precedente 5° congresso (Madrid, dicembre '79) era stato Bondia uno dei più accesi avversari di quella frazione possibilista che aveva cercato di portare la CNT su di un terreno elettoralista, comunque inserito nel sindacalismo così come si configura anche quello degli altri sindacati. Ma oggi i tempi sono cambiati e Bondia non fa certo fatica a dimostrare il perché: da Madrid (oltre 400.000 affiliati) in poi c'è stato un calo continuo di adesioni (oggi gli affiliati sono 86.345 ma i quotizzanti sono poco più di 40.000), nell'ultimo anno non si sono aperte nuove sedi, le attività ristagnano ovunque, anche gli altri sindacati sono in crisi ma se la CNT non ne sa approfittare, occupando quegli spazi che le sono congeniali, e si chiude invece in uno sterile purismo, allora rischierà di restare del tutto emarginata dal mondo del lavoro, tradendo così il suo compito storico. Questo, in sostanza, l'intervento di Bondia. Un intervento volto soprattutto a porre i delegati, e tramite loro i sindacati che costituiscono la CNT, di fronte alle loro responsabilità, allontanando dal Comitato Nazionale (di cui appunto Bondia è il segretario uscente) la presunta responsabilità per la crisi della CNT. Un altro tema affrontato da Bondia è quello del patrimonio sindacale, sequestrato nel '39 da Franco e che ora il nuovo governo socialista si è impegnato a restituire ai legittimi proprietari di allora: tra i quali, appunto, la CNT. Bondia denuncia gli intoppi che si frappongono a questa restituzione (e si parla di somme ingenti).
Prima che inizi il dibattito, c'è una sosta di due ore per il pranzo. Nel vestibolo dello stesso Palasport è stato organizzato un servizio-mensa per un migliaio di pasti: come per gli altri aspetti tecnico-organizzativi del congresso, l'efficenza è il segno dominante. Dietro quest'efficenza, la volontà e lo sforzo organizzativo di tanti compagni, orgogliosi - mi confida uno - di esser tra l'altro riusciti ad evitare quegli eccessi di formalismo che c'erano stati al 5° congresso (divieto di fotografare, rigida separazione tra delegati e invitati/osservatori, ecc.).
La prima giornata del congresso è dedicata alla verifica delle formalità indispensabili per un corretto funzionamento dei lavori congresuali (deleghe, quotizzazioni, rappresentatività, ecc.): dovrebbero interrompere alle 9 di sera, ma superano la mezzanotte prima di aver risolti tutti gli aspetti preliminari. C'è un sindacato, quello di Terrassa, che si è rifiutato di versare la quota straordinaria pro-congresso, perché ritiene inaccettabile la disposizione che ha reso obbligatoria quella quota, visto che non si è potuto discuterla prima. Si tratta tutto sommato di pochi soldi, ma per loro la questione è di principio e non demordono. Il congresso decide di non ammetterli ai lavori. Questioni interne, dunque; più che la sostanza del dibattito, ne seguo le modalità di svolgimento. L'attenzione con cui i delegati seguono i lavori è notevolissima: su ogni questione pur secondaria che venga affrontata, sono molti, a volte alcune decine, i delegati che, dopo essersi iscritti a parlare, intervengono da uno dei due microfoni posti in sala. Il presidente di turno dell'assemblea (il «compañero della mesa», ossia «compagno del tavolo») ha un bel da fare a coordinare il dibattito (cfr., in proposito, l'accenno alla presidenza della ventisettenne Lola Hernandez nell'intervista che le abbiamo fatto): tutti possono intervenire, ma se sono fuori tema, se per esempio affrontano un argomento previsto per il punto successivo, il «compañero della mesa» lo invita a tacere e, se non smette, fa spegnere temporaneamente il suo microfono. C'è chi comprende, ma c'è anche chi si incazza, protesta, continua ad urlare anche se ormai solo i più vicini lo sentono, sopraffatta come è la sua voce da quella fortissima degli altoparlanti. L'impressione che ricavo dallo svolgersi del dibattito è notevole: ne parlo con i compagni di altre delegazioni straniere e tutti, chi più chi meno, condividono questa impressione.
Al congresso, oltre alla TV spagnola, è presente quella tedesca oltre a numerosi giornalisti. La notizia dell'apertura del 6° congresso è in prima pagina sul principale quotidiano spagnolo «El Pais». Il telegiornale catalano, che fin dall'inizio ha riferito quotidianamente su tutte le conferenze della Settimana Culturale Internazionale, dà conto anche del congresso anarcosindacalista. Nemmeno il telegiornale nazionale può tacere del tutto l'evento. Sul «fronte interno», c'è da segnalare da mercoledì 12 a sabato 15 l'uscita straordinaria quotidiana di «CNT», l'organo per così dire ufficiale del sindacato: quattro pagine agili, con il riassunto dei lavori del giorno precedente, un resoconto di tutte le iniziative culturali a margine del congresso e interviste a delegati e osservatori. Il quotidiano, oltre che naturalmente al congresso, viene venduto anche per le ramblas e in altri punti di Barcellona: se ne tirano circa 4.000 copie.

Elezioni sì elezioni no
Giovedì mattina il congresso entra nel pieno del dibattito che, a parte un'interruzione notturna di varie ore tra giovedì e venerdì, continua poi quasi ininterrotto fino alla notte avanzata tra il 15 e il 16. Su ognuno dei punti all'ordine del giorno, una commissione sempre differente propone una risoluzione, costruita sulla base dei documenti e delle prese di posizione inviate prima del congresso dai vari sindacati. Sulla relazione di ogni commissione si apre poi il dibattito e fino alla definizione del punto non si passa al punto successivo. Spesso il dibattito si fa acceso, mozioni e contromozioni, richieste di chiarimenti, votazioni, richieste di disporre della fotocopia del documento della commissione prima di esprimere il voto, e via discorrendo. Si parla di disoccupazione, nazionalismo, problemi degli emarginati, patrimonio sindacale, ecc.: ma il punto focale, quello che affiora in molti interventi prima ancora che lo si discuta formalmente, è il fatidico punto 8, che riguarda in sostanza le scelte tattiche e strategiche che la CNT vuole compiere per il prossimo futuro. In altre parole, la controversa questione della partecipazione o meno (e se sì, a quali condizioni) alle elezioni sindacali.
Al 5° congresso la CNT si era impegnata contro la partecipazione alle elezioni sindacali: i termini giuridico-politici del problema sono ancor oggi tuttaltro che chiari (si attende appunto che il governo legiferi in materia, come ha già preannunciato), si tratta cioè di vedere che cosa significheranno queste elezioni, se gli organi eletti avranno solo una funzione di rappresentanza delle diverse forze sindacali esistenti oppure se potranno/dovranno cogestire il potere (o almeno alcune scelte cruciali) in nome dei «deleganti». Questa aleatorietà delle prospettive future non favorisce i congressisti e dà adito a interpretazioni e previsioni contraddittorie. Aldilà di questa aleatorietà, comunque, i lavori congressuali confermano e in qualche misura radicalizzano l'esistenza di due differenti concezioni di fondo del sindacalismo, o meglio dell'anarcosindacalismo. So bene quanto rischioso sia lo schematizzare la richezza delle posizioni emerse nel dibattito in due sole contrapposte, ma per chiarire sinteticamente il problema non si può fare altrimenti. Da una parte c'è chi, d'accordo con le posizioni espresse dal segretario uscente Bondia, ritiene che la CNT non debba rinunciare alle possibilità concrete che le varie situazioni offrono, isterilendosi in un ruolo di pura protesta che in breve tempo la vedrà emerganita dall'interesse e dalle lotte quotidiane del mondo del lavoro. A dare in qualche modo un sostegno a questa tendenza sono giunti, poco prima di questo congresso, i risultati delle elezioni sindacali della Metropolitana di Barcellona, elezioni alle quali la CNT locale ha partecipato, sotto la spinta degli stessi lavoratori, rompendo però gli accordi del 5° congresso (e il caso della Metropolitana non è stato l'unico, anche se certamente il più clamoroso): la CNT ha ottenuto la maggioranza relativa, conquistando da sola più seggi che gli altri due sindacati «ufficiali» (UGT e CCOO) messi assieme. Uno shock di forte impatto per quanti, nella CNT, ritenevano in vario modo paralizzanti gli accordi antielettorali presi a Madrid.
Dall'altra parte ci sono quanti sottolineano innanzi tutto la natura e la scelta rivoluzionaria dell'anarcosindacalismo, il cui compito è sì quello di lottare sul terreno sindacale ma senza mai rinunciare ai principi e alla pratica dell'azione diretta. Rifiuto della delega, dunque, e coscienza dell'irrinunciabile diversità della CNT rispetto agli altri sindacati. Il pericolo di una partecipazione alle elezioni, pur con tutti i «se» ed i «ma» possibili, consiste per questi compagni in una rinuncia di fatto alla prospettiva rivoluzionaria e in un'accettazione anche se non dichiarata del sistema vigente e delle sue regole del gioco.
Troppo lungo sarebbe qui ripercorrere tutte le tappe del dibattito, che - come accennavo - ha visto esprimersi anche posizioni non direttamente assimiliabili alle due principali. Tanto più che nemmeno il congresso stesso ha saputo/potuto trovare un comune terreno di valutazione ed ha rimandato il dibattito e le conclusioni sul punto 8 ad un prossimo congresso straordinario, indicativamente previsto per fine marzo - con la speranza, tra l'altro, che nel frattempo il governo faccia sapere con precisione come intende regolamentare la vita sindacale (la CNT, è scontato, punta alla massima libertà sindacale, alla minore regolamentazione possibile). Per quanto può essere utile per comprendere il peso dei vari orientamenti, va osservato che la tendenza maggioritaria è parsa (e in alcune votazioni, risultata) quella favorevole alla partecipazione alle elezioni. Ma il dibattito è ancora del tutto aperto. E le interviste che pubblichiamo più avanti lo confermano.

Quant'è lontano il '68!
Quando c'è una conferenza nel salone dell'AISS, abbandoniamo il congresso e, attraversando mezza Barcellona, raggiungiamo via Layetana. Giovedì alle 12, al dibattito su «Nazionalismo, anarchismo, universalismo», intervengono come relatori Fernando Sabater (scrittore, saggista, professore universitario a San Sebastian, una delle figure di punta del pensiero libertario contemporaneo in Spagna), Josep Termes (professore di storia, indipendente, specialista nella storia dell'anarcosindacalismo catalano), Eduardo Colombo (psichiatra argentino esule a Parigi, redattore di «Volontà»), il citato Carlos Peregrin Otero in rappresentanza di Chomsky e - superfotografato e superintervistato - Daniel Cohn-Bendit. L'«eroe» del maggio francese abita da anni in Germania ed è impegnato nel movimento ecologista: parla in francese, con vivacità ed intelligénza, strappa risate ed applausi. Ma il '68 è lontano anni-luce e l'ex-rivoluzionario del Quartiere Latino teorizza oggi lo Stato di diritto, esalta a spada tratta il ruolo progressi sta delle chiese cristiane nell'Europa Orientale, ironizza su alcuni interventi che si richiamano alla prospettiva rivoluzionaria, alla necessità di combattere la Chiesa, ecc. La verve di Dany-il-Rosso è quella di una volta, le idee no.
I due interventi che ci entusiasmano sono quelli di Sabater (una lucida denuncia storica del ruolo del nazionalismo e della miopia di chi, a sinistra, lo fa proprio) e di Colombo, che affronta il tema scottante dell'esilio. Colombo spiega come da un punto di vista storico, psicologico e di pensiero, l'esilio possa costituire anche un punto di partenza per nuove forme di relazioni interpersonali, a-nazionali, in qualche misura prefigurazione della società futura. Ma constata come anche nel caso spagnolo oggi il peso dell'esilio gravi negativamente. Non è la solita invettiva contro chi da «fuori» vuol condizionare il movimento in Spagna (un tema, questo, affiorato anche al congresso della CNT), è invece un'analisi acuta di un fenomeno che non è ancora stato abbastanza studiato in campo libertario.
Venerdì, sempre alle 12, si discute su «L'individuo, lo stato, l'organizzazione». Ancora Peregrin Otero che legge un lungo saggio di Chomsky (che c'entra poco o niente con l'argomento: tratta infatti della politica aggressiva israeliana in Medio Oriente), poi - tra gli altri - Cornelius Castoriadis (ex-marxista critico, oggi vicino a posizioni libertarie) e René Lourau (che si esprime con grande chiarezza, strappando applausi con la sua relazione secca ed efficace). Da segnalare, nel suo abbigliamento vistosamente colorato, Agustin Garcia Calvo, poeta e scrittore, sostenitore di un filone di pensiero individualista anarchico (o perlomeno molto critico con il concetto stesso di organizzazione). Anche questa volta il dibattito, come pure il giorno precedente e in genere sempre, è vivacissimo e prolungato.
Quando poi andiamo a mangiare qualcosa in un posto lì vicino, un cameriere che nota il tesserino del congresso CNT che teniamo appuntato, ci chiede notizie sull'andamento dei lavori. Gli chiediamo se è anarchico, risponde di no, ma che «qui a Barcellona siamo tutti interessati da ciò che fanno e dicono gli anarchici». Tutti forse no, ma molta gente di sicuro sì - tante sono le domande che ci siamo sentiti rivolgere appena capivano che eravamo del congresso.
Alle 5 del pomeriggio, fuori programma, viene proiettato in video-cassetta il film tedesco «La breve estate dell'anarchia», girato una decina di anni fa sulla base (e con la stessa struttura documentaristica) del famoso libro di Hans Magnus Enzesberger dedicato alla figura di Durruti.
Sabato 15, ultimo giorno della Settimana Culturale Internazionale, è dedicato all'America Latina. Prima di recarci all'AISS, però, facciamo un salto alla sede dell'Ateneo Libertario di Poble Sec, quello citato da Edo sullo scorso numero di «A» per la sua vivace campagna antielettorale. Parliamo un po' con alcuni compagni e compagne, dovrebbe iniziare una riunione in vista delle Giornate Libertarie Internazionali, poi fissate per inizio giugno a Barcellona. Ma si tarda a iniziare e torniamo all'AISS. Qui alle 12 viene proiettato il film «La Patagonia ribelle»: è lo stesso autore, l'argentino Osvaldo Bayer (che con lo stesso titolo ha pubblicato un libro, oltre a quello su Severino di Giovanni tradotto anche in italiano) a presentarlo, narrandone le vicissitudini. Fu realizzato in Argentina una decina di anni fa da una casa cinematografica commerciale, le riprese durarono vari mesi, nel corso dei quali il clima politico peggiorò. Ne fu vietata la proiezione, poi Peron la autorizzò per qualche mese, in polemica con le alte gerarchie militari che lo volevano bandito per il suo antimilitarismo. Fu quindi proiettato con grande successo di pubblico, quindi definitivamente tolto dalla circolazione: la casa produttrice fu costretta a richiamare anche le copie cedute all'estero, al punto che pare ne sia rimasta una sola in dotazione alla TV tedesca. Questa ha dato a Bayer una videocassetta della sua copia, naturalmente doppiata in tedesco: e Bayer, per permetterne la comprensione al pubblico di Barcellona, l'ha sommariamente ridoppiata in castigliano. Morale: nel film i protagonisti sono gli immigrati, perlopiù spagnoli, nella Patagonia di inizio secolo che originariamente parlavano nei loro dialetti (asturiano, castigliano, ecc.), ma nel film parlano in tedesco e a Barcellona abbiamo sentito la voce di Bayer riassumere in spagnolo i loro discorsi in tedesco. A parte questi dettagli tecnici (che pure hanno il loro significato), c'è da dire che questo film, molto ben fatto, costituisce una validissima testimonianza sulle lotte sociali, la repressione poliziesco-militare e soprattutto l'intensa attività di agitazione svolta dagli anarchici in quelle terre sperdute del Cono Sud.
Alle 5 di sera si apre il dibattito sulla repressione attuale in quelle regioni. Introducono in sette, tra cui Colombo e due dei protagonisti dell'esperienza della Comunidad del Sur, a Montevideo (Uruguay), dall'inizio degli anni '50 fino a una decina di anni fa - si chiamano Anibal e Rachel e come gli altri partecipanti a quella storica esperienza di vita comunitaria sono sparsi un po' in tutto il mondo. Iniziato alle 5 il dibattito prosegue fino alle 10 di sera, vivacissimo.
Alle 10, in una saletta del Palasport, partecipiamo ad una riunione informale di compagni/e impegnati nelle redazioni di una quindicina di periodici anarchici, libertari, anarcosindacalisti. La riunione è promossa dai compagni di «Umanità Nova»; tra gli altri vi sono un compagno di «Red & Black» (Australia) e di «O inimigo do rei» (Brasile). Una riunione intercontinentale, si potrebbe dire. E' una prima presa di contatto, per molti: ci si lascia con l'auspicio di più stretti contatti, maggiore collaborazione, più tempestiva circolazione delle notizie e delle analisi.

E infine, il meeting
All'indomani mattina, alle 11, è fissato l'inizio del meeting di chiusura. Al banchetto dei libri, che nei giorni precedenti ha fatto meno affari del previsto (pochi libri e giornali, in compenso erano andati a ruba accendini, magliette, borse a tracolla, portachiavi, ecc., tutti con scritte e motti della CNT), oggi sono sommersi di richieste. Si vendono centinaia di libri, migliaia di copie dei giornali, soprattutto della «Soli» che oggi sostituisce «CNT» e viene strillonata con eccezionale insistenza e volume di voce da alcune compagne di Barcellona. In poco tempo anche noi vendiamo un centinaio di copie di «A»: nel corso della nostra permanenza a Barcellona ne abbiamo vendute quasi 200 in tutto. Ne avessimo avute di più...
Il meeting inizia con quasi due ore di ritardo, «cioè grosso modo in orario» mi spiega uno spagnolo. Ci sono almeno 4.000 persone, con una discreta presenza di vecchi compagni. «Eh, a questo tipo di meeting i giovani non ci vogliono venire» mi dice un vecchietto, che poi vedrò asciugarsi gli occhi durante il comizio della Federica. «Non è solo un problema della CNT, anche ai meeting dei socialisti e dei comunisti oggi di giovani se ne vedono pochi - aggiunge un altro compagno -. Anzi, a onor del vero, qui di gente in generale e anche di giovani ce n'è ben di più che dagli altri». Certo, nemmeno 6 anni fa, nell'ambito delle Giornate Libertarie Internazionali gli oratori del comizio anarchico avevano parlato ad una folla di 200.000 persone. «Altri tempi» commenta il mio interlocutore.
Il primo a prender la parola è José Luis Garcia Rua (cfr. la nostra intervista con lui, nelle pagine seguenti). Poi è la volta del ventottenne Antonio Perez Canales, da poche ore eletto segretario della CNT. Garcia Rua difende la scelta antielettoralista del 5° congresso e mette in guardia dai rischi del possibilismo e dei cedimenti al marxismo. Perez gli risponde apertamente, difendendo la piena «legittimità» anarcosindacalista della partecipazione alle elezioni. Il tutto, naturalmente, nell'ambito di un generale appello all'unità della CNT e di una riaffermazione del suo ruolo insostitubile nel panorama sindacale spagnolo. Chiude il meeting la Federica, con un discorso a braccio della durata di un'ora, che tocca un po' tutti i grandi temi storici dell'anarcosindacalismo iberico, con frequenti puntate autobiografiche. Verso le tre, al canto di «A las barricadas», il meeting finisce. E' anche la chiusura formale di questo 6° congresso della CNT. In poco tempo i compagni smontano le impalcature, puliscono la sala, smontano la libreria, lasciano tutto in ordine.
Quando si comincia a pranzare in un posto caratteristico sul molo di Barcellona, sono quasi le sei di sera e il sole, ormai nascosto dal Montjuich, lancia i suoi ultimi raggi indiretti. C'è il compagno australiano, ci sono alcuni compagni del sindacato delle artes graficas di Barcellona, ci sono quelli dell'Istituto Anarchos. Cerco di raccogliere qualche ultima informazione, qualche impressione sul meeting e in generale sulle ultime giornate di conferenze e di congresso. Accenno all'intenzione di fare un'altra intervista. Ma ormai c'è solo voglia di rilassarsi un po'. Perfino il seriosissimo Roussopoulos si lascia andare ad un canto greco.


IN FILMOTECA

«E' facile criticare adesso, stando comodamente seduti in poltrona». «D'accordo, ma certe cose sono eccessive, da qualsiasi punto di vista le consideri». «Ma ti rendi conto che quelli erano film di propaganda, fatti per sostenere lo sforzo sovrumano di resistere ad un nemico molto più forte?». «Sì, ma questo che c'entra con il culto della personalità di Durruti o con l'esaltazione della guerra che abbiamo visto all'inizio di quel film?». Intorno alla mezzanotte, all'uscita della Filmoteca de Catalunya, il pubblico perlopiù giovane (forse anche per l'ora tarda) discute animatamente sui documentari appena visti. Si tratta di filmati su aspetti della lotta antifascista e - in piccola parte - della rivoluzione spagnola del '36, proiettati per la prima volta in Spagna: provengono infatti dagli Archivi storici della CNT, da poco giunti (in parte) a Madrid provenienti da Amsterdam, dove per un quarantennio e più sono stati custoditi dall'Archivio Internazionale di Storia Sociale. Alcuni titoli: Gli aquilotti della FAI; La colonna di ferro; Aragona lavora e lotta; Il funerale di Durruti; ecc.
Per chi ha già visto «Spagna '36: un popolo in armi» (il documentario risistemato e tradotto a metà degli anni '70 dal Comitato Spagna Libertaria e fatto girare un po' in tutta Italia), non ci sono grosse «novità». Chi poi, come noi, di quel documentario aveva visto l'originale spagnolo, prima della risistemazione operata dai compagni del CSL, ritrova pari pari la stessa retorica, la stessa impostazione trionfalistica e a tratti militarista tout court, insomma quei «difetti» che allo spettatore d'oggi saltano subito all'occhio. Non sono «difetti» di carattere tecnico, ma di ordine politico, ideologico, che fanno pensare non poco sulla difficoltà di riuscire ad essere davvero «diversi» dall'esistente, a sottrarsi almeno in parte ai condizionamenti della cultura dominante (che è tale proprio perché permea di sé anche i suoi oppositori).
I documentari che abbiamo visto, con le immagini di scontri armati e dei combattenti anarchici diretti a uno dei tanti fronti su mezzi talmente scassati da far impressione, con la battaglia di Huesca cui presero parte (e caddero) anche anarchici italiani accorsi per primi al fianco del proletariato catalano e spagnolo, con l'impressionante manifestazione di popolo per i funerali di Durruti ma anche la retorica frontista causa e conseguenza di tragiche scelte, questi documentari - dicevamo - ci hanno fatto rivivere con le loro lancinanti contraddizioni i momenti più esaltanti ed alcuni aspetti negativi dell'epopea rivoluzionaria spagnola del '36. Le discussioni fuori dalla filmoteca sono la prova migliore di quanto l'esperienza storica possa fornire materiale utilissimo perché, a partire dall'analisi del passato, si cerchi di trarne insegnamenti per l'oggi ed il domani.
Da segnalare, accanto agli interventi chiarificatori dei registi Nunez e Artero (che hanno presentato le diverse serate di proiezione), la significativa testimonianza di un cenetista oggi molto anziano, che allora aveva contribuito alla realizzazione di molti di quei documentari, nell'ambito del Sindacato dello spettacolo della CNT.