Rivista Anarchica Online
Anarchismo e crisi mondiale
di John Clark
C'è il problema demografico, con le diverse possibilità di densità e di crescita della popolazione.
C'è poi il problema della scarsità delle risorse e quello della distribuzione. Ed anche quello
connesso con la difesa delle «conquiste» rivoluzionarie. Con questi ed altri problemi, fondamentali
per chi si ponga nell'ottica di trasformare in senso libertario la società, cerca di fare i conti
l'anarchico americano John Clark nel saggio che pubblichiamo in queste pagine. Nessuna analisi
approfondita né tanto meno risultati definitivi bisogna cercare in queste rapide note: notevole è
comunque, a nostro avviso, lo sforzo di chiarificazione dei problemi nelle loro linee generali.
Questo saggio è originariamente apparso sull'ultimo numero («estate 1982») del periodico
anarchico canadese Open Road. La traduzione è di Salvo Vaccaro. Dello stesso autore, docente di filosofia all'università di New Orleans, abbiamo già pubblicato tre
saggi: «Anarchismo ottanta: dalla classe alla cultura» («A» 96, novembre 1981), «Bakunin-Marx:
alle radici di un contrasto insanabile» («A» 102, giugno/luglio 1982), «Marxismo e tecnologia»
(«A» 105, novembre 1982). Un altro saggio («Che cos'è l'anarchismo?») è apparso sul n. 2/1982
di «Volontà».
Siamo ad un punto della storia in cui il bisogno di una nuova visione politica sta emergendo
prepotentemente. Nell'Occidente industrializzato riscontriamo un crescente malcontento per le
posizioni politiche tradizionali e una diffusa sfiducia nella democrazia formale. C'è stato un
drastico abbandono dei partiti politici e un astensionismo elettorale su scala massiccia. All'Est
riscontriamo un crescente movimento di dissenso che sfida l'ortodossia marxista spesso in modo
sotterraneo, attraverso una diminuzione del consenso e della cooperazione, talvolta,
drammaticamente, con atti espliciti di rivolta. E sia in Occidente che in Oriente riscontriamo, in
molti paesi e a vari livelli, un'opposizione culturale che, seppur vagamente, rivela profeticamente il
bisogno di una visione unificante. I sistemi mondiali dominanti non ci offrono più una promettente prospettiva di risoluzione delle
grandi crisi sociali ed ecologiche che si presentano oggi all'umanità. Questi sistemi, con valori quali
l'industrializzazione, l'alta tecnologia, la centralizzazione, l'urbanizzazione e lo stato, sono stati
strumenti della formazione dell'atomizzazione sociale e degli squilibri ecologici che sono all'origine
di tali crisi. Ciò che necessita è una visione alternativa della società, del futuro e insieme della
realtà stessa: una visione che si emancipi dalle ideologie tradizionali su tutti questi temi
fondamentali. Tale visione è l'anarchismo. Nel discutere l'approccio anarchico all'attuale crisi mondiale, metterò a fuoco alcune delle obiezioni
che oppositori dell'anarchismo hanno avanzato all'ipotesi che esso possa costituire una strategia
globale praticabile. In particolare, mi confronterò con gli appunti mossi da Alan Wertheimer nel
suo saggio «Irriverenza del Diritto e il caso dell'Anarchia» (in «Anarchism: Nomos XIX», New
York University, 1978) nel quale Wertheimer afferma che l'anarchismo è incapace di affrontare con
successo 4 attuali condizioni sociali mondiali. Esse sono: 1) «La popolazione della terra è (forse)
troppo elevata, ma sta crescendo ad un tasso rapido senza nessuna immediata prospettiva di una
seria riduzione»; 2) «nella maggior parte del mondo, i bisogni primari dell'uomo non sono
soddisfatti»; 3) «le risorse umane e naturali del mondo non sono equamente distribuite per il
globo»; e infine 4) «l'attuale livello di sussistenza è basato su un alto grado di interdipendenza
economica e sociale tra le diverse nazioni del mondo ed anche tra le regioni stesse». Inoltre,
Wertheimer afferma che l'anarchismo è incapace di far fronte ai conflitti tra interesse individuale e
bisogni sociali, riferendosi in particolare al problema della difesa. Considerando la risposta anarchica a questi problemi, è importante comprendere il significato del
termine «anarchismo». Ciò che qui intendo con anarchismo, è una tradizione di teoria e prassi che
si è sviluppata ed evoluta all'interno di un movimento storico attraverso un secolo e mezzo. Questo
movimento ha attualmente alcuni principi fondamentali: rigetto di tutte le forme di dominio;
accettazione di forme di interazione umane basate sulla cooperazione, l'autonomia e il rispetto della
persona, ed una visione ecologica della società, della natura e della realtà in genere. In pratica questi principi conducono gli anarchici a proporre alcune politiche quali la sostituzione
degli stati-nazione con federazioni di associazioni comunitarie e lavorative; la sostituzione della
corporazione capitalista e della proprietà di stato con l'autogestione della produzione da parte dei
lavoratori; la sostituzione della famiglia patriarcale-autoritaria con stili di vita comunitari e
libertari; la sostituzione delle megalopoli e delle forme di convivenza popolare centralizzate; e la
sostituzione dell'alta tecnologia centralizzata con tecnologie alternative su scala più umana che non
siano distruttive dell'ambiente sociale e naturale. La questione della popolazione pone diversi problemi all'anarchismo. Uno dei più importanti è se le
forme anarchiche di organizzazione sociale siano ancora possibili in situazioni caratterizzate da
popolazioni quantitativamente elevate e da un alto grado di densità. Secondo alcuni critici, le
società altamente popolate necessitano inevitabilmente di ordinamenti giuridici e per questa ragione
l'anarchia, che postula l'assenza di un sistema di legalità, non potrebbe funzionare in tali società. E' importante sottolineare che gli anarchici riconoscono la necessità di una produzione di regole in
tutte le società. La considerazione importante non è se debbano esserci regole, quanto piuttosto il
modo in cui le regole vengono prodotte, i processi utilizzati per determinarle, e la natura e
l'estensione delle regole stesse. Gli anarchici affermano che dovrebbe essere utilizzata, quando
possibile, una produzione volontaria di regole attraverso processi quali l'arbitrato e il consenso. Ma
nel caso questo nonsia possibile, il passo successivo consiste nello sviluppo di sistemi di
produzione di regole attraverso processi democratici a livello comunitario (sebbene molte decisioni
dovranno essere senza dubbio lasciate a gruppi ancor più piccoli e agli individui, se la comunità
deve mantenere i suoi caratteri libertari). Questa democrazia comunitaria può essere interpretata
come necessità di sistemi formali di diritto a livello locale che possono, qualora le comunità siano
d'accordo, essere estese in proposito tramite la federazione. C'è comunque una forte tendenza a privilegiare attraverso assemblee locali e corpi giurisdizionali
popolari, più sul modello della polis greca e di certi processi tribali decisionali. Non sembrano
esistere ragioni valide perché tali sistemi di produzione di regole decentralizzati e federativi non
possano essere sviluppate in società altamente popolate. Ma anche se possibile, questo decentramento decisionale può essere utilizzato efficacemente anche
in tali società? E' evidente che i vantaggi possono essere ancora più grandi nelle società più
complesse, altamente popolate. Poiché i conflitti di valore e di interessi si moltiplicano con la
crescita della popolazione e l'urbanizzazione, gli apparati statali centralizzati diventano
manifestatamente più inetti come strumenti per fronteggiare situazioni di crisi che proliferano
velocemente. La tipica tattica dello stato consiste nell'espandere la burocratizzazione e la
pianificazione centralizzata, aumentando così il divario tra i meccanismi di pianificazione e la
realtà sociale. Problemi sempre più particolarizzati vengono affrontati in forme sempre più
generalizzate. Il processo decisionale decentralizzato e federativo, d'altro lato, è fisiologicamente
più adeguato a fronteggiare situazioni complesse, proprio perché esso stesso è complesso e
diversificato. La moltiplicazione dei problemi richiede una corrispondente moltiplicazione dei
meccanismi di raccolta di informazioni, di discussione e di decisione. La questione dell'approccio anarchico al problema degli alti livelli di popolazione in relazione ai vincoli ecologici verrà affrontata brevemente. Ciò è necessario sia perché le strategie anarchiche
sarebbero ovviamente non realistiche se richiedessero una densità globale più bassa di quella che
attualmente esiste, sia perché non potrebbero fronteggiare l'alto tasso di crescita che sarà inevitabile
per un certo periodo. Innanzitutto bisogna chiarire che la decentralizzazione della popolazione non richiede una bassa
densità globale. Molti paesi del terzo mondo, nei quali la popolazione è fondamentalmente dispersa
in villaggi, hanno una più alta densità per nazione che molti altri paesi nei quali la popolazione è
concentrata nei centri urbani. Risulta poi evidente da un punto di vista antropologico che le società
con sistemi economici e politici organizzati più liberamente di quelli proposti dagli anarchici
contemporanei hanno registrato un'alta densità. La decentralizzazione aumenta il livello della
popolazione che può essere mantenuta in una data area, come risultato dei decrescenti stress
ecologici derivanti dalla frammentazione della popolazione, delle industrie, delle produzioni di
scarto, ecc. Questo non significa che gli anarchici guardino con serenità i livelli di crescita che minacciano di
superare rapidamente i limiti delle capacità del nostro pianeta, o che essi sperino meramente di
incrementare queste capacità attraverso la decentralizzazione. Sorge così una seconda, e più
importante, domanda: possono esistere strategie anarchiche di contenimento della crescita al fine di
stabilizzare la popolazione ad un livello più adeguato al benessere umano e all'equilibrio ecologico
ottimale? Come afferma Wertheimer, «mentre si predica il controllo delle nascite, i contadini
indiani continuano a sfornare bambini al fine di avere un aiuto nei lavori dei campi e al fine di
avere qualcuno che sopravviva per aver cura di loro quando saranno troppo vecchi e infermi per
badare a se stessi». Sebbene essi siano in grado di comprendere le conseguenze sociali disastrose
della loro azione, possiamo sperare da loro qualcosa di diverso che non mitigare le loro sofferenze?
Di conseguenza, prosegue l'autore, è necessaria una politica popolare razionale basata sul
rafforzamento dei poteri statali. L'argomentazione è fondata su di un falso dilemma. Le alternative apparenti sono la riproduzione
«anarchica» (che non è in effetti «anarchica» nel senso anarchico, ma piuttosto controllata dal
dominante sistema socio-economico gerarchico e inegualitario) e una riproduzione controllata (che
è soggetta all'ulteriore controllo degli apparati coercitivi dello stato). Ma queste sono lontane
dall'essere le sole alternative né sarebbero comunque invocate dagli anarchici. Essi affermano
invece che in società come l'India il sistema sociale ed economico dovrebbe essere completamente
trasformato in forme che siano più compatibili con la distribuzione della popolazione per villaggi e
con i metodi tradizionali di produzione e non con le politiche governative centralizzate. Inoltre, essi
affermano che le politiche statali tese all'autoconservazione del sistema economico esistente mentre
istituzionalizzano un controllo obbligatorio delle nascite (insieme alla promozione
dell'urbanizzazione e dell'alta tecnologia, come sotto il regime di Indira Gandhi) perpetuano
soltanto l'attuale livello di miseria e sfruttamento, aggravando i disastrosi effetti ecologici della
sovrappopolazione. L'approccio anarchico alle società contadine richiede la sostituzione della mezzadria, della
locazione e della piccola proprietà con la coltivazione cooperativa del suolo da parte di associazioni
di produttori. Con tale sistema i membri delle associazioni sono in grado di risolvere il loro
problema di massimizzare l'offerta di lavoro. Essi possono pertanto provvedere alla loro vecchiaia e
prendere altre misure di benessere sociale, regolamentando la destinazione dei loro prodotti in
eccesso, e utilizzando la tecnologia per una produzione in cooperative (sulla tecnologia tornerò
brevemente). Inoltre se il surplus ora viene tolto agli indigeni e incamerato dalle classi dirigenti
esterne, in una situazione come quella prospettata i bisogni dei produttori potranno senz'altro essere
meglio soddisfatti. Il punto essenziale è che l'approccio anarchico ai problemi della
sovrappopolazione implica una cosciente riorganizzazione sociale che non può essere paragonata
all'inazione «liberistica» o a un mero incoraggiamento moralistico.
Il problema della scarsità delle risorse L'anarchismo si è sempre interessato del problema della scarsità delle risorse. Molti degli appelli
anarchici ai contadini della Spagna, dell'Ucraina, e di altri paesi rientrano in una visione che
prefigura una società dell'abbondanza fondata sul comunismo libertario e sulla produzione per
bisogni reali. Una recente teoria anarchica, esemplificata nel classico «Post-scarcity anarchism» di
Murray Bookchin, ha preso la questione della scarsità come elemento centrale di una teoria politica.
Ma è scontato per gli anarchici che il loro approccio ad una produzione decentralizzata e a
tecnologie alternative sia praticabile? Secondo Colin Ward, le proposte di una intensiva produzione decentralizzata di prodotti agricoli
fatte da Kropotkin più di un secolo fa si sono mostrate per esperienza abbastanza pratiche. Egli
osserva che «l'esperienza giapponese - l'evoluzione da un'insufficienza interna, attraverso
l'autosufficienza, verso una imbarazzante sovrapproduzione - dimostra la possibilità tecnica delle
affermazioni di Kropotkin per una enorme produttività di una agricoltura intensiva. La moderna
industria orticultrice in Gran Bretagna e nei paesi continentali tiene completamente fede alle sue
speranze ... ». Il Gruppo per una Tecnologia Intermedia di E.F. Schumacher (per intenderci,
l'autore di «Piccolo è bello» - ndt) è partito da pensatori come Kropotkin e William Morris per
sviluppare le cosiddette «tecnologie adeguate» che permetteranno uno sviluppo della società verso
la soluzione dei loro problemi di scarsità e disoccupazione mentre eviteranno le conseguenze
disastrose dell'industrializzazione pesante e dell'urbanizzazione. Negli USA, gruppi come l'Istituto per l'AutoSufficienza Locale stanno esplorando le possibilità
delle comunità locali impoverite di sfuggire alla trappola della dipendenza e dello sfruttamento
economico attraverso lo sviluppo di comunità di produzione industriale e agricola. David Morris e
Karl Hess presentano un quadro abbastanza dettagliato di alcune di queste possibilità nel loro libro
«Potere alle periferie» che è in parte basato sul loro lavoro nel quartiere Adams-Morgan a
Washington, D.C.. Discutendo l'approccio anarchico a problemi come scarsità e qualità della vita, è importante notare
che ciò che si chiede non è la mera sussistenza, bensì una società dell'abbondanza. Gli anarchici
affermano che l'apparente impossibilità di pervenire a una tale società nasce da una insufficiente
conoscenza dell'ideologia del consumo materiale. Se l'abbondanza deve derivare da una
produttività che si espande all'infinito e da un esaurimento delle risorse naturali, è ovvio che non si
potrà mai pervenire ad essa. Ma per gli anarchici, l'abbondanza significa partire dallo sviluppo dei
bisogni sociali e dalla soddisfazione del desiderio di un'esistenza creativa e gioiosa. In questa
connessione, essi trovano ispirazione per la loro progettualità nella ricchezza dell'immaginazione
simbolica, nella profondità del sentimento comunitario e nella gioia dell'esperienza immediata di
tante società tradizionali. Gli anarchici sottolineano l'incapacità di meri incrementi produttivi ad aumentare il livello
qualitativo di vita, una volta che si sia provveduto ai bisogni materiali primari. Si dovrebbero
discutere a lungo tematiche come la natura della società fondata sul modello dell'essere umano
come consumatore, la riduzione dei valori umani ai valori dell'agiatezza in una società consumista,
e la distruzione dell'ambiente umano e naturale in una società ossessionata dalla produzione
superflua e dalla crescita quantitativa. Ancora, l'esplorazione di queste tematiche apparentemente
astratte dovrebbe condurre alla scelta di forme di sviluppo tecnologico che coniugano livelli di
produzione sufficientemente alti da soddisfare i bisogni primari, con la richiesta di un sistema
sociale a misura d'uomo, non-burocratico e non-gerarchico. Ciò che gli anarchici rigettano è un
approccio semplicistico che separi i problemi della produzione, per esempio, dalla globalità dei
rapporti sociali, o di chi vede come unica alternativa tra lo sviluppo continuo delle tendenze
presenti nell'evoluzione tecnica, o l'immediata distruzione di tutto quel che è il risultato di tale
evoluzione. Questo approccio «aut-aut» ignora le tendenze alternative dello sviluppo della tecnologia e in più
guarda dall'alto le strategie alternative per l'abbondanza come una ripartizione di prodotti sociali
opposti al consumo individuale, abolizione del consumo superfluo risultante dalla manipolazione di
bisogni e desideri, e la creazione di bisogni più sociali (la cui crescita porta più verso l'abbondanza
che verso la scarsità materiale).
La strozzatura della distribuzione Le forme anarchiche di produzione e di «tecnologia libera» sono adeguate a soddisfare i bisogni
umani primari e sono compatibili con quelle forme sociali che puntano alla soddisfazione di quelli
più importanti. Ma anche se una società anarchica potrà raggiungere un adeguato livello di
produzione, si può verificare che una tale società sia incapace di pervenire ad una giusta
distribuzione dei beni. Qualcuno potrebbe argomentare innanzi tutto che se gli stati-nazione sono
incapaci di trascendere la loro «meschinità territoriale», allora le comunità anarchiche con le loro
basi locali possono soltanto aspettarsi di essere ancor più meschine; poi che le ineguaglianze tra le
comunità rispetto alle risorse o alla produttività sfoceranno in ingiustizie che non potranno essere
corrette; e infine, che il progetto anarchico di ridistribuzione «spontanea» è senza speranze vista la
gravità della crisi mondiale. La tesi che l'anarchismo si muova verso una ristrettezza fondata sul comunitarismo locale si basa
solo sull'attenzione rivolta dall'enfasi anarchica sul controllo comunitario e sulla
decentralizzazione, e sulla mancanza di conoscenza dei principi del federalismo e del mutuo
appoggio. Dai tempi di Bakunin e Kropotkin, l'anarchismo ha accentuato l'importanza delle
federazioni locali, regionali e globali di comunità e collettività operaie. Il rapporto tra il comunitarismo locale e il comunitarismo globale è bene espresso nel lavoro di
Martin Buber, il quale afferma che a meno che i rapporti inumani, burocratici, reificanti, creati
dallo stato, dal capitalismo e dall'alta tecnologia non vengano sostituiti da rapporti personali,
cooperativi, nascenti dai gruppi comunitari primari, non si potrà sperare in una lunga vita per
l'umanità nel suo complesso. Secondo Buber, a meno che non riusciamo a vedere l'umanità vicina a
noi, è impossibile aspettarci di sconfiggere la meschinità che ci impedisce di agire con cura verso
l'intera specie. Ma questo non è un mero dettato morale: piuttosto, è un appello alla prassi
comunitaria. Come afferma Buber «un insieme organico - soltanto un tale insieme può riunirsi fino
a formare una proporzionata e articolata collettività umana - non potrà mai erigersi al di fuori degli
individui, ma soltanto da piccole e ancor più piccole comunità: una nazione è una comunità nella
misura in cui è una comunità di comunità». Gli anarchici sostengono che poiché la ridistribuzione è una necessità, essa verrà incoraggiata più
dalla pratica del mutuo soccorso attraverso libere federazioni che dagli stati-nazione o dalla
creazione di uno stato mondiale. L'elemento centrale della critica anarchica riguarda lo sviluppo di
interessi di classe in società fondate su forme di organizzazione burocratiche centralizzate. Il punto
rilevante è se forme organizzative statuali o federali possono contribuire allo sviluppo di modelli
cooperativi di pensiero e di azione e, guardando all'altro lato della stessa questione, se il potere può
realmente corrompersi in proporzione al grado in cui esso è centralizzato e concentrato. La teoria anarchica afferma che sin quando rimane un potere politico ed economico accentrato,
possiamo presumere che verrà usato negli interessi di coloro che controllano tale potere. Per
esempio, negli USA, una nazione con la più grande concentrazione di ricchezza e una delle più
lunghe tradizioni di democrazia liberale, si rileva che non c'è alcuna ridistribuzione tra gli strati
economici e che soltanto una frazione dell'l % del prodotto nazionale lordo viene destinato all'aiuto
dei paesi più poveri. Riguardo all'alternativa proposta dagli anarchici, possiamo considerare le federazioni costituite
dagli anarcosindacalisti nella Spagna del 1936. Riscontriamo che la redistribuzione largamente
assente per generazioni nei paesi liberali e socialdemocratici, è stata realizzata nello spazio di pochi
mesi nelle aree collettivizzate, soprattutto come risultato dell'autogestione nell'industria e
nell'agricoltura. Nel breve tempo in cui le collettività furono in grado di funzionare
autonomamente, esse iniziarono a trasmettere questo egualitarismo aldilà dei limiti delle collettività
di individui. Secondo Gaston LevaI, in aree come la Castiglia e l'Aragona, «i principi comunisti
libertari furono applicati non solo in ciascuna collettività, ma tra tutte le collettività». Leval
descrive tali programmi: la ridistribuzione di macchinari e fertilizzanti dalle collettività più ricche a
quelle più povere e la produzione in cooperativa di semenze per la distribuzione nelle zone più
bisognose. Secondo Leval, esisteva la coscienza che «essendo nati da una mentalità comunista, il
passo successivo era sconfiggere lo spirito regionalista». Gli esperimenti anarchici della Spagna
degli anni '30 mettono in evidenza che quando gli esseri umani sviluppano modelli di vita e di
valori fondati sul mutuo appoggio a livello di piccoli gruppi e comunità locali, possono andar oltre
nella pratica del mutuo appoggio ad altri livelli di organizzazione sociale. Poiché adesso la tecnologia per la liberazione esiste, il maggior problema per le società più povere
è il raggiungimento della trasformazione sociale. Ciò richiede la loro liberazione economica e
politica dallo sfruttamento dei poteri imperialisti e dalle classi dirigenti indigene e la loro
emancipazione dai modelli di dominio trasmessi attraverso la tradizione culturale. La funzione di
un movimento anarchico in tali società è la creazione di una prassi coerente col fine di sollevare tali
gruppi e strutture e istituire in loro vece forme libertarie. Pertanto, il problema economico non è
visto come assenza di una redistribuzione coattiva (che nondimeno è sancita dalle classi e dagli
stati che traggono vantaggio dallo sfruttamento), ma piuttosto come distruzione di modelli
indesiderabili di produzione che sfociano nella iniqua distribuzione e delle ideologie che
legittimano tale processo.
Contro il nucleare Nonostante la redistribuzione, la produzione e la distribuzione non succederanno
«spontaneamente» (nel senso che non accadranno senza una pianificazione o una strategia), è molto
più auspicabile che una più equa distribuzione abbia luogo come risultato di sforzi coscienti
cooperativi degli sfruttati per cambiare le relazioni di potere, più che come conseguenza di un
accordo tra poteri padronali o tramite il controllo di qualche autorità politica più alta che deve
sancire la ridistribuzione. La reale alternativa all'approccio anarchico sembra essere non l'ottimismo
liberale o socialdemocratico di una democrazia globale, ma piuttosto il marxismo-leninismo, che ha
abbastanza consapevolezza della realtà del potere economico da credere che un cambiamento dei
rapporti di potere innescherà inevitabilmente un processo di lotta di classe complessiva. Ma
sebbene gli anarchici possano concordare che l'approccio marxista-leninista possa riuscire a ridurre
significativamente gli estremi della disuguaglianza economica, essi giudicano che in esso esiste una
mancanza totale di una prassi di liberazione per le ragioni seguenti: 1) la visione marxista-leninista
della rivoluzione sociale, con il suo forte impegno verso la statualità e il centralismo, sbocca in una
nuova forma di capitalismo di stato burocratico-centralizzato che perpetua le disuguaglianze
politiche e spesso economiche; 2) l'accettazione acritica da parte del marxismo-leninismo dell'alta
tecnologia conduce a perpetuare una produzione alienata e lo sviluppo necessario a un interesse di
classe tecnocrate e a perpetuare il dominio sulla natura e la distruzione dell'ecosfera; 3) l'orientamento economicistico e produttivistico del marxismo-leninismo gli impedisce di vedere
altri settori molto importanti della lotta per la liberazione umana, non ultimi quelli culturali, estetici
e sessuali e limita le sue analisi di molte forme di dominio (incluse quelle politiche, razziali,
sessuali e psicologiche). Un'altra critica comune contro l'anarchismo è quella secondo cui la transizione verso una società
anarchica avrebbe risultati disastrosi, dato l'alto grado di interdipendenza nell'economia mondiale
odierna e l'attuale livello di urbanizzazione. L'anarchismo viene visto come un cambiamento
catastrofico, la distruzione immediata di tutta l'organizzazione complessa e la regressione
all'indipendenza comunale. Ma come è stato già notato, gli anarchici non invocano una completa indipendenza comunitaria, ma
piuttosto un'interdipendenza organica che si diparte dalle unità sociali fondamentali e che si va
costruendo, attraverso la federazione, in una umanità intesa come un insieme. Né gli anarchici
propongono che la trasformazione tecnologica e la decentralizzazione vadano presi come principi
assoluti da applicare dogmaticamente senza tener conto di ciò che i bisogni umani possono
richiedere. Essi perciò non dicono che tutta la tecnologia vada distrutta, mentre si aspetta che le
forme alternative liberatorie si sviluppino e si radichino. Propongono invece che la ricerca sia
indirizzata verso la tecnologia alternativa e che si inizi da ora ad utilizzare queste forme di
liberazione a qualsiasi grado possibile, anche mentre l'alta tecnologia continua a essere prevalente.
Per esempio, mentre gli anarchici rifiutano completamente l'energia nucleare, non dicono che altre
risorse energetiche vadano eliminate ma che debbano essere sostituite progressivamente da quelle
solari, del vento, del metano, geotermiche e altre alternative.
L'autodifesa popolare funziona Similmente, gli anarchici non pensano di attuare la decentralizzazione tramite l'annichilimento o lo
spostamento coatto degli abitanti delle città. Molti anarchici sono favorevoli al modello tradizionale
di città e propongono una gestione delle città tramite assemblee di quartiere, integrazione di spazi
di lavoro, gioco e di vita, e approcci simili per la trasformazione dell'ambiente urbano. Gli
anarchici prevedono inoltre la diminuizione di megalopoli inumane ad un livello di città e un
continuo processo di interscambio tra città e campagna. Ciò che viene richiesto come necessità
immediata non è lo spostamento di masse inerti di popolazione ma l'istituzione di una micro-democrazia diretta nelle forme di assemblee di quartieri e sui posti di lavoro. E' un principio fondamentale dell'anarchismo che se la comunità deve essere difesa, deve essere la
popolazione che volontariamente si organizza. Ciò permette di rispondere alla critica che la
comunità anarchica non potrebbe effettivamente difendersi contro le potenti forze militari,
altamente organizzate che generalmente si apprestano in tempi di guerra. In effetti, essa non
potrebbe affatto difendersi sino a quando esistesse qualcuno che, a causa di un interesse
individuale, preferisse di fatto che sia qualcun altro a difenderla. Gli anarchici credono fermamente che «la guerra sia la salute dello Stato» e che di conseguenza
esso cerchi sempre di essere nocivo, se non fatale, alla libertà. Militarizzare una società al fine di
lottare contro l'autoritarismo è di per sé una vittoria automatica per l'autoritarismo. Per questo
motivo gli anarchici insistono sulla necessità di limitare l'attività militare all'autodifesa comunitaria
tramite milizie popolari e si oppongono a formazioni militari gerarchiche, centralizzate. In questo
contesto, la critica che questo approccio si alienerà l'appoggio popolare non è significativa. Le
comunità nei fatti si difendono quando c'è un pericolo reale per la loro libertà. L'obiezione teorica
concernente la non partecipazione trascura gli elementi psicologici della guerra e gli effetti
pervasivi della pressione sociale. Una comunità a forte coesione non ha difficoltà a garantire la
partecipazione alla difesa. La questione cruciale è perciò se la strategia di auto-difesa popolare può
essere efficace qualora utilizzata. La risposta sembra essere positiva: l'auto-difesa popolare può essere efficace. Per esempio, il
movimento contadino anarchico makhnovista in Ucraina sviluppò metodi altamente efficaci di
guerriglia contro forze soverchianti nelle sue lotte contro vari eserciti negli anni 1918-1921. Il
successo militare dei makhnovisti fu stroncato soltanto quando il loro esercito, stanco dopo le
battaglie e le vittorie contro le forze di destra, fu attaccato dagli «alleati» di ieri, i bloscevichi. Le
collettività spagnole acquisirono anche un notevole grado di mobilitazione popolare durante il
periodo delle milizie popolari. Infatti, l'aiuto e il morale scemarono significativamente solo quando
le milizie vennero militarizzate nelle mani dello stato. Recenti esperienze come le guerre indocinesi
e la resistenza al colonialismo e al neo-colonialismo in molte aree del mondo (l'Afghanistan ne è il
più recente esempio) hanno portato all'attenzione l'incapacità di potenti stati-nazione di stroncare
con successo (o con profitto) l'opposizione in aree in cui la guerriglia è vigorosamente appoggiata
dalle comunità locali.
Non solo contro lo stato Nella sua argomentazione finale, Wertheimer nota che contrariamente a quel che egli considera
essere la posizione anarchica, «le sofferenze degli uomini non possono essere sempre attribuite agli
Stati e alle loro sovrastrutture legali». Questo commento illustra bene una delle più comuni
mistificazioni popolari sulla natura dell'anarchismo, cioè che esso possa essere ridotto ad un mero
anti-statalismo o ad una opposizione al governo. Infatti, nell'analizzare i limiti sociali allo sviluppo
umano, gli anarchici non hanno ristretto le loro analisi agli effetti dello Stato. La loro critica si
appunta contro l'intero sistema di dominio e non solo contro i suoi aspetti statuali e burocratici, ma
anche fattori come lo sfruttamento economico, l'oppressione razziale, la repressione sessuale, il
maschilismo e la dominazione tecnologica. Gli anarchici affermano che le radici dell'attuale crisi ecologica possono essere ritrovate nel sistema
dominante industriale e nella alta tecnologia centralizzata. Il programma anarchico è sia una
strategia di liberazione dell'uomo sia un progetto per evitare la catastrofe globale ecologica. Se
questo progetto richiede ovviamente un gran numero di ulteriori sviluppi, anche nella sua forma
attuale mostra di essere la sola pratica politica che offre una sintesi praticabile tra i valori dell'auto-sviluppo e della liberazione dell'uomo, e quelli di un equilibrio ecologico e una sopravvivenza
globale. Come scrive Richard Falk, «la visione anarchica ... di una fusione tra una confederazione
universale e forme societarie organiche dai caratteri comunitari si pone al centro dell'unica
prospettiva auspicabile per un futuro ordine del mondo».
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