Rivista Anarchica Online
Gandhi/ Ma l'India dov'è?
di George Woodcock
Come tutti coloro la cui vita e le cui idee sono state profondamente influenzate dall'esempio di
Mohandas Gandhi, ho visto il film che porta come titolo il suo nome, agitato da un gran numero di
emozioni, suscitate sia del lato formale dello spettacolo sia dal modo in cui esso ha distorto, in
difesa degli interessi dell'attuale realtà politica indiana gli ultimi e, in varie misura, i più cruciali
momenti della vita di Gandhi. Lasciatemi iniziare facendo dapprima delle considerazioni sul film. Analizzato come azione
cinematografica a carattere drammatico, esso è profondamente segnato da un conflitto
fondamentale tra intimismo e grandiosità. Malgrado la preminenza del ruolo che la storia e la sua
chiarezza di visione politica gli hanno assegnato, Gandhi rimane, nel corso della sua vita, un
individuo sorprendentemente riservato e indipendente: obbediente alle sue regole interiori più che a
quelle del partito o del movimento. Egli vive con una povertà ed eccentricità che nessun dirigente,
pesantemente condizionato dall'appoggio di un partito politico organizzato, avrebbe osato adottare. Gandhi non dovette aspettare la liberazione dell'India per diventare un uomo libero, guidato solo
dalla sua personale moralità. E' la saldezza di questa moralità, combinata con uno straordinario
senso della strategia politica ed un eccezionale tempismo, che spiega la sua duratura influenza sul
movimento per la liberazione dell'India. Il Gandhi più nascosto, l'eccezionale e appassionato uomo di principi, è interpretato oltre ogni
elogio da Ben Kingsley, la cui immedesimazione nelle pieghe più intime della personalità e del
carattere è frutto di una eccezionale prova di attore. Il processo attraverso il quale Gandhi, taciturno
e ingenuo giovane avvocato, trova dentro di sé, tra dubbi e sofferenze, i tratti costitutivi del tenace
combattente che alla fine diventerà, procede di conserva con il processo attraverso il quale, nel
corso del film, si può osservare Ben Kingsley identificarsi sempre più compiutamente con la
persona che rappresenta. Non è un fatto di identificazione fisica: infatti la rassomiglianza dei tratti
tra Kingsley e Gandhi non è strettissima. Nei momenti iniziali del film, la sua lunga faccia e i suoi
occhi gentili ricordano un altro nome altrettanto giusto, Orwell, e in nessun momento il trucco, sia
pure accurato, gli conferisce l'affascinante bruttezza di Gandhi vecchio. Ma tutto ciò si dimentica con il procedere del film, poiché Kingsley si appropria così
completamente dei caratteri fisici e psicologici di Gandhi che ad un certo punto si può sostenere
che proprio così Gandhi ha camminato, visto, così ha parlato, così ha pensato; il suo umorismo
sottile, la sua risata tranquilla, le sue vanità infantili, la sua sessualità messa in secondo piano, tutto
ciò è perfettamente avvertibile e allo stesso modo lo è l'onestà verso se stesso e la lealtà verso gli
altri, che fece dire ad Orwell di lui subito dopo l'assassinio nel 1948: messo a confronto con altre
personalità politiche dominanti del nostro tempo, egli si è dato da fare per lasciare dietro di sé un
odore di pulito. E' un superbo e memorabile lavoro di interpretazione, ma la capacità di approfondimento con la
quale Kingsley ha esplorato e poi assunto la personalità di Gandhi contrasta con la mancanza di
approfondimento con la quale il film nell'insieme rappresenta l'India, per la cui liberazione Gandhi
si era impegnato. Le convenzioni dell'epica filmica, alle quali il regista Attenborough è rimasto
fedele, sono responsabili di questa carenza. Con l'eccezione delle scene in cui appaiono personaggi
identificabili, noi assistiamo alla vita da grande distanza, guardando l'India dal finestrino di un
treno che si muove velocemente, osservando da luoghi distanti e posti in posizioni elevate scene di
massa popolate da centinaia di comparse che si muovono a grandi passi o che combattono.
L'impressione di essere nel cuore pulsante della vita indiana che uno prova nel vedere i film dei
grandi registi bengali come Satyagit Ray o Mrinal Sen è completamente assente. Nel processo di amplificazione epica ogni cosa è supersemplificata, sia che si tratti dei difficoltosi
rapporti di Gandhi con sua moglie o con la famiglia, o delle complesse relazioni umane tra inglesi e
indiani, il tutto rappresentato grottescamente da Attenborough in termini di bianchi e neri, cosicché
i primi sono sempre di fondo dei furfanti quali che siano le loro qualità personali, e i secondi sono
sempre degli eroi totalmente alieni dal vizio, della brama di potere e dalla corruzione, qualità che -
per contro - divennero evidenti appena essi assunsero il potere con la partenza degli inglesi nel
1947. Attenborough non ha afferrato una verità fondamentale della psicologia politica: che un individuo
può essere la migliore persona del mondo, ma la disponibilità del potere lo renderà un individuo
malvagio. La grande saggezza di Gandhi gli permise di sfuggire, nel momento della liberazione
dell'India, alla tentazione di assumere il potere. Questi difetti, insieme alle più stupefacenti distorsioni alle quali accennerò in seguito, sono in larga
parte il risultato dei condizionamenti politici ai quali il film ha dovuto sottostare. Il film non
avrebbe potuto essere completato senza l'incondizionato consenso e cooperazione del governo
indiano e di Indira Gandhi, la quale ha inoltre contribuito in misura consistente a coprire il costo di
20 milioni di dollari del film. Per questo tipo di cooperazione e sussidio finanziario, il governo
indiano ha chiesto il suo prezzo: avere un film che non solo qualificasse l'India come nazione, ma
che suggerisse anche che lo stato centralizzato e militarista che essa è diventato già dal 1947 è
veramente l'India per la quale Gandhi combattè in modo assolutamente non militare. Le masse dell'India fanno ancora parte del gruppo dei diseredati del mondo, non molto meno
povere di quanto fossero quando Gandhi identificò la sua sorte con la loro, e chiunque abbia
vissuto nel paese per un certo periodo di tempo e ne abbia capito i problemi, è rattristato nel
constatare che negli anni '80 il grande mare della povertà si è esteso, più ampio e più profondo,
mentre la zattera dei nuovi ricchi sfruttatori che galleggia sulla sua superficie, diventa sempre più
capiente e carica di prosperità. E' questa situazione che rende veramente riprovevole l'irresponsabilità di cui ha dato recentemente
prova il governo indiano spendendo enormi somme di denaro per avvenimenti simbolici dai quali
la massa della popolazione, nel migliore dei casi, trae benefici puramente marginali. Non meno di
500 crore di rupie (un crore equivale a 10 milioni) pari a oltre 600 miliardi di lire, sono stati spesi
per i Giochi Asiatici dello scorso novembre, mentre centinaia di milioni di indiani non godono
ancora del semplice beneficio dell'acqua potabile, per non parlare del nutrimento assolutamente
inadeguato. A fronte di queste stravaganze, i 15 miliardi, più o meno, che Attenborough ha ricevuto dalla
signora Gandhi (e che sono stati in buona parte usati per riciclare più che sorpassati attori inglesi,
come John Gielgud, Trevor Howard e John Mills, in ruoli secondari) possono sembrare poca cosa,
ma anche questo è denaro rubato al popolo che ne necessita, per glorificare il popolo che non
produce. Era perciò chiaramente avvertibile, se non addirittura esplicitamente dichiarato, che "Gandhi" in
nessun modo sarebbe stato veicolo per critiche ai metodi di gestione dello stato utilizzati dalla
signora Gandhi. E perciò, alla fine del film, mentre siamo profondamente coinvolti nell'azione di
Gandhi tesa a fermare gli stermini reciproci tra mussulmani e indù a Calcutta, non ci viene fornito
alcun indizio dei dubbi che egli provò ed espresse sul futuro dell'India indipendente dopo il 1947. Nulla è detto riguardo ai suoi avvertimenti circa la possibilità che il Partito del Congresso venisse
corrotto dal potere ottenuto con l'autodeterminazione. Nulla è detto circa le sue raccomandazioni
relative al fatto che il Partito del Congresso avrebbe potuto essere sciolto, essendo stato raggiunto il
suo obiettivo, la liberazione dell'India, per essere sostituito dal Lok Sevak Sang (Organizzazione
per il Servizio del Popolo) la quale avrebbe potuto evitare il potere politico, per dedicarsi alla
riforma morale e sociale e alla creazione di una specie di federazione agraria, per la quale da lungo
tempo Gandhi si batteva - una società decentralizzata basata sulla rivitalizzazione dei villaggi. Nulla è detto dei suoi ammonimenti relativi alla "militarizzazione dell'India, che avrebbe
significato autodistruzione". E nulla è infine detto della sua affermazione che "autogoverno
significa sforzo continuo per essere liberi dal controllo del governo, sia questo un governo straniero
o un governo nazionale" o dell'altra sua affermazione che "l'ideale stato nonviolento è una ordinata
anarchia". Gandhi, di fatto, sperava di creare un ordinamento agrario e libertario, senza esercito e senza
sentimenti di orgoglio nazionale. Spesso si definì anarchico e la sua visione basata su una
organizzazione dei villaggi, con una amministrazione decentrata al posto di un governo, era
apparentata molto strettamente alle idee di Tolstoj e di Kropotkin, che egli ammirava... Ma tutto ciò era ben lontano dalle intenzioni di uomini come Nehru e Patel, nelle mani dei quali
cadde il compito di formare il nuovo stato indiano dopo la partenza degli inglesi. Essi si
adoperarono per formare una nazione-stato simile a quelle nate in Europa nel diciannovesimo
secolo, e per fare ciò non solo conservarono l'esercito che gli inglesi avevano messo in piedi
(addirittura mantenendone la primitiva ripartizione in reggimenti) ma anche l'organizzazione
amministrativa inglese, cosicché, quando nel 1970 la signora Gandhi decretò l'emergenza, essa
imprigionò i suoi oppositori ricorrendo a leggi e regolamenti emanati dai vicerè inglesi per potersi
opporre a Gandhi e alle sue campagne di non cooperazione di massa con i governi locali. Forse la
tragica ironia finale della storia di Gandhi fu che dopo il suo assassinio, il suo uccisore fu impiccato
applicando le leggi inglesi che egli combatteva e il cadavere di Gandhi fu bruciato con gli onori
militari, tributatigli da un esercito contro il quale egli aveva combattuto con tutte le armi della
rivoluzione nonviolenta. La circostanza che ora l'esercito fosse indiano e non inglese non faceva
sostanziale differenza: rappresentava comunque il militarismo che egli aveva sempre condannato. Il fatto che questo vero funerale sia una delle principali scene di massa di "Gandhi", scena
rappresentata senza il minimo accenno di critica, indica lo spessore del tema della glorificazione
nazionale che si svolge parallelo allo scorrere sullo schermo della vita di Gandhi come agitatore
nonviolento e stratega. Nessuna delle affermazioni di Gandhi che potrebbero prestarsi a rivelare la
sua costernazione per la via fatta imboccare all'India da Nehru dopo il 1947, è riportata, e ciò
mostra quanto sia stato lontano Attenborough dal rispetto per la verità, per poter confezionare un
film accettabile dalla signora Gandhi. E' altresì vero che né la signora Gandhi né il Partito del Congresso hanno rappresentato, negli
ultimi decenni, la continuità dell'eredità politica di Gandhi. Essa è stata mantenuta al di fuori dei
circoli di potere, da singoli maestri e attivisti come Vinabe Bhave e Jayaprakash Narayan e dai
movimenti come Sava Seva, i cui volontari lavorano al di fuori delle organizzazioni governative
per il rinvigorimento della vita dei villaggi. Ora, malgrado le distorsioni che ho indicato, il messaggio fondamentale della vita di Gandhi era
troppo forte e chiaro per non dominare alla fine il film. Qualsiasi tipo di potere è vulnerabile e alla
lunga può essere sconfitto da una resistenza decisa. Quando governo e leggi sono manifestamente
ingiuste, l'azione diretta contro di loro è irrinunciabile. Ma, sino a quando la violenza tende ad
essere autodistruttiva e a condurre a strutture autoritarie, il modo migliore di azione diretta è la
resistenza nonviolenta per mezzo della disobbedienza civile e della non cooperazione. Tale
resistenza, diversamente dalla violenza, fornisce anche la base filosofica per la costruzione di una
società nella quale il potere può essere abolito. Per finire, affermata in modo trionfale in questo film come nella vita di Gandhi, vi è qui la lezione -
veramente anarchica - che nessuno può provare timore di fronte al potere dello stato, quando
l'individuo, in cooperazione con altri oppure anche da solo, è capace di sviluppare un potere morale
tale da essere in grado di cambiare le idee correnti e in ultima istanza la forma politica e sociale del
mondo. Così il film fornisce in realtà due messaggi contradditori. Il primo è che la nazione è gloriosa. Il
secondo è che gli individui potranno alla fine sconfiggere ogni tipo di tirannia collettiva. Nella
attuale congiuntura della politica indiana, quando il potere della signora Gandhi sembra essere sul
punto di distruggersi, il secondo messaggio è quello al quale probabilmente il pubblico indiano
presterà maggiore attenzione. Non v'è dubbio che Gandhi, studiando attentamente la psicologia dei
suoi oppositori, fece più di qualsiasi altro individuo per portare a termine il potere inglese in India,
in parte rendendo inagibile il sistema dei Rajah per mezzo del rifiuto organizzato di cooperazione,
ma anche rendendo consapevoli i suoi oppositori che la loro posizione era moralmente
indifendibile. Di fatto egli dimostrò l'efficacia, in uno specifico insieme di circostanze, dell'azione
diretta condotta senza violenza. E' stato spesso detto, come sfida agli argomenti degli ammiratori di Gandhi, che la strategia che egli
aveva adottato aveva potuto essere utilizzata contro gli inglesi ma non avrebbe potuto esserlo
contro oppositori più spietati quali i nazisti o i bolscevichi. Ma io non penso che si possa
ragionevolmente riferire un insieme di circostanze a situazioni completamente diverse.
Chiaramente ogni situazione politica genererà i suoi modelli di resistenza, così come il movimento
americano per i diritti civili differisce dal movimento di liberazione indiano. E' comprensibile che
se i socialdemocratici, i comunisti e i sindacalisti avessero abbandonato, in Germania, le loro
chiesuole e avessero preso l'iniziativa con una ben organizzata campagna di non cooperazione al
primo apparire del nazismo, essi sarebbero stati capaci di mettere in piedi un effettivo movimento
di resistenza. Il fatto è che, diversamente da Gandhi, essi erano ossessionati dalla speranza della
presa del potere e ponevano gli interessi di parte avanti a quelli generali e non ebbero il coraggio di
agire fino a quando non fu troppo tardi e la casa stava ormai crollando loro sulla testa. Gandhi si
rese conto che in certe società - inclusa quella nazista - la non cooperazione avrebbe comportato
una grande quantità di sofferenze maggiore di quella sopportata sotto i vicerè inglesi, ma egli non
considerò mai le difficoltà di raggiungimento dell'obiettivo ragione sufficiente per non perseguirlo. Fu questa fede incondizionata nelle mete da raggiungere e nei suoi metodi di Satyagraha o resistenza nonviolenta, oltre alla sua mancanza di timore e di alcun desiderio di potere personale, che
diede a Gandhi lo straordinario ascendente sull'immaginazione del popolo indiano. E ciò, malgrado
mancanze e distorsioni, è ben illustrato dal film.
(traduzione di Ettore Zottele dall'ultimo numero del giornale libertario canadese Open Road)
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