Rivista Anarchica Online
Quanti cammelli vale una donna?
di Tiziana Ferrero
La donna stava accovacciata per terra in un angolo della stanza grande, luminosa e completamente
vuota. L'unico arredamento era costituito da un grande tappeto che ricopriva gran parte del pavimento
con alcuni cuscini. L'uomo, il marito, aveva insistito per invitarci a bere il caffè, dopo averci dato un
passaggio in autostop verso una delle meravigliose spiagge dell'Algeria. Nella sua povera casa, in un
villaggio altrettanto povero, vivevano i fratelli dell'uomo, con le mogli, i bambini, tanti, e le sorelle non
ancora maritate. Mutua assistenza, penuria di case e tradizioni dure a morire stanno alla base
dell'organizzazione famigliare algerina, di tipo patriarcale. Il caffè, dicevo, era un rito. La donna ci aveva portato su un grande vassoio biscotti, bibite e la tipica
cuccuma di caffè. Aveva servito per primo il marito, poi il mio compagno e, per ultima, me. Al marito
e al mio compagno aveva persino zuccherato e mescolato il caffè, dopodiché era tornata ad
accovacciarsi nel suo angolo-rifugio. La conversazione si svolgeva in francese, seconda lingua ufficiale
algerina. La donna non aveva studiato e non parlava che arabo. Era quindi lui, l'uomo, padrone del suo
destino, che decideva cosa tradurre alla moglie. Curiosa condizione di arretratezza, mi dicevo, di
cultura contadina in cui la donna gioca un ruolo di secondo piano o non lo gioca affitto. Illusa e
ottimista, il mio viaggio era appena iniziato e di lì a poco avrei sperimentato, a volte su di me, qual è
la vera condizione femminile in quel paese. Spesso, ad esempio, mi è capitato di parlare con gli algerini per interposta persona: essi si rivolgevano
esclusivamente al mio compagno, nonostante ponessero a me le domande e rispondessero alle mie. Ho dovuto adeguarmi agli usi e costumi locali
mettendomi in coda con le donne, di fronte a quella di soli uomini; sono stata cacciata da una
spiaggia «riservata agli uomini» (nuova forma di apartheid? paura di contaminazione?). Ma se
queste possono essere considerate forme superficiali di discriminazione (con una buona dose di
ottimismo e tanta fantasia), la situazione reale è più pesante, soprattutto perché il concetto che gli
algerini hanno della donna deriva essenzialmente dal loro credo religioso. Ma la cosa peggiore è
che le donne stesse non vedono e non concepiscono altro modo di vivere. Un'algerina di poco più
di quarant'anni mi raccontava: « ...i figli sono voluti e benedetti da dio e non c'è ragione di
opporvisi. Ognuna di noi ha dieci/tredici figli, e non c'è niente di strano. Ora finalmente mi riposo:
sono le ragazze più grandi che cucinano e allevano i più piccoli. I figli sono la nostra pensione, non
ci faranno mai morire di fame». Dio, dio, dio ... non si sente parlare d'altro. Un altro algerino, un
colto burocrate dell'apparato politico, mi diceva: «Voi anarchici volete cambiare il mondo, dite 'ni
dieu ni maitre', ma come si fa, soprattutto in un paese musulmano, a sostituire alla religione la
ragione, anche se si riuscisse a sostituire al padrone l'autogestione?». Che il desiderio di libertà sia un fatto biologico e genetico e gli anarchici, razza strana e perversa,
abbiano alcuni cromosomi impazziti? Troppo semplice, basterebbe fare tanti figli, come in Algeria,
e ci sarebbero tanti anarchici. O forse è un desiderio inconscio e incosciente a cui ogni uomo
dovrebbe tendere? O piuttosto un fatto puramente culturale? Questa può essere una delle risposte,
spiegherebbe come tanta gente, comprese le donne, algerine e non, non riesca a rappresentarsi in
modo diverso da quello che è, o è costretta ad essere. Ma questi sono pensieri troppo profondi per
questi pochi e brevi appunti di viaggio. Meglio e più facile continuare con la cronaca. Un'altra ragazza, dall'età approssimativa di ventidue anni (molti non sanno la loro data di nascita
perché i francesi, dopo la «rivoluzione» algerina se ne sono andati portando via tutti gli archivi
anagrafici) mi raccontava che in caso di eredità alle donne spetta tre volte meno dei fratelli. La
verginità è sacra e una vecchia parente del marito, spesso la zia o la nonna, controlla che tutto sia in
regola. D'accordo, d'accordo, riponete le vostre obiezioni, poco al di là del Mediterraneo, nell'Italia
Meridionale, ad esempio (ma anche nelle campagne padane), la situazione non è stata tanto diversa
fino a pochi anni fa. Anche le nostre nonne e le nostre madri esibivano il lenzuolo dopo la prima
notte, facevano dieci figli (poco tempo fa ho contato i miei cugini primi: sono trentadue!) e non
toccavano le piante quando avevano le mestruazioni. Tutto il mondo è paese? Mal comune mezzo
gaudio? Non c'è di che rallegrarsi. Le donne in ogni cultura hanno sempre contato meno del due di
picche, bruciate sui roghi, strumenti di piacere mollemente sdraiate in un boudoir o dietro le grate
merlate di un gineceo, cuoche, infermiere, babysitter che puliscono teneri e delicati culi di bambini,
assistenti sociali di anziani a carico ... in ogni angolo del mondo governano e amministrano il loro
regno con una perizia da far invidia alla migliore impresa economica. Ecco, dirà qualcuno, ora salta
fuori qualche vecchio slogan di femminista memoria. Ma no, sono anarchica, perdio! Forse, però, anche per noi è venuto il momento di riflettere. Dacché la donna ha cominciato ad
alzare la testa non c'è stata una sola volta, che mi risulti, in cui il movimento anarchico non abbia
scimmiottato quello femminista, ricalcandone gli errori e riuscendo quindi a seguirlo nella sua crisi
e nel suo congelamento. Ancora una volta non abbiamo capito quale potenzialità poteva
rappresentare la protesta di metà del mondo. Le donne chiedevano essenzialmente di modificare il
loro ruolo culturale nella società, ed è a questo che penso l'anarchismo debba tendere oggi: non
cambiare il modo di far politica, ma smettere di voler essere dei politici, in un momento in cui la
politica è in crisi. Operare delle trasformazioni culturali, anche in quegli ambiti da sempre
disdegnati: poesia, musica, arte, ecologia... cercando di cambiarne sempre il segno. In fondo, siamo
gli unici ad avere il segreto di un modello che va bene per qualsiasi taglia: il desiderio di libertà per
la libertà. Il mio viaggio finisce ad Orano, città di camusana memoria. Ci sono i bordelli, ma all'università si è
costituito il primo «collectif féminin de l'Université» («pas féministe» - non femminista, teneva a
precisarmi il mio informatore): faranno gli stessi errori? Forse, ma, per Maometto!, in questa terra
di leggende, di Tuareg e di deserto, la donna comincia ad esistere al di là del suo prezzo in
cammelli?
|