Rivista Anarchica Online
Attenzione alla
mistica della comunità
Cari compagne/i, in riferimento
all'ampio documento della "Comunidad del Sur", intitolato
"Vivere è scegliere in ogni momento" (pubblicato sullo scorso
numero) e all'annunciato dossier su alcune delle più interessanti
esperienze comunitarie italiane (vedi "A" 126 nella rubrica
"Ai lettori"), vorrei sottoporre alla vostra attenzione e a
quella dei lettori alcune brevi considerazioni su questo tema. Mi
preme non essere fraintesa in un atteggiamento di critica fine a se
stessa. Sottolineo, anzi, lo spirito provocatorio (nel senso che
riterrei utile provocare confronti più aperti e serrati) che anima
le mie intenzioni. È
senza dubbio un contributo positivo mettere in pratica modi di vita
alternativi e valori diversi da quelli dominanti. Al di là del
successo e dell'insuccesso (termini peraltro molto riduttivi se
considerati in chiave antitetica), la portata della concretezza
consente la verifica del "perché", piuttosto che la logica del
"forse". Sotto questo riguardo proporre la lettura di bilanci
comunitari, dieci anni dopo, rende omaggio alla testimonianza, ma
aggiunge poco o niente alla domanda di prospettiva globale del
dibattito in corso. La forma dialogica e dubitativa attenua questa
carenza. Tuttavia limiti oggettivi, inerenti a simili esperienze, non
sfuggono all'analisi. La
mistica della comunità aleggia un po' ovunque: l'aspetto formale e
non sostanziale dei ruoli ed eventi tradizionali è messo in
discussione. Benché rovesciati e alternati, sono pur sempre questi a
determinare l'identità dei singoli membri. Il rapporto
funzione-soggetto stenta a trovare sintesi ulteriori. In concreto
viene confermato che il fine-mezzo è ciò che dà valore alla vita.
In un'ottica di assoluta libertà, invece, è la vita che dovrebbe
essere stimolata all'autovalorizzazione attraverso la varietà delle
esperienze. Porre attenzione ai ruoli significa, nel migliore dei
casi, limitare il contesto dove la persona si realizza; e, nel
peggiore, mitizzarli, perdendo conseguentemente di vista l'individuo
nelle sue infinite possibilità e specificità. Questa sottile, ma
non speciosa, distinzione resta sottaciuta e, a volte, perfino negata
anche nelle più libertarie metodologie educazioniste. Valga per
tutti il rapido richiamo all'esperienza dei kibbutz. Proprio fra
questi giovani lì cresciuti si registrò il più alto numero di
vittime durante la guerra del Kippur (vedasi B. Bettelheim: "I
figli del sogno"). Evidentemente
si trattava di individui più fragili ed impreparati alle risposte
solitarie ed immediate. La
scissione tra "interno" ed "esterno", che i componenti della
comunità hanno cercato di colmare con sforzo volontaristico fa
respirare un'aria da esperimento: "isola felice", ma anche
paesaggio sotto una campana di vetro. Ne deriva un evidente
appiattimento dello spessore individuale della soggettività che,
garantita dal gruppo, tende ad affidargli, diluendole, la crescita ed
il rinforzo delle proprie capacità di scelta autonoma. Se da una
parte la complessità di un ambiente richiede un alto impiego di
energie durante il processo di socializzazione, dall'altra la sua
vivacità stimola l'apporto di ricchezza nella persona. Non
è un caso che gli adolescenti delle comunità confermino un bisogno
di separatezza dal mondo dei genitori per le loro esperienze tra
coetanei. La discoteca, il cinema, o comunque la curiosità agli
aspetti sconosciuti dell'ambiente extracomunitario non sono vissuti
come banale accettazione di valori in sé. Questo è un modo di
vedere le cose con l'occhio dell'adulto, reso parzialmente cieco
dalla fissità ideologica. Sono
altri e più profondi i significati del meccanismo evolutivo. La
necessità di favorire la crescita non può essere risolta con realtà
predisposte e/o semplificate. Sarebbe come abbassare il cielo e
credere di volare. Di fatto l'esistenza (l'etimologia della parola
viene dal latino: exsistere = star fuori, uscire da) sottende un
processo di distacco dall'eredità fisiologica ed ambientale. Che
la sua materiale valenza libertaria offra solida base all'incessante
richiesta di liberazione, più che una speranza, dovrebbe essere
considerata un punto di partenza.
Monica
Giorgi (Livorno)
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