Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 137
maggio 1986


Rivista Anarchica Online

Giustizia è fatta
di Fausta Bizzozzero

Giustizia. Un concetto astratto, un'idea assoluta a livello teorico, un principio che dimostra tutta la sua "relatività" non appena si scenda sulla terra e si analizzino i meccanismi che uomini, popoli, governi hanno creato per amministrarla.
È quello che tenta di fare Friedrich Dürrenmatt (uno dei due grandi scrittori svizzeri insieme a Max Frisch) in questo romanzo (Giustizia, Garzanti, pagg. 196, lire 16.800) costruito come un giallo ma che è molto di più: un lucido, caustico, violento atto d'accusa contro gli uomini che hanno trasformato la giustizia in una farsa riducendola a mero strumento di privilegio e di potere; contro l'establishment svizzero regolato dalle ferree leggi del capitalismo e dello sfruttamento che si regge grazie anche a quei lavoratori stranieri considerati iloti e sub-umani; contro l'"impresa" Svizzera - un'impresa i cui capitali sono ormai peraltro sostanzialmente stranieri - e i suoi banchieri, i suoi industriali e faccendieri, la sua cultura del "tutto deve rendere", del perbenismo, dell'esteriorità. Il protagonista - come potrebbe essere diversamente? - è un novello Don Chisciotte, un giovane avvocato spiantato, cresciuto "felicemente" in un orfanotrofio e proprio per questo impreparato ad entrare "nella feroce società degli uomini", impreparato "di fronte alle passioni dalle quali essa è modellata, avidità, odio, timore, astuzia, potere" (la critica dell'istituzione famiglia è durissima e lucida, senza remissione: "un focolaio del crimine, circolo chiuso di odio e di amore tra creatore e creatura").
Impreparato quindi al mondo e alle sue leggi non scritte, l'avvocato Spät si trova impegolato in un caso di assassinio apparentemente chiarissimo: un noto consigliere cantonale - uomo politico e capitano d'industria agguerrito - entra in un ristorante affollato e uccide con un colpo di pistola un professore universitario altrettanto noto, poi tranquillamente se ne va. L'assassinio è pubblico, i testimoni numerosissimi, ma non si riesce a scoprire alcun movente né a trovare la pistola.
Al primo processo, che si conclude con una condanna di colpevolezza, l'imputato si dichiara colpevole ma rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda e, dal carcere modello in cui verrà rinchiuso (l'ironia di Dürrenmatt raggiunge un livello incredibile nella descrizione del carcere "svizzero") convoca l'avvocato Spät e lo assume - potenza del denaro - affinché indaghi non sulla realtà, perché la realtà della sua colpevolezza è indiscutibile, ma sull'assurda ipotesi che l'assassino possa essere stato qualcun altro. Emergono così collegamenti, connivenze, interessi finanziari e politici di un gioco in cui anche il giovane avvocato è solo una misera pedina e che si concluderà con l'atto finale di una assoluzione con formula piena. Giustizia è fatta.
A Spät, distrutto dall'ingranaggio di questo gioco perverso ma non rassegnato, non resta altro che farsi esecutore del suo concetto astratto di giustizia. Fino alle estreme conseguenze.