Rivista Anarchica Online
Giustizia è
fatta
di Fausta Bizzozzero
Giustizia. Un
concetto astratto, un'idea assoluta a livello teorico, un principio
che dimostra tutta la sua "relatività" non appena si scenda
sulla terra e si analizzino i meccanismi che uomini, popoli, governi
hanno creato per amministrarla. È quello che tenta
di fare Friedrich Dürrenmatt
(uno dei due grandi scrittori svizzeri insieme a Max Frisch) in
questo romanzo (Giustizia, Garzanti, pagg. 196, lire 16.800)
costruito come un giallo ma che è molto di più: un lucido,
caustico, violento atto d'accusa contro gli uomini che hanno
trasformato la giustizia in una farsa riducendola a mero strumento di
privilegio e di potere; contro l'establishment svizzero regolato
dalle ferree leggi del capitalismo e dello sfruttamento che si regge
grazie anche a quei lavoratori stranieri considerati iloti e
sub-umani; contro l'"impresa" Svizzera - un'impresa i cui
capitali sono ormai peraltro sostanzialmente stranieri - e i suoi
banchieri, i suoi industriali e faccendieri, la sua cultura del
"tutto deve rendere", del perbenismo, dell'esteriorità. Il
protagonista - come potrebbe essere diversamente? - è un novello Don
Chisciotte, un giovane avvocato spiantato, cresciuto "felicemente"
in un orfanotrofio e proprio per questo impreparato ad entrare
"nella feroce società degli uomini", impreparato "di fronte
alle passioni dalle quali essa è modellata, avidità, odio, timore,
astuzia, potere" (la critica dell'istituzione famiglia è
durissima e lucida, senza remissione: "un focolaio del crimine,
circolo chiuso di odio e di amore tra creatore e creatura"). Impreparato quindi
al mondo e alle sue leggi non scritte, l'avvocato Spät
si trova impegolato in un caso di assassinio apparentemente
chiarissimo: un noto consigliere cantonale - uomo politico e capitano
d'industria agguerrito - entra in un ristorante affollato e uccide
con un colpo di pistola un professore universitario altrettanto noto,
poi tranquillamente se ne va. L'assassinio è pubblico, i testimoni
numerosissimi, ma non si riesce a scoprire alcun movente né a
trovare la pistola. Al primo processo,
che si conclude con una condanna di colpevolezza, l'imputato si
dichiara colpevole ma rifiuta di rispondere a qualsiasi domanda e,
dal carcere modello in cui verrà rinchiuso (l'ironia di Dürrenmatt
raggiunge un livello incredibile nella descrizione del carcere
"svizzero") convoca l'avvocato Spät
e lo assume - potenza del denaro - affinché indaghi non sulla
realtà, perché la realtà della sua colpevolezza è indiscutibile,
ma sull'assurda ipotesi che l'assassino possa essere stato qualcun
altro. Emergono così collegamenti, connivenze, interessi finanziari
e politici di un gioco in cui anche il giovane avvocato è solo una
misera pedina e che si concluderà con l'atto finale di una
assoluzione con formula piena. Giustizia è fatta. A Spät,
distrutto dall'ingranaggio di questo gioco perverso ma non
rassegnato, non resta altro che farsi esecutore del suo concetto
astratto di giustizia. Fino alle estreme conseguenze.
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