Rivista Anarchica Online
Dissenso in
Jugoslavia
di Claudio Venza
Tutto (o quasi)
cominciò con un concerto. Come in molte città europee occidentali,
accorse un mare di gente, la sera del 2 giugno 1968 a Belgrado. E
tanti giovani, esclusi dalla sala, protestarono. Si trovarono di
fronte la polizia che caricò, picchiò brutalmente e sparò numerosi
colpi di pistola. L'indomani
l'Università di Belgrado era in fermento e si formò un folto e
combattivo corteo diretto verso il Parlamento. Vari studenti
portavano il ritratto di Tito giovane vestito da partigiano e
gridavano slogan contro la "borghesia rossa" responsabile
dell'ingiustizia e della repressione. La polizia caricò e disperse
con manganelli e lacrimogeni il corteo. Le agitazioni contro la
polizia dilagarono nelle altre università con scioperi e
occupazioni: il movimento studentesco jugoslavo era nato. Vladimir Mijanovic,
alto, magro, scuro e con occhi di fuoco divenne uno dei più attivi
studenti nell'occupazione delle facoltà umanistiche della capitale.
Era convinto che non bisognasse cedere né alla violenza né alla
lusinga del potere e che la nuova coscienza che si stava formando con
la lotta doveva spingere la critica più oltre: la polizia non aveva
agito a caso e l'intera organizzazione sociale andava rivista e
cambiata profondamente. La sua radicalità e il suo coraggio
animavano molti studenti, il suo modo di essere leader non portava
alla delega ma all'impegno. Le promesse e le
lodi presero il posto degli arresti e dei pestaggi. Pochi giorni
dopo, Tito, da abile e consumato politico, parla alla televisione:
riconosce la validità delle manifestazioni studentesche, ma invita a
tornare quanto prima alla normalità degli studi, degli esami, della
carriera. "Va bene - dice l'anziano maresciallo - siete stati utili
nella denuncia dei problemi più gravi, ma adesso state calmi e non
mettetevi in testa strane idee". Ognuno al suo posto e chi comanda
vedrà di comandare in modo intelligente, afferma in sostanza la
massima autorità statale. Buona parte degli
studenti ritorna sui libri, riprende gli esami, prepara la laurea e
va ad occupare, più o meno tranquillamente, il proprio posto nella
gerarchia tecno-burocratica. Ma per non pochi, tra cui Mijanovic, il
gusto della libertà non può essere archiviato tanto facilmente.
L'esigenza di non piegarsi lo porta a varie esperienze (Vladimir
sconterà un anno di prigione). Il gruppo di
intellettuali marxisti critici si raccoglie intorno alla rivista
"Praxis". Nel 1974 la rivista viene però soppressa e sette
docenti (filosofi, sociologi e altri) sono espulsi dalle Università:
nelle loro analisi non avevano accettato l'opportunismo tipico di
certi intellettuali statalizzati. Un discreto nucleo di studenti
tenta di far scioperare la gente in solidarietà e vi riesce ma per
un breve periodo: il clima complessivo è ormai cambiato e i
risultati sono solo parziali. I professori vengono tolti
dall'insegnamento a contatto con le giovani menti e sono tollerati
quali "ricercatori puri", confinati in un apposito Istituto di
Studi Sociali estraneo all'ambiente universitario. La volontà di
realizzare almeno la condizione basilare per una degna esistenza
culturale e umana - il libero confronto di idee - adotta allora nuove
forme e nascono le "Università libere". Si tratta di discussioni
di 20-30 persone che si svolgono in appartamenti privati e trattano
di argomenti molto vari: dalla filosofia alla psicologia, dalla
storia all'informatica, dalla politica alla ricerca scientifica. Gli
incontri, forzatamente limitati per numero di partecipanti, sono
tutt'altro che clandestini e durano per molti anni coinvolgendo circa
un migliaio di persone, tra cui personalità importanti del mondo
culturale jugoslavo. Va rilevato che in vari campi della produzione
artistica e letteraria la Jugoslavia è molto considerata sul piano
internazionale, per il carattere di creatività, serietà e
anticonformismo: nulla a che vedere con il piatto panorama offerto da
altri intellettuali dei paesi a "socialismo reale". Mentre continuano a
svolgersi queste "tribune libere" la situazione jugoslava si
aggrava pesantemente. Dalla morte di Tito (maggio '80) in poi i vari
nazionalismi si lanciano in feroci accuse reciproche (il Nord ricco e
moderno mostra insofferenza verso il Sud povero e arretrato),
l'integralismo musulmano dilaga nel Kosovo, la crisi economica tocca
livelli impensabili (90% di inflazione): l'intero sistema sembra
vacillare. L'incompetenza, la corruzione e l'ambizione di buona parte
dei dirigenti politici ed economici hanno prodotto danni
irreversibili, a lungo ignorati e nascosti. Si va avanti grazie alle
rimesse degli emigranti (più di un milione) e agli aiuti-capestro
della finanza internazionale. Negli ultimi tempi l'insoddisfazione e
lo scontento sono ormai una condizione quasi normale e i lavoratori
scioperano frequentemente contro l'aumento dei prezzi e altre misure
economiche. L'autogestione, versione originale e, se vogliamo,
contraddittoria del socialismo jugoslavo (che resta un socialismo di
Stato) non ha prodotto un reale decentramento del potere, bensì una
concorrenza fra piccole e rissose burocrazie aziendali, territoriali,
nazionali. Vari studiosi della
società jugoslava, anche i meno pessimisti, concordano sul fatto che
oggi funzionano realmente solo due "servizi pubblici": l'esercito
e il servizio segreto. La prospettiva di una "polonizzazione" con
tanto di auto-golpe e relativa repressione non è poi tanto
impossibile. Non a caso l'esperienza di Solidarnosc aveva trovato
molte simpatie negli ambienti politicamente più aperti e sensibili,
tanto che ci furono piccole manifestazioni (ovviamente illegali) di
fronte all'ambasciata polacca ai tempi del golpe di Yaruzelsky. A parteciparvi
furono proprio alcuni militanti di sinistra poi imputati al processo
di Belgrado, il processo alle "Università Libere". Esso si è
tenuto dal novembre 1984 al febbraio 1985 e si è concluso con la
condanna definitiva di due intellettuali, lo storico Milic e il
sociologo Nikolić, a un
anno e mezzo e a otto mesi di prigione. Il processo ha avuto una
durata eccezionale e una sentenza "relativamente mite", grazie
all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale e alla solidarietà di
molti esponenti intellettuali, jugoslavi e non. Ma i processi e le
condanne contro oppositori sia di sinistra che di destra continuano e
colpiscono duramente varie persone poco note che esprimono il loro
pensiero spesso in modo elementare, i più frequenti sono con
motivazioni religiose o nazionaliste. Il potere anche in
queste circostanze si illude che la repressione giudiziaria possa
risolvere i gravissimi problemi che esso stesso ha contribuito ad
acutizzare in maniera insopportabile e forse irrisolvibile. "Se fai
ancora una volta tale domanda (su alcuni fatti oscuri della storia
del comunismo jugoslavo) ti ucciderò come ho fatto con Jovan
Borovic, Gino Gligorievic e Pasha Mandzic": questa frase,
pronunciata da un dirigente della polizia rivolto allo storico Milic,
è stata rievocata al processo di Belgrado dall'imputato Milic. Di questo processo
si parla nel libro "A bocca chiusa. Cronaca e
documenti del processo contro i dissidenti di sinistra
in Jugoslavia" (Belgrado 1984-'85)
curato dal Centro Studi Libertari di Trieste e dal Garcos di Milano,
edito dalla Cooperativa Tipolitografica di Carrara. Per ordinazioni
rivolgersi al Gruppo Anarchico "Germinal", via Mazzini 11, 34121
Trieste (tel. 040/62334) utilizzando il ccp n. 16525347 intestato al
Gruppo. Il costo è di 7.000 lire (compresa la spedizione).
|