Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 137
maggio 1986


Rivista Anarchica Online

Dissenso in Jugoslavia
di Claudio Venza

Tutto (o quasi) cominciò con un concerto. Come in molte città europee occidentali, accorse un mare di gente, la sera del 2 giugno 1968 a Belgrado. E tanti giovani, esclusi dalla sala, protestarono. Si trovarono di fronte la polizia che caricò, picchiò brutalmente e sparò numerosi colpi di pistola.
L'indomani l'Università di Belgrado era in fermento e si formò un folto e combattivo corteo diretto verso il Parlamento. Vari studenti portavano il ritratto di Tito giovane vestito da partigiano e gridavano slogan contro la "borghesia rossa" responsabile dell'ingiustizia e della repressione. La polizia caricò e disperse con manganelli e lacrimogeni il corteo. Le agitazioni contro la polizia dilagarono nelle altre università con scioperi e occupazioni: il movimento studentesco jugoslavo era nato.
Vladimir Mijanovic, alto, magro, scuro e con occhi di fuoco divenne uno dei più attivi studenti nell'occupazione delle facoltà umanistiche della capitale. Era convinto che non bisognasse cedere né alla violenza né alla lusinga del potere e che la nuova coscienza che si stava formando con la lotta doveva spingere la critica più oltre: la polizia non aveva agito a caso e l'intera organizzazione sociale andava rivista e cambiata profondamente. La sua radicalità e il suo coraggio animavano molti studenti, il suo modo di essere leader non portava alla delega ma all'impegno.
Le promesse e le lodi presero il posto degli arresti e dei pestaggi. Pochi giorni dopo, Tito, da abile e consumato politico, parla alla televisione: riconosce la validità delle manifestazioni studentesche, ma invita a tornare quanto prima alla normalità degli studi, degli esami, della carriera. "Va bene - dice l'anziano maresciallo - siete stati utili nella denuncia dei problemi più gravi, ma adesso state calmi e non mettetevi in testa strane idee". Ognuno al suo posto e chi comanda vedrà di comandare in modo intelligente, afferma in sostanza la massima autorità statale.
Buona parte degli studenti ritorna sui libri, riprende gli esami, prepara la laurea e va ad occupare, più o meno tranquillamente, il proprio posto nella gerarchia tecno-burocratica. Ma per non pochi, tra cui Mijanovic, il gusto della libertà non può essere archiviato tanto facilmente. L'esigenza di non piegarsi lo porta a varie esperienze (Vladimir sconterà un anno di prigione).
Il gruppo di intellettuali marxisti critici si raccoglie intorno alla rivista "Praxis". Nel 1974 la rivista viene però soppressa e sette docenti (filosofi, sociologi e altri) sono espulsi dalle Università: nelle loro analisi non avevano accettato l'opportunismo tipico di certi intellettuali statalizzati. Un discreto nucleo di studenti tenta di far scioperare la gente in solidarietà e vi riesce ma per un breve periodo: il clima complessivo è ormai cambiato e i risultati sono solo parziali. I professori vengono tolti dall'insegnamento a contatto con le giovani menti e sono tollerati quali "ricercatori puri", confinati in un apposito Istituto di Studi Sociali estraneo all'ambiente universitario.
La volontà di realizzare almeno la condizione basilare per una degna esistenza culturale e umana - il libero confronto di idee - adotta allora nuove forme e nascono le "Università libere". Si tratta di discussioni di 20-30 persone che si svolgono in appartamenti privati e trattano di argomenti molto vari: dalla filosofia alla psicologia, dalla storia all'informatica, dalla politica alla ricerca scientifica. Gli incontri, forzatamente limitati per numero di partecipanti, sono tutt'altro che clandestini e durano per molti anni coinvolgendo circa un migliaio di persone, tra cui personalità importanti del mondo culturale jugoslavo. Va rilevato che in vari campi della produzione artistica e letteraria la Jugoslavia è molto considerata sul piano internazionale, per il carattere di creatività, serietà e anticonformismo: nulla a che vedere con il piatto panorama offerto da altri intellettuali dei paesi a "socialismo reale".
Mentre continuano a svolgersi queste "tribune libere" la situazione jugoslava si aggrava pesantemente. Dalla morte di Tito (maggio '80) in poi i vari nazionalismi si lanciano in feroci accuse reciproche (il Nord ricco e moderno mostra insofferenza verso il Sud povero e arretrato), l'integralismo musulmano dilaga nel Kosovo, la crisi economica tocca livelli impensabili (90% di inflazione): l'intero sistema sembra vacillare. L'incompetenza, la corruzione e l'ambizione di buona parte dei dirigenti politici ed economici hanno prodotto danni irreversibili, a lungo ignorati e nascosti. Si va avanti grazie alle rimesse degli emigranti (più di un milione) e agli aiuti-capestro della finanza internazionale. Negli ultimi tempi l'insoddisfazione e lo scontento sono ormai una condizione quasi normale e i lavoratori scioperano frequentemente contro l'aumento dei prezzi e altre misure economiche. L'autogestione, versione originale e, se vogliamo, contraddittoria del socialismo jugoslavo (che resta un socialismo di Stato) non ha prodotto un reale decentramento del potere, bensì una concorrenza fra piccole e rissose burocrazie aziendali, territoriali, nazionali.
Vari studiosi della società jugoslava, anche i meno pessimisti, concordano sul fatto che oggi funzionano realmente solo due "servizi pubblici": l'esercito e il servizio segreto. La prospettiva di una "polonizzazione" con tanto di auto-golpe e relativa repressione non è poi tanto impossibile. Non a caso l'esperienza di Solidarnosc aveva trovato molte simpatie negli ambienti politicamente più aperti e sensibili, tanto che ci furono piccole manifestazioni (ovviamente illegali) di fronte all'ambasciata polacca ai tempi del golpe di Yaruzelsky.
A parteciparvi furono proprio alcuni militanti di sinistra poi imputati al processo di Belgrado, il processo alle "Università Libere". Esso si è tenuto dal novembre 1984 al febbraio 1985 e si è concluso con la condanna definitiva di due intellettuali, lo storico Milic e il sociologo Nikolić, a un anno e mezzo e a otto mesi di prigione. Il processo ha avuto una durata eccezionale e una sentenza "relativamente mite", grazie all'attenzione dell'opinione pubblica mondiale e alla solidarietà di molti esponenti intellettuali, jugoslavi e non.
Ma i processi e le condanne contro oppositori sia di sinistra che di destra continuano e colpiscono duramente varie persone poco note che esprimono il loro pensiero spesso in modo elementare, i più frequenti sono con motivazioni religiose o nazionaliste.
Il potere anche in queste circostanze si illude che la repressione giudiziaria possa risolvere i gravissimi problemi che esso stesso ha contribuito ad acutizzare in maniera insopportabile e forse irrisolvibile. "Se fai ancora una volta tale domanda (su alcuni fatti oscuri della storia del comunismo jugoslavo) ti ucciderò come ho fatto con Jovan Borovic, Gino Gligorievic e Pasha Mandzic": questa frase, pronunciata da un dirigente della polizia rivolto allo storico Milic, è stata rievocata al processo di Belgrado dall'imputato Milic.
Di questo processo si parla nel libro "A bocca chiusa. Cronaca e documenti del processo contro i dissidenti di sinistra in Jugoslavia" (Belgrado 1984-'85) curato dal Centro Studi Libertari di Trieste e dal Garcos di Milano, edito dalla Cooperativa Tipolitografica di Carrara.
Per ordinazioni rivolgersi al Gruppo Anarchico "Germinal", via Mazzini 11, 34121 Trieste (tel. 040/62334) utilizzando il ccp n. 16525347 intestato al Gruppo. Il costo è di 7.000 lire (compresa la spedizione).