Rivista Anarchica Online
Fare i conti con
Emma
di Marsha Hewitt
Superare il
separatismo. Indagare e riflettere sull'interconnessione di tutte le
forme di oppressione. Combattere il sessismo riconoscendone la
presenza anche tra le donne. E soprattutto
confrontarsi criticamente con l'esperienza ed il pensiero di Emma
Goldman. Lo propone
Marsha Hewitt, anarcofemminista americana.
Le femministe sono
ancora divise sulla questione del separatismo. Per dirla
semplicemente, il problema consiste nel fatto che alcune femministe
mettono in dubbio l'opportunità di stringere legami con altri
movimenti per l'emancipazione e la trasformazione sociale. Molte
femministe ritengono che la lotta per la liberazione della donna
dovrebbe sottostare a troppi compromessi e correrebbe troppi rischi,
se le donne militassero in organizzazioni e movimenti insieme agli
uomini. Recentemente, una femminista libertaria di mia conoscenza, ha
formulato il problema in questi termini: "le femministe hanno
poco da guadagnare dagli anarchici... anzi... l'anarchismo ha molto
da imparare dal movimento femminista... è essenziale che le donne
operino da sole e che gli uomini formino gruppi esclusivamente
maschili". Questo punto di
vista mi trova abbastanza concorde. Infatti la mia personale
esperienza di collaborazione con gli uomini in diversi progetti
politici mi ha insegnato che i maschi - per quanto progressisti e
sensibili ai problemi e alle rivendicazioni femminili - hanno quasi
sempre, chi più e chi meno, atteggiamenti sessisti nei confronti
delle donne. In realtà, nessuno può sfuggire alla socializzazione di
una cultura sessista, neppure le donne. E dico questo per
sottolineare il fatto che le donne sono oggetto di un processo
storico e culturale di socializzazione non diverso da quello degli
uomini. Ma sono vittime di ingiustizie sociali particolari, talvolta
più gravi di quelle cui sono soggetti gli uomini. Sarebbe stupido e
sbagliato negare che anche le donne abbiano interiorizzato
atteggiamenti sessisti, sia verso altre donne, sia verso gli uomini.
Ad esempio, c'è una corrente del pensiero femminista che tende a
identificare il maschio con la natura e perciò interpreta il mondo
sulla base di una dicotomia fasulla, di una contrapposizione tra
"fallocentrismo" e "ginocentrismo". Dobbiamo dire che
le donne sono e sono sempre state protagoniste attive della storia,
anche se questo fatto non è stato sempre riconosciuto; le donne
sono, e sono sempre state, al centro dell'evoluzione storica e della
cultura, che ha formato la loro coscienza non meno di quella degli
uomini. Anche noi viviamo e sperimentiamo l'alienazione. Anche noi
pensiamo in termini di dualismo antagonistico. Tuttavia, ciò non
significa che le donne o gli uomini siano privi di consapevolezza
critica o non sappiano riconoscere l'alienazione e l'oppressione e
non tentino di rovesciare questa situazione esistenziale.
Senza femminismo
niente anarchismo
Non è piacevole
sperimentare atteggiamenti e comportamenti sessisti da parte dei
compagni. La frustrazione e la delusione che ne conseguono
giustificano, da parte delle donne, la tendenza ad uscire dai gruppi
in cui vi sono anche uomini, per formare organizzazioni femminili
separatiste. Tuttavia la soluzione separatista - che offre
un'alternativa immediata e appetibile all'ira e alla frustrazione - è
un errore, sia dal punto di vista teorico che sul piano pratico. Una
politica settaria, fondata sulla divisione tra i sessi o su qualunque
altro elemento di separazione, può diventare facilmente paranoica, e
come tale può essere relegata ai margini, privata di ogni rilevanza.
Non posso fare a meno di concordare con il punto di vista espresso
dal "Manifesto anarco-femminista" dell'ANORG (Federazione
anarchica della Norvegia), nel quale si legge tra l'altro: "Un
anarchismo serio dovrebbe essere femminista, altrimenti sarebbe
soltanto un mezzo anarchismo patriarcale, non un anarchismo vero.
Garantire la presenza del fattore femminista dell'anarchismo è
compito delle anarco-femministe. Senza femminismo non ci sarà
anarchismo". Per parte mia aggiungerò che non ci sarà mai un
vero, efficace femminismo senza anarchismo. Emma Goldman
sarebbe d'accordo con me, perché era convinta che il femminismo non
potesse sviluppare una teoria e una prassi libertarie isolandosi
dalla più vasta lotta per la liberazione dell'umanità. Nella
biografia "Emma Goldman: An Intimate Life" Alice Wexler
riporta queste sue parole: "Ho polemizzato con le femministe...
perché la maggior parte di loro considerava la schiavitù della
donna come qualcosa di separato dal resto dell'umanità". La
Goldman era convinta che "nonostante le linee di confine
artificiali tracciate tra i diritti delle donne e quelli degli
uomini... esiste un punto nel quale queste differenziazioni possono
incontrarsi e fondersi in un insieme perfetto". Il pericolo che si
annida in un femminismo inteso come politica orientata esclusivamente
all'emancipazione della donna è, ovviamente, il riformismo politico
e sociale. Come la Goldman stessa sottolineò, nel criticare il
movimento suffragista, la conquista del voto da parte delle donne non
rappresenta una minaccia per il sistema dominante - semplicemente, lo
rafforza. La liberazione presuppone una trasformazione radicale
dell'intero ordine politico, economico e sociale. Se questo obiettivo
ultimo pare irraggiungibile, dobbiamo ugualmente pensare e agire
secondo questo ideale necessariamente utopico. Si tratta di vivere
creativamente, di sviluppare fantasie creative, fantasie necessarie,
non avulse dall'area delle possibilità razionali. Secondo Alice
Wexler, la Goldman "diede una dimensione femminista
all'anarchismo e una dimensione libertaria al concetto
dell'emancipazione della donna". Si adoperò perché gli anarchici
riconoscessero al sesso la sua natura politica, ovvero comprendessero
che una completa libertà sessuale e riproduttiva è requisito
essenziale dell'emancipazione femminile. Questo concetto non sarà
mai ribadito abbastanza nelle discussioni sul femminismo e
sull'anarchismo, perché un'analisi più approfondita della politica
della sessualità rivela l'intricata complessità dell'esperienza
umana,- in termini di pensiero, sensazione e azione. Ora dobbiamo
pensare sensitivamente. Ciò ci costringe a ripensare la natura della
rivoluzione come processo, come prassi mutativa del pensiero, del
sentimento e dell'attività sociale collettiva.
La gerarchia
dentro di noi
Palesando il legame
tra liberazione sessuale e liberazione umana, la Goldman fece capire
meglio come il potere esercitato attraverso la gerarchia e la
dominazione si estenda anche al di là delle strutture economiche e
delle istituzioni sociali. Spetta alle anarco-femministe
contemporanee approfondire questa analisi. Uno dei punti focali del
pensiero anarchico contemporaneo è la consapevolezza della
dominazione come costruzione interna, mentale, che riflette le
strutture della coscienza. Secondo Murray Bookchin: "La
gerarchia non è soltanto una condizione sociale; è anche uno stato
di coscienza, una sensibilità nei confronti dei fenomeni a ogni
livello dell'esperienza personale e sociale". L'anarchismo è e
deve essere molto più che un'analisi critica delle strutture e delle
organizzazioni sociali della dominazione. Il suo bersaglio non deve
essere soltanto lo stato. La teoria anarchica riconosce alle idee il
potere di cambiare le condizioni materiali e "alla coscienza la
supremazia nel plasmare le condizioni di vita". In questo senso, il
pensiero e il linguaggio - i mezzi con i quali interpretiamo la
nostra esperienza e la comunichiamo al mondo - sono prassi tanto quanto
l'attività sociale. La Goldman non considerava determinante il ruolo
dell'economia nelle strutture sociali e nei rapporti personali e,
secondo la Wexler, si spinse anche più in là dei suoi contemporanei
anarchici, nell'asserire che "la chiave della rivoluzione
anarchica era una rivoluzione nel campo della morale, la
"transvalutazione dei valori", la conquista dei "fantasmi"
che hanno tenuto la gente prigioniera". Così si spiega,
naturalmente, l'interesse della Goldman per la cultura, l'arte e la
letteratura, e si spiega anche la sua considerazione per il potere e
l'influenza dell'individuo, per quanto problematiche siano state
talvolta le sue idee su quest'ultimo punto. La Goldman aveva
anche ben chiara la necessità di trasformare il nostro stesso modo
di pensare, anche se perlopiù si limitava a discutere di costumi e
di atteggiamenti sociali. Ma la sua insistenza sull'importanza della
sessualità e sulla sua energia potenzialmente creativa come forza
positiva nel processo di trasformazione individuale e sociale
contribuì ad aprire la strada a nuovi futuri sviluppi
nell'anarchismo e nel femminismo, che a loro volta hanno favorito una
migliore comprensione del rapporto tra teoria e prassi. Questa è
un'area che deve essere analizzata più approfonditamente: la teoria
(cioè il pensiero critico) è prassi, e la prassi è teoria. Così
il processo rivoluzionario deve necessariamente svolgersi anche nella
mente, non soltanto nella società, altrimenti non può avvenire
alcun cambiamento liberatorio, trasformatore. Ed è importante tenere
presente che non mi riferisco soltanto a idee "corrette" o
a una ideologia "giusta", perché una ideologia definita è un
sistema chiuso, di per sé autoritario. Il pensiero critico deve
essere sempre aperto e mutevole nell'ambito del processo storico. A
questo punto voglio mettere bene in chiaro che il femminismo è tanto
una teoria critica, una teoria della conoscenza (una critica della
razionalità, ma non una razionalità alternativa, come alcune
femministe vorrebbero) quanto un movimento pratico, sociale. Se limitiamo alla
sfera sociale ed economica il rapporto dialettico teoria/prassi,
cadiamo nella trappola della reificazione, cioè siamo indotti a
ritenere che "la rivoluzione" abbia luogo in un particolare
momento storico, dopo il quale s'instaura sulla terra il paradiso,
nella forma delle burocrazie e delle istituzioni
concrete/concretizzate proprie dell'ordine post-rivoluzionano. Il
risultato è una "Rivoluzione d'Ottobre" che produce un
socialismo reificato; a un processo di trasformazione si
sostituiscono forme istituzionali morte e nuove gerarchie della
dominazione. La consapevolezza critica viene meno, diviene anatema, e
come logica conseguenza si ha l'obliterazione del soggetto storico -
l'essere umano. L'essere umano come agente della storia - locus del
cambiamento, della prassi, della stessa dialettica (*) - si dissolve
inevitabilmente in nuovi (vecchi) meccanismi di controllo e
nell'autoritarismo. Il contributo più
importante di Emma Goldman all'anarco-femminismo, che le
anarco-femministe contemporanee devono ulteriormente sviluppare,
consiste nell'aver dimostrato l'importanza della forza di
trasformazione che hanno le idee e la necessità di vivere la
rivoluzione nell'esistenza quotidiana, anche nei rapporti umani più
intimi. Ciò che vorrei
analizzare più a fondo, qui, è il concetto di pensiero come prassi
rivoluzionaria. A questo proposito vale la pena di citare Gajo
Petrovic, un marxista jugoslavo, collaboratore della rivista Praxis:
"un'interpretazione del mondo che non trasformi il mondo è
impossibile, sia dal punto di vista logico che dal punto di vista
empirico. Per il solo fatto di interpretare il mondo, come minimo
l'uomo (sic) muta la concezione che ha di esso. E se questa sua
concezione cambia, l'uomo non può esimersi dal mutare anche i
rapporti che ha con il mondo. E mutando le sue idee e i suoi
comportamenti, egli influisce sulle idee e sui comportamenti degli
altri, con i quali ha rapporti diversi... Forse che egli è... fuori
dal mondo, quando riflette su di esso e lo interpreta?". Il pensiero non è
soltanto riflessione passiva sull'azione compiuta; ciò che Petrovic
dice sul pensiero come prassi e sul rapporto tra consapevolezza e
azione è importante sia per il femminismo, sia per l'anarchismo,
perché nella sua negazione di una rigida distinzione tra privato e
pubblico, tra soggetto e oggetto, tra pensiero e azione, tra maschio
e femmina, tra umanità e natura, questa critica si rivolge alla
natura dell'alienazione epistemologica. Il modo in cui viviamo i
rapporti più intimi con il prossimo, il modo in cui viviamo
l'esistenza quotidiana e il modo in cui la pensiamo e riflettiamo su
di essa, tutto questo è di per sé parte del processo rivoluzionario
in corso. Per tornare al tema
della liberazione sessuale e al suo ruolo nel processo
rivoluzionario: Emma Goldman vide chiaramente l'effetto distruttivo e
oppressivo dell'istituzionalizzazione della sessualità femminile
nella struttura del matrimonio e le conseguenze per ciò che concerne
la limitazione sociale della donna: "Come sempre, (la Goldman) mise
in evidenza il carattere repressivo del matrimonio, sia come "accordo
economico, contratto di assicurazione", sia come "valvola
di sicurezza contro il pernicioso risveglio sessuale della donna".
Nulla, diceva, è più scandaloso "dell'idea che una donna sana
e adulta, piena di vita e di passione, debba negare un'esigenza
naturale, debba vincere il suo più intenso desiderio, debba minare
la propria salute e mortificare lo spirito, debba smussare le proprie
fantasie, insomma debba rinunciare alla profondità e alla
magnificenza dell'esperienza sessuale, finché un 'bravo' uomo non la
prenda in moglie? Perché il matrimonio non significa altro che
questo". A questo punto
vorrei dire due parole sulla questione del matrimonio e della
monogamia. Non voglio dire che l'uno sia necessariamente sinonimo
dell'altra, anche se spesso questa identificazione è data per
scontata. La sinistra deve ripensare a quelli che era solita
condannare come i valori "tradizionali" della famiglia,
della monogamia, del rapporto di fedeltà, ecc... La rivoluzione
sessuale ha ridotto spesso la sessualità a una sperimentazione fine
a se stessa, e così ha contribuito a fare della sessualità non
un'esperienza significativa, vissuta in comune tra due persone, ma
uno scambio di piacere. E durante la "rivoluzione sessuale"
degli anni '60 e dei primi anni '70 le donne hanno subito uno
sfruttamento non lieve, in parte perché esse stesse accettavano
quella particolare ideologia. La sinistra deve rendersi conto che i
cosiddetti "valori tradizionali", quali la monogamia, possono
essere oppressivi, ma anche emancipatori. È importante
effettuare una nuova analisi dell'etica e dei valori sessuali, perché
oggi la nuova destra si sta facendo avanti su questo terreno e si è
impadronita del dibattito sui "valori tradizionali",
raccogliendo alcuni consensi da parte popolare. Indubbiamente, Emma
Goldman si rese perfettamente conto delle contraddizioni nei rapporti
interpersonali, e in particolare della contraddizione e della
tensione fra la teorizzazione della "varietà" delle
esperienze e della scomparsa della gelosia da una parte e il
desiderio profondo di un rapporto sessuale esclusivo dall'altra. La
sua relazione con Ben Reitman lo dimostra chiaramente. Non possiamo
ignorare queste contraddizioni e dobbiamo anzi cominciare ad
analizzarle con dignità e con umanità. Nel contratto
tradizionale di matrimonio, con tutte le sue sanzioni legali e
sociali e la divisione del lavoro in base al sesso, le donne sono
private di ogni autonomia e della possibilità di crescere. Ma la
forma più insidiosa di oppressione della donna consiste
nell'interiorizzazione delle restrizioni imposte dalla società e dal
matrimonio, che impediscono alla donna di pensare ad alternative
reali alla sua condizione. La Goldman si rendeva conto, giustamente,
che la liberazione della donna non si sarebbe realizzata con il
miglioramento delle condizioni esteriori, materiali, anche se queste
erano indubbiamente importanti. La chiave della liberazione della
donna deve essere una "rigenerazione interiore". La donna
deve "liberarsi dal peso dei pregiudizi, delle tradizioni e dei
costumi. L'emancipazione vera, sosteneva (la Goldman), non comincia
nelle urne elettorali o nei tribunali, ma nell'animo stesso della
donna". Le idee femministe
della Goldman hanno approfondito e arricchito il pensiero anarchico,
perché con esse la Goldman ha cercato di dimostrare che la
trasformazione collettiva della società dipende necessariamente
dalla liberazione interiore psicologica, mentale e spirituale degli
individui. Questa è "l'eredità" che le anarco-femministe
devono continuare a sviluppare e sulla quale devono costruire. La visione
femminista è una visione libertaria, come ha scritto Peggy
Kornegger: "le femministe sono state per anni inconsapevolmente
anarchiche, sia in teoria che in pratica". Il legame più
importante tra femminismo e anarchismo è il riconoscimento, comune a
entrambi, della necessità di trasformare le strutture di potere e i
rapporti sociali di gerarchia e di dominazione. L'anarchismo aiuta il
femminismo ad affrontare il problema del potere, a comprenderne le
dinamiche distruttive e a formulare modi alternativi di
organizzazione. La pratica femminista della creazione di una "rete",
ad esempio, ha molto in comune con le forme anarchiche di
organizzazione, in particolare con i gruppi di affinità e con le
organizzazioni federate. Il pensiero
eco-femminista, forse, ha cominciato a sviluppare l'anarco-femminismo
secondo modalità che cercano di evidenziare le intime connessioni
tra ecologia e femminismo. L'eco-femminismo vede la vita "sulla
terra come una serie ramificata di interconnessioni, non come una
gerarchia. Non esistono gerarchie naturali. La gerarchia umana viene
proiettata sulla natura e poi viene usata per giustificare la
dominazione sociale". L'abuso di potere attraverso la gerarchia
e la dominazione è un comportamento umano che siamo stati abituati
ad accettare e a riprodurre in tutti gli aspetti della vita sociale,
dei rapporti personali alle istituzioni sociali. L'anarco-femminismo
si rende perfettamente conto dell'interconnessione che esiste tra le
istituzioni sociali oppressive e i rapporti personali, e che si
riflette nel paradigma del matrimonio tradizionale. La Goldman
individuò il rapporto tra la monogamia obbligata e
"l'addomesticamento e il possesso" delle donne, che instaurava
un monopolio maschile sulla sessualità femminile. Mi sembra che idee
come quelle di cui ho fatto cenno rivelino la naturale (in termini di
necessità logica intrinseca) affinità tra anarchismo e femminismo,
a livello sia teorico che pratico. Le femministe non possono operare
isolate dagli uomini o dai movimenti per l'emancipazione.
Semplicemente, non possiamo permettercelo. "Un movimento
femminista che si limiti all'oppressione specifica delle donne non
può, se opera isolato, porre fine allo sfruttamento. Dobbiamo
continuare a lottare per andare oltre la nostra stessa situazione". L'anarco-femminismo
ha anche, in particolare, il compito di indagare e di riflettere
sull'interconnessione di tutte le forme di oppressione, la cui radice
comune è la dominazione. Vi sarà liberazione per tutti o per
nessuno. L'anarco-femminismo è in grado di dimostrare che la
misoginia, l'imperialismo, il militarismo, la corsa alle armi e il
tentativo di distruggere la natura hanno radici interconnesse. Perciò
l'anarco-femminismo ritiene che il progetto/processo rivoluzionario
sia un progetto/processo globale e multidimensionale, che si sta
attuando adesso in tutti i campi dell'esperienza umana. La
dominazione è la fonte, il centro focale e razionale di ogni
gerarchia: di grado, di classe, familiare, statale o sessuale. Quindi, per quanto
negative siano le esperienze di lavoro con gli uomini nell'ambito di
un movimento comune per una società migliore, è importante non
soltanto che restiamo nel movimento, ma che contestiamo i
comportamenti e gli atteggiamenti sessisti dei nostri compagni/e ogni
qualvolta si manifestano. Come donne, siamo
particolarmente adatte a farlo, perché la nostra esperienza di vita
femminile ci ha insegnato qualcosa di profondo sulle dinamiche del
potere. Nella misura in cui sapremo impostare le nostre relazioni con
i compagni sulla base di questa nostra esperienza, contribuiremo a
rafforzare il movimento e - me l'auguro, ma sarà certo più
problematico - anche le nostre relazioni personali.
(traduzione
di Michele Buzzi dalla rivista canadese Our Generation vol.
17, n 1, autunno/inverno 1985)
(*) Per dialettica
intendo la dialettica della negatività, cioè la negazione e la
trascendenza alle quali ricorriamo come esseri pratici. La struttura
della prassi è quella della negatività e della creatività umana, o
dell'alienazione e della sua trascendenza. Questa è la natura
essenziale di una dialettica critica e rivoluzionaria, il cui locus è
l'essere umano.
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