Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 137
maggio 1986


Rivista Anarchica Online

Fare i conti con Emma
di Marsha Hewitt

Superare il separatismo. Indagare e riflettere sull'interconnessione di tutte le forme di oppressione. Combattere il sessismo riconoscendone la presenza anche tra le donne. E soprattutto confrontarsi criticamente con l'esperienza ed il pensiero di Emma Goldman. Lo propone Marsha Hewitt, anarcofemminista americana.

Le femministe sono ancora divise sulla questione del separatismo. Per dirla semplicemente, il problema consiste nel fatto che alcune femministe mettono in dubbio l'opportunità di stringere legami con altri movimenti per l'emancipazione e la trasformazione sociale. Molte femministe ritengono che la lotta per la liberazione della donna dovrebbe sottostare a troppi compromessi e correrebbe troppi rischi, se le donne militassero in organizzazioni e movimenti insieme agli uomini. Recentemente, una femminista libertaria di mia conoscenza, ha formulato il problema in questi termini: "le femministe hanno poco da guadagnare dagli anarchici... anzi... l'anarchismo ha molto da imparare dal movimento femminista... è essenziale che le donne operino da sole e che gli uomini formino gruppi esclusivamente maschili".
Questo punto di vista mi trova abbastanza concorde. Infatti la mia personale esperienza di collaborazione con gli uomini in diversi progetti politici mi ha insegnato che i maschi - per quanto progressisti e sensibili ai problemi e alle rivendicazioni femminili - hanno quasi sempre, chi più e chi meno, atteggiamenti sessisti nei confronti delle donne. In realtà, nessuno può sfuggire alla socializzazione di una cultura sessista, neppure le donne. E dico questo per sottolineare il fatto che le donne sono oggetto di un processo storico e culturale di socializzazione non diverso da quello degli uomini. Ma sono vittime di ingiustizie sociali particolari, talvolta più gravi di quelle cui sono soggetti gli uomini. Sarebbe stupido e sbagliato negare che anche le donne abbiano interiorizzato atteggiamenti sessisti, sia verso altre donne, sia verso gli uomini. Ad esempio, c'è una corrente del pensiero femminista che tende a identificare il maschio con la natura e perciò interpreta il mondo sulla base di una dicotomia fasulla, di una contrapposizione tra "fallocentrismo" e "ginocentrismo".
Dobbiamo dire che le donne sono e sono sempre state protagoniste attive della storia, anche se questo fatto non è stato sempre riconosciuto; le donne sono, e sono sempre state, al centro dell'evoluzione storica e della cultura, che ha formato la loro coscienza non meno di quella degli uomini. Anche noi viviamo e sperimentiamo l'alienazione. Anche noi pensiamo in termini di dualismo antagonistico. Tuttavia, ciò non significa che le donne o gli uomini siano privi di consapevolezza critica o non sappiano riconoscere l'alienazione e l'oppressione e non tentino di rovesciare questa situazione esistenziale.

Senza femminismo niente anarchismo
Non è piacevole sperimentare atteggiamenti e comportamenti sessisti da parte dei compagni. La frustrazione e la delusione che ne conseguono giustificano, da parte delle donne, la tendenza ad uscire dai gruppi in cui vi sono anche uomini, per formare organizzazioni femminili separatiste. Tuttavia la soluzione separatista - che offre un'alternativa immediata e appetibile all'ira e alla frustrazione - è un errore, sia dal punto di vista teorico che sul piano pratico. Una politica settaria, fondata sulla divisione tra i sessi o su qualunque altro elemento di separazione, può diventare facilmente paranoica, e come tale può essere relegata ai margini, privata di ogni rilevanza. Non posso fare a meno di concordare con il punto di vista espresso dal "Manifesto anarco-femminista" dell'ANORG (Federazione anarchica della Norvegia), nel quale si legge tra l'altro: "Un anarchismo serio dovrebbe essere femminista, altrimenti sarebbe soltanto un mezzo anarchismo patriarcale, non un anarchismo vero. Garantire la presenza del fattore femminista dell'anarchismo è compito delle anarco-femministe. Senza femminismo non ci sarà anarchismo". Per parte mia aggiungerò che non ci sarà mai un vero, efficace femminismo senza anarchismo.
Emma Goldman sarebbe d'accordo con me, perché era convinta che il femminismo non potesse sviluppare una teoria e una prassi libertarie isolandosi dalla più vasta lotta per la liberazione dell'umanità. Nella biografia "Emma Goldman: An Intimate Life" Alice Wexler riporta queste sue parole: "Ho polemizzato con le femministe... perché la maggior parte di loro considerava la schiavitù della donna come qualcosa di separato dal resto dell'umanità". La Goldman era convinta che "nonostante le linee di confine artificiali tracciate tra i diritti delle donne e quelli degli uomini... esiste un punto nel quale queste differenziazioni possono incontrarsi e fondersi in un insieme perfetto".
Il pericolo che si annida in un femminismo inteso come politica orientata esclusivamente all'emancipazione della donna è, ovviamente, il riformismo politico e sociale. Come la Goldman stessa sottolineò, nel criticare il movimento suffragista, la conquista del voto da parte delle donne non rappresenta una minaccia per il sistema dominante - semplicemente, lo rafforza. La liberazione presuppone una trasformazione radicale dell'intero ordine politico, economico e sociale. Se questo obiettivo ultimo pare irraggiungibile, dobbiamo ugualmente pensare e agire secondo questo ideale necessariamente utopico. Si tratta di vivere creativamente, di sviluppare fantasie creative, fantasie necessarie, non avulse dall'area delle possibilità razionali.
Secondo Alice Wexler, la Goldman "diede una dimensione femminista all'anarchismo e una dimensione libertaria al concetto dell'emancipazione della donna". Si adoperò perché gli anarchici riconoscessero al sesso la sua natura politica, ovvero comprendessero che una completa libertà sessuale e riproduttiva è requisito essenziale dell'emancipazione femminile. Questo concetto non sarà mai ribadito abbastanza nelle discussioni sul femminismo e sull'anarchismo, perché un'analisi più approfondita della politica della sessualità rivela l'intricata complessità dell'esperienza umana,- in termini di pensiero, sensazione e azione. Ora dobbiamo pensare sensitivamente. Ciò ci costringe a ripensare la natura della rivoluzione come processo, come prassi mutativa del pensiero, del sentimento e dell'attività sociale collettiva.

La gerarchia dentro di noi
Palesando il legame tra liberazione sessuale e liberazione umana, la Goldman fece capire meglio come il potere esercitato attraverso la gerarchia e la dominazione si estenda anche al di là delle strutture economiche e delle istituzioni sociali. Spetta alle anarco-femministe contemporanee approfondire questa analisi. Uno dei punti focali del pensiero anarchico contemporaneo è la consapevolezza della dominazione come costruzione interna, mentale, che riflette le strutture della coscienza. Secondo Murray Bookchin: "La gerarchia non è soltanto una condizione sociale; è anche uno stato di coscienza, una sensibilità nei confronti dei fenomeni a ogni livello dell'esperienza personale e sociale". L'anarchismo è e deve essere molto più che un'analisi critica delle strutture e delle organizzazioni sociali della dominazione. Il suo bersaglio non deve essere soltanto lo stato. La teoria anarchica riconosce alle idee il potere di cambiare le condizioni materiali e "alla coscienza la supremazia nel plasmare le condizioni di vita". In questo senso, il pensiero e il linguaggio - i mezzi con i quali interpretiamo la nostra esperienza e la comunichiamo al mondo - sono prassi tanto quanto l'attività sociale. La Goldman non considerava determinante il ruolo dell'economia nelle strutture sociali e nei rapporti personali e, secondo la Wexler, si spinse anche più in là dei suoi contemporanei anarchici, nell'asserire che "la chiave della rivoluzione anarchica era una rivoluzione nel campo della morale, la "transvalutazione dei valori", la conquista dei "fantasmi" che hanno tenuto la gente prigioniera".
Così si spiega, naturalmente, l'interesse della Goldman per la cultura, l'arte e la letteratura, e si spiega anche la sua considerazione per il potere e l'influenza dell'individuo, per quanto problematiche siano state talvolta le sue idee su quest'ultimo punto.
La Goldman aveva anche ben chiara la necessità di trasformare il nostro stesso modo di pensare, anche se perlopiù si limitava a discutere di costumi e di atteggiamenti sociali. Ma la sua insistenza sull'importanza della sessualità e sulla sua energia potenzialmente creativa come forza positiva nel processo di trasformazione individuale e sociale contribuì ad aprire la strada a nuovi futuri sviluppi nell'anarchismo e nel femminismo, che a loro volta hanno favorito una migliore comprensione del rapporto tra teoria e prassi. Questa è un'area che deve essere analizzata più approfonditamente: la teoria (cioè il pensiero critico) è prassi, e la prassi è teoria. Così il processo rivoluzionario deve necessariamente svolgersi anche nella mente, non soltanto nella società, altrimenti non può avvenire alcun cambiamento liberatorio, trasformatore. Ed è importante tenere presente che non mi riferisco soltanto a idee "corrette" o a una ideologia "giusta", perché una ideologia definita è un sistema chiuso, di per sé autoritario. Il pensiero critico deve essere sempre aperto e mutevole nell'ambito del processo storico. A questo punto voglio mettere bene in chiaro che il femminismo è tanto una teoria critica, una teoria della conoscenza (una critica della razionalità, ma non una razionalità alternativa, come alcune femministe vorrebbero) quanto un movimento pratico, sociale.
Se limitiamo alla sfera sociale ed economica il rapporto dialettico teoria/prassi, cadiamo nella trappola della reificazione, cioè siamo indotti a ritenere che "la rivoluzione" abbia luogo in un particolare momento storico, dopo il quale s'instaura sulla terra il paradiso, nella forma delle burocrazie e delle istituzioni concrete/concretizzate proprie dell'ordine post-rivoluzionano. Il risultato è una "Rivoluzione d'Ottobre" che produce un socialismo reificato; a un processo di trasformazione si sostituiscono forme istituzionali morte e nuove gerarchie della dominazione. La consapevolezza critica viene meno, diviene anatema, e come logica conseguenza si ha l'obliterazione del soggetto storico - l'essere umano. L'essere umano come agente della storia - locus del cambiamento, della prassi, della stessa dialettica (*) - si dissolve inevitabilmente in nuovi (vecchi) meccanismi di controllo e nell'autoritarismo.
Il contributo più importante di Emma Goldman all'anarco-femminismo, che le anarco-femministe contemporanee devono ulteriormente sviluppare, consiste nell'aver dimostrato l'importanza della forza di trasformazione che hanno le idee e la necessità di vivere la rivoluzione nell'esistenza quotidiana, anche nei rapporti umani più intimi.
Ciò che vorrei analizzare più a fondo, qui, è il concetto di pensiero come prassi rivoluzionaria. A questo proposito vale la pena di citare Gajo Petrovic, un marxista jugoslavo, collaboratore della rivista Praxis: "un'interpretazione del mondo che non trasformi il mondo è impossibile, sia dal punto di vista logico che dal punto di vista empirico. Per il solo fatto di interpretare il mondo, come minimo l'uomo (sic) muta la concezione che ha di esso. E se questa sua concezione cambia, l'uomo non può esimersi dal mutare anche i rapporti che ha con il mondo. E mutando le sue idee e i suoi comportamenti, egli influisce sulle idee e sui comportamenti degli altri, con i quali ha rapporti diversi... Forse che egli è... fuori dal mondo, quando riflette su di esso e lo interpreta?".
Il pensiero non è soltanto riflessione passiva sull'azione compiuta; ciò che Petrovic dice sul pensiero come prassi e sul rapporto tra consapevolezza e azione è importante sia per il femminismo, sia per l'anarchismo, perché nella sua negazione di una rigida distinzione tra privato e pubblico, tra soggetto e oggetto, tra pensiero e azione, tra maschio e femmina, tra umanità e natura, questa critica si rivolge alla natura dell'alienazione epistemologica. Il modo in cui viviamo i rapporti più intimi con il prossimo, il modo in cui viviamo l'esistenza quotidiana e il modo in cui la pensiamo e riflettiamo su di essa, tutto questo è di per sé parte del processo rivoluzionario in corso.
Per tornare al tema della liberazione sessuale e al suo ruolo nel processo rivoluzionario: Emma Goldman vide chiaramente l'effetto distruttivo e oppressivo dell'istituzionalizzazione della sessualità femminile nella struttura del matrimonio e le conseguenze per ciò che concerne la limitazione sociale della donna: "Come sempre, (la Goldman) mise in evidenza il carattere repressivo del matrimonio, sia come "accordo economico, contratto di assicurazione", sia come "valvola di sicurezza contro il pernicioso risveglio sessuale della donna". Nulla, diceva, è più scandaloso "dell'idea che una donna sana e adulta, piena di vita e di passione, debba negare un'esigenza naturale, debba vincere il suo più intenso desiderio, debba minare la propria salute e mortificare lo spirito, debba smussare le proprie fantasie, insomma debba rinunciare alla profondità e alla magnificenza dell'esperienza sessuale, finché un 'bravo' uomo non la prenda in moglie? Perché il matrimonio non significa altro che questo".
A questo punto vorrei dire due parole sulla questione del matrimonio e della monogamia. Non voglio dire che l'uno sia necessariamente sinonimo dell'altra, anche se spesso questa identificazione è data per scontata. La sinistra deve ripensare a quelli che era solita condannare come i valori "tradizionali" della famiglia, della monogamia, del rapporto di fedeltà, ecc... La rivoluzione sessuale ha ridotto spesso la sessualità a una sperimentazione fine a se stessa, e così ha contribuito a fare della sessualità non un'esperienza significativa, vissuta in comune tra due persone, ma uno scambio di piacere. E durante la "rivoluzione sessuale" degli anni '60 e dei primi anni '70 le donne hanno subito uno sfruttamento non lieve, in parte perché esse stesse accettavano quella particolare ideologia. La sinistra deve rendersi conto che i cosiddetti "valori tradizionali", quali la monogamia, possono essere oppressivi, ma anche emancipatori.
È importante effettuare una nuova analisi dell'etica e dei valori sessuali, perché oggi la nuova destra si sta facendo avanti su questo terreno e si è impadronita del dibattito sui "valori tradizionali", raccogliendo alcuni consensi da parte popolare.
Indubbiamente, Emma Goldman si rese perfettamente conto delle contraddizioni nei rapporti interpersonali, e in particolare della contraddizione e della tensione fra la teorizzazione della "varietà" delle esperienze e della scomparsa della gelosia da una parte e il desiderio profondo di un rapporto sessuale esclusivo dall'altra. La sua relazione con Ben Reitman lo dimostra chiaramente. Non possiamo ignorare queste contraddizioni e dobbiamo anzi cominciare ad analizzarle con dignità e con umanità.
Nel contratto tradizionale di matrimonio, con tutte le sue sanzioni legali e sociali e la divisione del lavoro in base al sesso, le donne sono private di ogni autonomia e della possibilità di crescere. Ma la forma più insidiosa di oppressione della donna consiste nell'interiorizzazione delle restrizioni imposte dalla società e dal matrimonio, che impediscono alla donna di pensare ad alternative reali alla sua condizione. La Goldman si rendeva conto, giustamente, che la liberazione della donna non si sarebbe realizzata con il miglioramento delle condizioni esteriori, materiali, anche se queste erano indubbiamente importanti. La chiave della liberazione della donna deve essere una "rigenerazione interiore". La donna deve "liberarsi dal peso dei pregiudizi, delle tradizioni e dei costumi. L'emancipazione vera, sosteneva (la Goldman), non comincia nelle urne elettorali o nei tribunali, ma nell'animo stesso della donna".
Le idee femministe della Goldman hanno approfondito e arricchito il pensiero anarchico, perché con esse la Goldman ha cercato di dimostrare che la trasformazione collettiva della società dipende necessariamente dalla liberazione interiore psicologica, mentale e spirituale degli individui. Questa è "l'eredità" che le anarco-femministe devono continuare a sviluppare e sulla quale devono costruire.
La visione femminista è una visione libertaria, come ha scritto Peggy Kornegger: "le femministe sono state per anni inconsapevolmente anarchiche, sia in teoria che in pratica". Il legame più importante tra femminismo e anarchismo è il riconoscimento, comune a entrambi, della necessità di trasformare le strutture di potere e i rapporti sociali di gerarchia e di dominazione. L'anarchismo aiuta il femminismo ad affrontare il problema del potere, a comprenderne le dinamiche distruttive e a formulare modi alternativi di organizzazione. La pratica femminista della creazione di una "rete", ad esempio, ha molto in comune con le forme anarchiche di organizzazione, in particolare con i gruppi di affinità e con le organizzazioni federate.
Il pensiero eco-femminista, forse, ha cominciato a sviluppare l'anarco-femminismo secondo modalità che cercano di evidenziare le intime connessioni tra ecologia e femminismo. L'eco-femminismo vede la vita "sulla terra come una serie ramificata di interconnessioni, non come una gerarchia. Non esistono gerarchie naturali. La gerarchia umana viene proiettata sulla natura e poi viene usata per giustificare la dominazione sociale". L'abuso di potere attraverso la gerarchia e la dominazione è un comportamento umano che siamo stati abituati ad accettare e a riprodurre in tutti gli aspetti della vita sociale, dei rapporti personali alle istituzioni sociali. L'anarco-femminismo si rende perfettamente conto dell'interconnessione che esiste tra le istituzioni sociali oppressive e i rapporti personali, e che si riflette nel paradigma del matrimonio tradizionale. La Goldman individuò il rapporto tra la monogamia obbligata e "l'addomesticamento e il possesso" delle donne, che instaurava un monopolio maschile sulla sessualità femminile.
Mi sembra che idee come quelle di cui ho fatto cenno rivelino la naturale (in termini di necessità logica intrinseca) affinità tra anarchismo e femminismo, a livello sia teorico che pratico. Le femministe non possono operare isolate dagli uomini o dai movimenti per l'emancipazione. Semplicemente, non possiamo permettercelo. "Un movimento femminista che si limiti all'oppressione specifica delle donne non può, se opera isolato, porre fine allo sfruttamento. Dobbiamo continuare a lottare per andare oltre la nostra stessa situazione".
L'anarco-femminismo ha anche, in particolare, il compito di indagare e di riflettere sull'interconnessione di tutte le forme di oppressione, la cui radice comune è la dominazione. Vi sarà liberazione per tutti o per nessuno. L'anarco-femminismo è in grado di dimostrare che la misoginia, l'imperialismo, il militarismo, la corsa alle armi e il tentativo di distruggere la natura hanno radici interconnesse. Perciò l'anarco-femminismo ritiene che il progetto/processo rivoluzionario sia un progetto/processo globale e multidimensionale, che si sta attuando adesso in tutti i campi dell'esperienza umana. La dominazione è la fonte, il centro focale e razionale di ogni gerarchia: di grado, di classe, familiare, statale o sessuale.
Quindi, per quanto negative siano le esperienze di lavoro con gli uomini nell'ambito di un movimento comune per una società migliore, è importante non soltanto che restiamo nel movimento, ma che contestiamo i comportamenti e gli atteggiamenti sessisti dei nostri compagni/e ogni qualvolta si manifestano.
Come donne, siamo particolarmente adatte a farlo, perché la nostra esperienza di vita femminile ci ha insegnato qualcosa di profondo sulle dinamiche del potere. Nella misura in cui sapremo impostare le nostre relazioni con i compagni sulla base di questa nostra esperienza, contribuiremo a rafforzare il movimento e - me l'auguro, ma sarà certo più problematico - anche le nostre relazioni personali.

(traduzione di Michele Buzzi dalla rivista canadese Our Generation vol. 17, n 1, autunno/inverno 1985)


(*) Per dialettica intendo la dialettica della negatività, cioè la negazione e la trascendenza alle quali ricorriamo come esseri pratici. La struttura della prassi è quella della negatività e della creatività umana, o dell'alienazione e della sua trascendenza. Questa è la natura essenziale di una dialettica critica e rivoluzionaria, il cui locus è l'essere umano.