Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 137
maggio 1986


Rivista Anarchica Online

Il sindacato prossimo venturo
di Luce Fabbri

Nonostante gli attuali sindacati siano ormai da tempo burocratizzati, politicizzati, strumentalizzati, non è possibile pensare ad una loro scomparsa. Il lavoro occupa un posto ancora troppo importante nella vita di tutti noi, perché si possa trascurare il sindacato. Urge però pensarne un nuovo modello.

Pago un vecchio debito che ho con "A" cercando oggi di delineare la mia visione del problema sindacale, che nel 1981 non coincideva (o non era chiaro se coincidesse o no) con quella della rivista.
Nel secolo scorso, e più precisamente nel 1864, sorse la Prima Internazionale con la bandiera dell'unità di tutti i lavoratori del mondo contro lo sfruttamento capitalista, reso possibile dall'appoggio dell'autorità politica, ch'era lo stato borghese com'era uscito da quella gran matrice che fu la Rivoluzione Francese. È vero che il capitalismo, allora in pieno rigoglio, trovava già troppo pesante tale appoggio e contro le sue ancora deboli tendenze al controllo dell'economia elevava le proteste d'un liberalismo di segno retrogrado. Però di fronte al pericolo rappresentato dall'associazione dei lavoratori mise subito gli internazionalisti fuori della legge.
Da allora, la situazione è radicalmente cambiata. L'economia di mercato , caratteristica del capitalismo, è entrata in una serie di crisi di sovrapproduzione e sottoconsumo, il cui ritmo uniformemente accelerato è stato perturbato da due guerre mondiali, che l'hanno ritardato mentre rendevano le crisi stesse più acute e più universalmente inumane. Alla vigilia della seconda guerra mondiale si ebbe la sensazione che il capitalismo fosse arrivato al suo punto di rottura e questa fu tra le cause non ultime del conflitto. Dalla guerra è nato un neocapitalismo ultra-tecnificato, che è entrato anch'esso nella spirale delle crisi progressive, mentre su tutti incombe la minaccia d'una terza - e stavolta davvero ultima - guerra mondiale. Il totalitario capitalismo di Stato, che si propone dall'Est come alternativa, soffre degli stessi mali (conserva il salariato e accentua la divisione della società in classi) ed elimina inoltre le possibilità di sopravvivenza che vengono dall'esistenza di nuclei di base relativamente indipendenti.
Nello stesso periodo di tempo (che - non sembrerebbe - è già di un secolo e un quarto), il movimento sindacale si è fatto potente, tanto da diventare teatro di una lotta per la supremazia tra i vari partiti politici: l'unità sindacale, norma considerata ovvia agli inizi ("Proletari di tutti i paesi, unitevi!") si trasformò allora in un principio da difendere. Già nella lotta fra Marx e Bakunin in seno alla Prima Internazionale, il nucleo del problema, secondo Bakunin, stava nella necessità di mantenere l'associazione operaia al di fuori dei partiti e della competizione politica, perché i sindacati stessi non si strumentalizzassero al servizio di forze aspiranti a inserirsi nello Stato. Marx invece voleva fare dell'organizzazione sindacale un partito che prendesse il potere. La divergenza portò alla scissione, ma solo molto più tardi gli sviluppi del movimento sindacale e dei partiti finirono col dar ragione alle previsioni di Bakunin, giacché al principio il Partito Socialista d'ispirazione marxista crebbe molto ed ebbe il sopravvento la Seconda Internazionale, che, nei due primi decenni del secolo costituì la forza dominante nel campo del lavoro ed era una forza che i lavoratori sentivano come umanitaria, malgrado ci fossero all'altro estremo anche i sindacati cattolici - collaborazionisti -, usciti dalla Rerum Novarum.

L'equivoco dell'antimperialismo
Conseguenza a distanza della politicizzazione del movimento operaio voluta da Marx fu, in clima autoritario, la dittatura dei capi del "partito del proletariato" sul proletariato stesso, e, in clima democratico, il frazionamento sindacale. Tutte e due le cose si produssero successivamente nell'ambito cronologico e nell'epicentro geografico della prima guerra mondiale.
Infatti, per ritardare una crisi interna, che non appariva ancora come definitiva, ma era già molto minacciosa, e perché il movimento operaio faceva paura, il capitalismo scatenò nel 1914 la guerra (vedi, a questo proposito, le prime otto pagine del libro di Luigi Fabbri: "Dittatura e rivoluzione", Ed. Bitelli, Ancona, 1921), che in un primo momento ottenne il suo scopo: si ebbe la rottura del movimento operaio europeo, come conseguenza del suo vincolo con i due potenti partiti socialisti francese e tedesco, che seguirono la politica dei rispettivi governi. Lo sciopero generale, tante volte proclamato a freddo, si dissipò come un mito sorpassato nella mente degli uomini concreti, tutti presi dal clima rovente del conflitto. In Italia, il partito socialista non si lasciò trascinare, ma rimase isolato. Il movimento operaio aveva le reni spezzate.
Tutti i timori delle classi dominanti risorsero quando, in piena guerra, nel 1917, scoppiò la rivoluzione russa, che sembrò l'attuazione degli ideali della Prima Internazionale, giacché la sua parola d'ordine fu: "Il potere ai soviet" cioè alle associazioni locali d'operai, contadini e soldati. Il trionfo del partito bolscevico, marxista, accentratore, stalinista all'ennesima potenza, iniziò la controrivoluzione. Lenin riprese la linea di Marx nelle sue più accese affermazioni antibakuniniste (ci sono molti Marx) e vi aggiunse due elementi non fatti per conservare l'unità sindacale:
a) quella che si chiamò la "partiticità" (il termine credo sia di Gramsci), cioè la trasformazione del Partito in un valore assoluto e indiscutibile, come in passato la Compagnia di Gesù o la Carboneria, stabilendo in Russia il dispotismo del "partito unico" e la conseguente statalizzazione dei sindacati, mentre negli altri paesi rompeva l'unità sindacale a profitto delle varie tendenze politiche;
b) l'"antimperialismo", che, giusto nella valutazione dei fattori in gioco, ne traeva conseguenze errate sul terreno della tattica di lotta e divideva il proletariato con le stesse frontiere segnate dal capitalismo: il conflitto non era più fra classi, ma fra nazioni. In quest'ultimo terreno, non faceva che continuare la linea dei socialisti francesi e tedeschi che trascinarono i due rispettivi proletariati a una lotta fratricida: anche la guerra del '14 si giustificava con la necessità di combattere contro l'imperialismo tedesco. In un caso e nell'altro, prevaleva la ragion di Stato.
Se il 1914 segna la nazionalizzazione (cioè la divisione secondo le nazioni) del movimento sindacale, il 1917 segna l'inizio della sua statizzazione. Trasformati in organi dello Stato, che è, nello stesso tempo, il successore del capitalismo privato come possessore delle fabbriche e sostituisce quindi il padrone, i sindacati diventano, in Russia, strumenti di controllo, non solo economico, ma anche politico, sulla classe operaia. Diventano uno dei settori dell'apparato statale. Qualcosa di simile successe poi in regime fascista e nazista e, in America Latina, col peronismo in Argentina e col varghismo in Brasile. Tale trasformazione ebbe un'immediata ripercussione nei paesi in cui non s'era prodotta nessuna rivoluzione e imperava un regime demo-plutocratico. Sorsero dappertutto, come conseguenza della Rivoluzione Russa, i "partiti del proletariato" che, con la bandiera d'una nuova Internazionale, la Terza, ancora a Mosca, produssero la scissione dei diversi partiti socialisti e avviarono a future scissioni anche il movimento sindacale, legato, a partire da allora, alla lotta per il potere delle due frazioni.
Il sindacato soffre in questo clima, anche nei paesi democratici, una trasformazione profonda. Non solo la lotta sindacale perde importanza di fronte agli obiettivi politici della lotta dei rispettivi partiti per il potere, ma i suoi dirigenti si trovano spiritualmente nella situazione di chi si prepara a esercitare il potere stesso attraverso il sindacato, una volta che il suo partito arrivi al governo. E, nei casi in cui veramente ci arriva, il processo si accelera. Le vittorie in terreno economico si cercano perché fruttano voti e perché servono come moneta sul mercato politico.
D'altro canto (l'ultimo libro di Ziegler lo dimostra palmariamente), l'apparato statale assorbe e snatura i partiti (soprattutto quelli di sinistra, vino nuovo in botti più che stagionate) svuotandoli di contenuto ideologico per metterli al servizio del fatto nudo, brutale, del potere. L'aveva visto così bene Machiavelli e nessuno gli ha badato. Ed io penso che sia urgente un ritorno dalla visione della storia di Marx a quella di Machiavelli, per capire qualcosa del processo attualmente in corso su scala mondiale.
Stando così le cose, che ha a che fare l'anarchismo con il burocratizzato, politicizzato, strumentalizzato movimento sindacale? Beh, il lavoro occupa ancora troppo spazio nella vita di tutti noi, perché ci si possa disinteressare della sua posizione nella struttura sociale e del suo avvenire. Le trasformazioni in corso diminuiranno in modo sensibile le ore di fabbrica, ma non quelle del laboratorio d'investigazione. Si richiederà meno forza di braccia, più acutezza di mente, più tempo di studio previo. Una moltitudine di problemi e soprattutto i vantaggi e i pericoli dell'informatica dovranno essere studiati dal punto di vista della difesa di chi lavora. Urge, come sempre, difendere il pane, sì, ma anche proteggere il sistema nervoso e le capacità di sviluppo fisico e mentale di un nuovo proletariato, che non sappiamo come sarà. Questo non si può fare altro che con l'associazione; e l'associazione di chi lavora si chiama sindacato. Il sindacato non è quindi destinato a sparire, anche se oggi ci appare svuotato delle sue vere funzioni. Richiamiamo tali funzioni. Esse sono:
a) difendere ed accrescere il salario,
b) capacitare i suoi membri per una futura autogestione
c) organizzare la solidarietà internazionale per l'appoggio mutuo e la lotta contro lo sfruttamento e la ragion di stato (che esige in cambio la solidarietà con gli sfruttatori su un piano nazionale).
L'ipocrisia - che deplorava Machiavelli quando ironizzava sui trattati circa "il perfetto principe" - regna oggi anche in campo sindacale e compie una funzione utile, in quanto le suddette tre aspirazioni, grazie a lei, hanno diritto di cittadinanza, almeno credo, in qualunque ambiente sindacale. E conviene stare a difenderle, finché si può, dove sta il maggior numero, se tale presenza non implica una perdita di dignità personale o adesione a norme inaccettabili (come succedeva in tempi remoti a chi, con l'argomento di "stare con la massa", s'iscriveva ai sindacati fascisti).
Quando quest'appartenenza si riveli del tutto impossibile o sterile, allora sarà il momento di fondare un nuovo sindacalismo, con la bandiera dell'indipendenza reale da tutti i partiti e da tutti gli stati e da tutti i nazionalismi, in difesa del lavoro serio e dell'incolumità del pianeta terra (questa nostra povera patria così maltrattata) e in rapporto con i movimenti comunitari e cooperativi d'autogestione, che un po' dappertutto sorgono come infime minoranze ma con buone prospettive di futuro (se le forze distruttive non prevalgono a breve scadenza).

Al di fuori dello stato
Nel mondo che si prepara, i libertari sono gli eredi - sembra bene che saranno gli unici - della vecchia tendenza liberale a creare forme organizzate di base al di fuori dello stato. Solo che allora si trattava dell'impresa privata capitalista, all'interno della quale tutti i principi liberali erano negati e violati in nome del potere assoluto del denaro; e quando si producevano ribellioni contro tale assolutismo, gli impresari, gli unici "liberi", ricorrevano allo stato perché esercitasse la repressione al loro servizio. Mai c'è stata nella storia una menzogna così sfacciata e nello stesso tempo così accettata nelle disquisizioni accademiche, come il preteso carattere liberale dell'impresa privata capitalista. Ma quando tale impresa si socializza e tutti i lavoratori rispettivi ne assumono l'autogestione, basando i suoi rapporti esterni non più sulla concorrenza, ma sulla solidarietà federativa, allora sì, la sua rivendicazione d'una libertà di fronte al potere politico diventa autentica ed è il potere politico ad essere svuotato della sua pretesa missione provvidenziale.
Forse sarebbe il caso di rileggere gli articoli di Gobetti in "Rivoluzione liberale", spogliandoli delle illusioni che gli ulteriori sviluppi della Rivoluzione Russa e il fascismo non avevano ancora distrutte.
Qui il tema per me sarebbe finito e ne comincia un altro, che credo sarà domani assai più importante di quello sindacale, ma che bisognerebbe affrontare, con soluzioni libertarie, fin da oggi: quello dei disoccupati, che non sono più, e saranno sempre meno, "mano d'opera da riassorbire", ma saranno sempre più forze disponibili per la creazione di qualcosa di nuovo, o per la degradazione della specie umana nella droga e nella violenza gratuita. È la maggiore sfida che si sia presentata, nei secoli, all'umanità. Su questo terreno, cominciano ad esserci esperienze interessanti (una primaria "economia d'alternativa", fuori della cornice capitalista, sta sorgendo, dalla miseria, nel Cile) e pullulano i problemi (per esempio, le possibilità dell'educazione permanente e il modo d'evitare che degeneri in un mezzo di massificazione). Ma questo è un altro e ben più complicato discorso, per cui "A", credo, dovrebbe convocare tutta la gamma degli specialisti disponibili.