Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

La storia infinita dei vitelli gonfiati
di Laura Maragnani

"Un allevatore che non estrogena non riesce nemmeno a vendere". E allora sotto con estrogeni, cortisoni, ecc. Tanto gli effetti non sono (in genere) immediati e le mutazioni compariranno tra molti anni. Siamo andati a Fossano, nel cuore della provincia di Cuneo: 650 mila bovini, 600 mila suini. E parlando con la gente è saltato fuori che...

Avete mai sentito parlare della "provincia granda"? E' quella di Cuneo, la provincia zootecnica per eccellenza del Piemonte, dove ci sono più maiali e vitelli che persone. 650 mila bovini, 600 mila suini. Un esercito.
Avete mai sentito parlare di Fossano, in provincia di Cuneo? E' la zona a più alta densità di allevamenti di tutta la "provincia granda". Il territorio dell'Usl 62 conta 32 mila abitanti, 100 mila suini, 65 mila bovini , senza contare polli e conigli. Due vacche e tre maiali per ogni abitante.
Avete mai sentito parlare dello scandalo dei vitelli gonfiati che ha coinvolto, ad aprile, le stalle piemontesi? Cioè di Cuneo? Cioè, innanzitutto, quelle della zona di Fossano? Se ne sono dimenticati tutti in fretta, grazie anche al più grande scandalo di quei giorni, il metanolo, che teneva banco su tutte le prime pagine dei giornali. Poca roba, quegli estrogeni: un allevatore arrestato a Fossano, 800 capi sequestrati; tre denunciati a Mondovì, un altro pizzicato a Borgo San Dalmazzo. E quintali di prodotti chimici sequestrati (da dicembre ad aprile i carabinieri e la guardia di finanza ne hanno trovati abbastanza da gonfiare come mongolfiere 15 mila capi), quintali di estrogeni ritrovati nelle discariche dopo che il primo arresto a novembre, aveva dato l'allarme. "C'è gente che ha buttato via estrogeni per 50-60 milioni" raccontava, sbalordito un finanziere. "E se si fosse fatta l'analisi dell'acqua dei fiumi, sa solo il cielo quanti estrogeni avremmo trovato".

Né lacrime né ministri
Sa solo il cielo, appunto: sulle stalle piemontesi, cioè di Cuneo, cioè di Fossano, è ritornato il silenzio e del grande scandalo non si è saputo più nulla. Ma è una storia tutta da raccontare, questa. Di come si vive, si guadagna, ci si rovina la salute a coabitare con due vacche e tre maiali a testa.
"Il problema è che qui non avremo mai un morto, perché gli estrogeni non uccidono, come il metanolo, dopo pochi istanti. E quindi non ci saranno lacrime, emozioni collettive, ministri che intervengono sull'onda dell'indignazione nazionale..." Luciano Casasole scuote la testa sfiduciato. È un radicale, consigliere verde a Fossano: sono stati proprio i verdi di Fossano, insieme ai pacifisti di Saluzzo, i primi a puntare il dito sull'andazzo degli allevamenti. Già l'anno scorso, all'annuale fiera del vitello grasso di Fossano, avevano attaccato dei cartelli con cui chiedevano l'intervento del Nas alla fiera. "Perché ormai da anni venivano premiati vitelli che sembravano proprio gonfiati come palloni", spiega Casasole. "Era evidente che erano pieni di estrogeni fino agli occhi. Ma nessuno diceva niente".
L'avevan presa male, gli allevatori, questa denuncia di piazza. E ancora peggio avevano preso la campagna a tappeto che pochi giorni dopo aveva scosso la provincia con manifesti dallo slogan chiarissimo: "cancro da bistecca? No, grazie". Risultati immediati della campagna, nessuno. Ma almeno di estrogeni si cominciava a parlare apertamente e lo scandalo, pian piano, cominciava a scoppiare. "È da vent'anni, ormai, che si sa che gli estrogeni nelle nostre stalle sono una regola", accusa infatti Giovanni Comino, direttore del servizio sanitario dell'Usl di Mondovì, confinante con quella di Fossano. "Ma il servizio pubblico non ha mai avuto gli strumenti adeguati per intervenire: né macchinari, né tecnici sufficienti e preparati, né analisi al passo coi tempi". L'Usl di Mondovì è l'unica in Italia ad avere, da pochi mesi, le macchine necessarie per effettuare le analisi degli estrogeni, naturali o di sintesi, impiegati sui vitelli. Ma la battaglia è lunga, lunghissima.
La racconta Comino: vent'anni fa negli allevamenti ("prima solo quelli industriali, poi, a poco a poco, in quelli sempre più piccoli") di estrogeni si usava principalmente il DES, quel dietile-stilbestrolo che gli Stati Uniti hanno messo fuori legge perché cancerogeno. Ecco, il DES è l'unico estrogeno che la cosiddetta "prova biologico", quella attualmente in uso presso i laboratori di zooprofilassi, riesce a individuare. Peccato che il DES non si usi più da anni: sul mercato sono comparsi degli estrogeni della nuova generazione, prodotti d'avanguardia che hanno, oltretutto, il grande pregio di sfuggire alla prova biologica. La sofisticazione, quindi, sfugge nel 100% dei casi alle analisi di routine: e ufficialmente, quindi, tutto nelle stalle è regolare. Ma ufficiosamente? Ah, è un altro discorso.

"Siamo sempre in ritardo"
"I più onesti tra gli allevatori si riforniscono di zeranolo e trembolone, i due estrogeni permessi in Francia e importati di contrabbando", spiega Guido Brizzo, veterinario dell'Usl di Fossano, impegnatissimo nella lista verde. "Gli altri allevatori usano di tutto, dai sottoprodotti per uso umano dell'industria farmaceutica agli ormoni naturali, come il progesterone. Ma la regola è quella degli estrogeni fatti col bastone, come il vino di Narzole: olio di semi, un po' di estradiolo o altri ormoni, un pizzico di antibiotico e via...".
Di questi intrugli nelle stalle se ne trova a quintali, a damigiane pagate anche 5 o 10 milioni l'una, comprate illegalmente dai grossisti o dai venditori che, neanche troppo di nascosto, girano porta a porta, di cascina in cascina. Estradiolo benzoato, nandrolone decanoato, nandrolone fenilpropionato, trombolone acetato, nandrolone acetato: l'elenco delle sostanze sequestrate negli allevamenti della zona è lungo. "Ma ancora più lunghe sono le analisi per accertarne la presenza negli animali", spiega Comino. "Di estrogeni sintetici ce n'è a valanghe; noi riusciamo a individuarne, se va bene, cinque o sei. E nel tempo che ci mettiamo a scoprirne tre nuovi, negli allevamenti già ne usano dieci altri, più nuovi ancora. Siamo sempre in ritardo. È questo il dramma".
Per un allevatore pizzicato, insomma, cento la fanno franca. F.R. è uno di quelli pizzicati: miliardario, si dice, ma fa la vita dura della cascina esattamente come qualsiasi salariato. Adesso sta vendendo tutti i suoi vitelli all'Aima. È amareggiato: stupisce, quasi, la sua buona fede. "Vede, la carne trattata con gli estrogeni, da un punto di vista strettamente merceologico, è migliore: più fibrosa, meno grassa. Magari è un po' bianca e anemica, ma per il consumatore, l'importante è che non ci sia il grasso", spiega, paziente. "Quindi un allevatore che non estrogena non riesce nemmeno a vendere: la sua carne sarà magari più sana, ma così brutta rispetto all'altra da non avere mercato. Se uno vuole vendere, per forza ricorre agli estrogeni. E siccome vogliono vendere tutti, perché tutti devono vivere, ecco che tutti (dico tutti!) estrogenano. Non solo qui a Cuneo, intendiamoci: estrogenano in tutto il Piemonte, in tutta Italia...". La spesa degli estrogeni per ogni capo? "40 mila lire per un vitello da latte, 80 mila lire per un vitellone. È caro, certo; ma estrogenando si guadagna fino a mezzo milione per un solo capo". E non estrogenando? "Guardi, non si vende neanche una bistecca".

Quei bambini con il seno
Piangono gli allevatori, pronosticando futuri fallimenti, aziende in ginocchio, padri di famiglia sul lastrico. Ma i medici non ridono. "Sarà per gli estrogeni o meno, in provincia di Cuneo ci sono casi di bambini di 7-8 anni a cui cresce il seno. E qui a Fossano, non molto tempo fa, una bambina di sei anni ha mestruato dopo aver mangiato della carne cruda", si preoccupa Franco Blandino, medico della mutua, assessore dc al comune di Fossano.
Una cosa è certa, dice: i veri danni degli estrogeni, sospettati di essere cancerogeni e mutageni, si vedranno in pieno fra una ventina d'anni. "Nel frattempo si può solo dare l'allarme; come per gli antibiotici, come per il cortisone. Negli allevamenti ne usano a quintali e i danni per il consumatore sono, forse, ancora più gravi...".
Perché il cortisone? Semplice: perché somministrato pochi giorni prima della macellazione aumenta la ritenzione idrica degli animali; li fa pesare di più, insomma, e quindi "rendere" di più. "Ma se il cortisone residua può dare fenomeni di immuno-depressione simili alla sindrome da AIDS", accusa Brizio. Eppure il Nas ne ha sequestrati flaconi su flaconi.
Brizio scuote la testa: è da anni che combatte questa battaglia solitaria. Parla degli effetti del cloranfenicolo, un antibiotico che ha effetti di ritenzione idrica come il cortisone, e che può dare tumori di tipo leucemico; parla dei cocktail di medicinali che i contadini improvvisano, mescolando i prodotti che si son fatti prescrivere dal medico. Ma parla, amaro, dell'altra faccia della frode ultra-sofisticata: gli allevatori, sempre attenti a quel che di più nuovo c'è sul mercato in materia di estrogeni o di antibiotici a effetto auxinico, sono anche i più conservatori per quanto riguarda igiene delle stalle e degli animali. Gonfiare i vitelli rende, risanare le stalle dalla tubercolosi (e abbattere i capi infetti) non rende. Quindi? Quindi ecco, fianco a fianco, convivere gli estrogeni dell'ultima generazione e la salmonella, il cortisone e la brucellosi, gli antibiotici e le micosi, le teniasi, il carbonchio, la tubercolosi.
La tubercolosi, immaginate: Guido Brizio se l'è fatta a trent'anni, effettuando un cesareo a una vacca infetta. Gli abitanti della "Granda" se la contraggono dagli animali e dal latte, spesso in forme leggere, spesso senza neanche saperlo: tubercolosi renale e viscerale, enteriti tubercolari, annessiti, salpingiti (prima causa di sterilità), e linfonodi intestinali ingrossati che portano in ospedale anche bambini di pochi anni. Il carbonchio? Se l'è preso, chissà come, l'addetto al macello di Fossano. "La brucellosi? Ce ne sono stati una decina di casi a Narzole, proprio pochi giorni prima dello scandalo del metanolo" Brizio e Blandino, per arginare l'ondata delle malattie infettive che gli animali (così tanti, così fitti) propagano all'uomo, hanno persino scritto un opuscolo che l'Usl distribuisce gratuitamente. Nella prefazione spiegano che il loro scopo, oltre che di informare e prevenire, è quello di "dimostrare che l'animale non è solo una fonte di reddito, ma che può diventare agente di rischio per la salute se non è allevato correttamente". Gli allevatori non hanno fatto una piega, e così pure la città, che da questo allevamento esasperato vive e prospera.

Solo a Cuneo?
La storia è finita. C'è una morale, certo. E un avvertimento finale. Lo dà nientemeno che il presidente del gruppo veterinario della Farmindustria, Zaini. In una lettera inviata ai procuratori della Repubblica, al Nas, alle Usl, al ministro della Sanità, il 12 dicembre 1985, Zaini ha denunciato il mercato nero dei farmaci per uso veterinario, l'"impiego abusivo negli allevamenti di animali da carne" di estrogeni naturali e sintetici, di "preparazioni farmaceutiche fabbricate clandestinamente", di "specialità medicinali non approvate in Italia". In tutto, decine e decine di tonnellate di farmaci "pericolosi per la salute pubblica". Sono finiti tutti a Cuneo?