Rivista Anarchica Online
Fatti & misfatti
a cura della Redazione
Un
anno a Nadalin
Paolo
Nadalin, anarchico, è stato condannato (come previsto) ad un anno di
carcere perché mancante alla chiamata. Il processo si è svolto
venerdì 23 maggio, presso il tribunale militare di La Spezia. Come
si ricorderà, Nadalin avrebbe dovuto presentarsi in caserma
all'inizio dell'anno, per prestare servizio militare. Non si
presentò, né volle presentare la domanda per il servizio civile
alternativo. In una lunga dichiarazione pubblica, spiegò la sua
opposizione non solo all'esercito ed al militarismo, ma anche - più
in generale - alla struttura autoritaria della società. Arrestato
dai carabinieri il 7 maggio a casa sua, a Latisana (Pordenone),
Nadalin è attualmente detenuto nel carcere militare di Forte Boccea,
00167 Roma.
Servizio civile
Nell'ormai
lontano '79 era stato fermato dalle forze dell'ordine e denunciato
per l'affissione di manifesti di ispirazione anarchica, aventi per
titolo "Terrorista è lo Stato". Citando
quel "precedente", e attaccandosi ad altri pretesti secondari, il
Ministero della Difesa si era sentito in diritto di respingere la
domanda di ammissione al servizio civile, alternativo a quello
militare, presentata da Nicola Caminiti. Il quale, difeso dall'avv.
Giuseppe Ramadori (radicale, fondatore della Lega per l'Obiezione di
Coscienza), ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo
Regionale del Lazio. Il
TAR gli ha dato ragione, sostenendo - come recita la decisione n.
776/86 in data 25.6.1986 - che l'affissione di manifesti, benché
non autorizzata, non rivela neppure in forma indiziaria, un consenso
all'impiego di strumenti offensivi e violenti. Entrando
poi nel merito dell'ispirazione ideologica dei manifesti, che secondo
le autorità militari per il solo fatto di essere anarchica porrebbe
il Caminiti su un piano di accettazione della violenza, contrastante
con le condizioni necessarie per potersi avvalere del servizio
civile, il TAR del Lazio afferma che soltanto alcune componenti
dell'anarchismo sono favorevoli al metodo dell'azione terroristica o
insurrezionale, mentre altre, prevalenti nei tempi recenti, si
ispirano alle idee della nonviolenza e del pacifismo, con la
conseguenza che sarebbe del tutto arbitrario ravvisare nell'adesione
a tale movimento un comportamento contrastante con i principi morali
posti a fondamento dell'obiezione di coscienza. Si
potrebbero fare delle precisazioni a queste affermazioni del TAR (per
esempio, sull'equivoco accostamento tra terrorismo ed insurrezione),
ma non ci pare il caso. La
sentenza - ha dichiarato l'avv. Ramadori - è importante, almeno a
mio giudizio, da laico e pragmatico, che cerca di far cambiare le
cose e la mentalità della gente con una serie di battaglie, (che
forse sono piccole, ma tutte insieme, ed in mancanza di altro,
possono mettere in crisi il potere) e soprattutto con l'obiettivo di
raggiungere il massimo consenso possibile, soprattutto dall'altra
parte. Ed una sentenza come questa, che "in nome del popolo
italiano", scritta e partorita dai parrucconi che regolano la
giustizia amministrativa, sdemonizza gli anarchici e sancisce che
oggi ne esistono, anche non violenti ed utili alla collettività, è
tanto. Fino
ad ora non l'avevo mai letto in una sentenza, che oltretutto
legittima, non solo dal punto di vista penale, l'affermazione che lo
Stato è terrorista, ma anche sotto il profilo dell'attività
non violenta e quindi della promozione dei consensi e
dell'aggregazione delle volontà intorno a questa tesi. Non
emarginati, o tollerati, quindi, gli anarchici e la loro attività,
ma parte vivente della nostra cultura e del nostro Paese".
Tipografia
nel mirino
Un
grave provvedimento repressivo ha colpito all'inizio dell'estate la
Cooperativa Tipolitografica di Carrara, con il sequestro cautelativo
dei macchinari tipografici (seppure con la possibilità di
utilizzarli). Una ventina di giorni dopo, il Tribunale Amministrativo
Regionale ha accolto il ricorso presentato dal legale della
tipografia, dissequestrando le macchine. Alla base dell'intervento
poliziesco-giudiziario c'è l'accusa di aver stampato tre manifesti
"illegali", perché privi dell'indicazione del luogo di
stampa. L'inchiesta
poliziesco-giudiziaria, concretizzatasi tra l'altro in una perizia
sui macchinari, per ora segna il passo. Quel che è certo è che, in
una stagione di "bassa", si è colpita una struttura, come
la tipografia di Carrara, attraverso la quale passa - tra l'altro -
una quota significativa della pubblicistica anarchica (a partire
dalla stampa, piegatura e spedizione del settimanale Umanità
Nova). Dal 1975 all'85 anche la nostra rivista fu stampata
lì. Per
ora, forse, l'intimidazione si è sgonfiata da sola. Resta però un
precedente che non va sottovalutato.
Cassa
antimilitarista
Sequestro
del conto corrente postale (a lui intestato) della cassa di
solidarietà antimilitarista, convocazione da parte delle forze
dell'ordine e denuncia per favoreggiamento: sono questi i
provvedimenti che hanno colpito Sergio Cattaneo, anarchico di Lecco,
a suo tempo obiettore totale, "gestore" della cassa. L'accusa
rivolta alla cassa (e, materialmente, al compagno incaricato della
sua gestione) è quella di servire ad aiutare persone che compiono
reati; in particolare giovani che rifiutano il servizio militare. Se
così fosse, se cioè la magistratura ritenesse di poter
criminalizzare chi esprime solidarietà - ideale e concreta - a chi
rifiuta di imbracciare le armi e di "servire la patria" si
sarebbe compiuto un altro passo pericoloso nella direzione opposta
alla libertà. Chiunque
ha veramente a cuore la pace non quella ipocrita dei potenti e degli
Stati, ma quella tutta da costruire dei popoli e della libertà non
può non cogliere la pericolosità di questa involuzione. Intanto
la cassa di solidarietà antimilitarista prosegue la sua funzione,
alla luce del sole come sempre. Il nuovo conto corrente postale, al
quale far pervenire i contributi, è il seguente: c.c.p. 10433548
intestato a Mauro Zanoni, via S. Piero 5, 54033 Carrara (MS).
W
Ledonne!
Bando
ai titoli seri. Niente "Piazza Fontana, atto 8°", neppure
"Finalmente solo loro!". Parliamo
sì di una cosa seria, serissima, tragicamente seria: l'attentato di
piazza Fontana del 12 dicembre '69. Ma (quasi) 17 anni dopo, no, non
riusciamo più a considerare una cosa seria le vicende giudiziarie
connesse a quella strage, "la strage di Stato" per
antonomasia, la prima della lunga serie di fatti tragici che hanno
insanguinato l'Italia dal post '68 ad oggi.
La
notizia è questa: dopo quattro anni di indagine istruttoria,
iniziata all'indomani della sentenza di Catanzaro (che aveva mandato
assolti tutti i principali imputati, accomunando ancora una volta
anarchici e fascisti), il giudice istruttore Emilio Ledonne ha
depositato gli atti e prossimamente a Catanzaro assisteremo ad un
nuovo capitolo processuale, per l'esattezza l'ottavo. Se
ancora ce la sentissimo di affrontare seriamente l'argomento, non
potremmo non salutare come un passo in avanti il fatto che, nella sua
sentenza di rinvio a giudizio, Ledonne abbia escluso qualsiasi
riferimento agli anarchici, puntando la sua attenzione sui fascisti
(il super latitante Stefano Delle Chiaie, indicato quale
organizzatore, e Massimiliano Fachini, presunto autore materiale) e
soprattutto su quell'Ufficio Affari Riservati del Ministero degli
interni, che così abilmente è riuscito in passato a defilarsi. L'aver
sottolineato il ruolo svolto da quell'Ufficio (da anni furbescamente
disciolto), oltre che dal famigerato SID, indica la volontà di
Ledonne di non lasciare cadere nel nulla i mille elementi emersi nel
corso di questa allucinante vicenda politico-giudiziaria, in merito
al groviglio di complicità tra potere politico, magistratura e
terrorismo neo-fascista. Sempre
a voler essere (o sembrare) seri a tutti i costi, potremmo
sottolineare un altro elemento politicamente significativo della
sentenza di rinvio a giudizio di Ledonne, e cioè la sua esplicita
affermazione dell'assoluta estraneità degli anarchici - e, di
converso, delle precise responsabilità istituzional-fasciste - negli
attentati per così dire minori che precedettero quello di piazza
Fontana, a partire dalle bombe della Fiera ed alla Stazione Centrale
di Milano del 25 aprile '69 fino alle bombe contro i treni
dell'agosto di quell'anno. Anche
quegli attentati furono subito attribuiti agli anarchici, un gruppo
dei quali rimase in carcere per due anni sotto quell'accusa. Ma
lasciamo perdere. La serietà non si addice più a questo
maxi-processo, di gran lunga il più duraturo e travagliato di tutta
la storia d'Italia. E
allora anche noi di "A" - ricordando che la nostra rivista nacque
proprio sull'onda della campagna di controinformazione e di
mobilitazione contro le menzogne di stato su piazza Fontana -
preferiamo lasciar perdere. Può darsi che il magistrato di Catanzaro
abbia fatto il possibile, dal suo punto di vista, tanti anni dopo i
fatti, per far emergere la verità. Può darsi. Ma la credibilità
della magistratura, così come degli altri organi dello stato in
varia misura coinvolti nelle stragi e/o nei relativi processi, non
può esser salvata dalla buona volontà e dall'onestà di una o più
persone. Ormai
i giochi sono fatti e conclusi, da tempo. Che
nessuno pretenda allora da noi anarchici il fatidico grido "Viva
Ledonne". Meglio il silenzio, per quanto amaro.
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