Rivista Anarchica Online
La storia
infinita dei vitelli gonfiati
di Laura Maragnani
"Un
allevatore che non estrogena non riesce nemmeno a vendere". E allora sotto
con estrogeni, cortisoni, ecc. Tanto gli effetti non sono (in genere)
immediati e le mutazioni compariranno tra molti anni. Siamo andati a
Fossano, nel cuore della provincia di Cuneo: 650 mila bovini, 600
mila suini. E parlando con
la gente è saltato fuori che...
Avete mai sentito
parlare della "provincia granda"? E' quella di Cuneo, la
provincia zootecnica per eccellenza del Piemonte, dove ci sono più
maiali e vitelli che persone. 650 mila bovini, 600 mila suini. Un
esercito. Avete mai sentito
parlare di Fossano, in provincia di Cuneo? E' la zona a più alta
densità di allevamenti di tutta la "provincia granda". Il
territorio dell'Usl 62 conta 32 mila abitanti, 100 mila suini, 65
mila bovini , senza contare polli e conigli. Due vacche e tre maiali
per ogni abitante. Avete mai sentito
parlare dello scandalo dei vitelli gonfiati che ha coinvolto, ad
aprile, le stalle piemontesi? Cioè di Cuneo? Cioè, innanzitutto,
quelle della zona di Fossano? Se ne sono dimenticati tutti in fretta,
grazie anche al più grande scandalo di quei giorni, il metanolo, che
teneva banco su tutte le prime pagine dei giornali. Poca roba, quegli
estrogeni: un allevatore arrestato a Fossano, 800 capi sequestrati;
tre denunciati a Mondovì, un altro pizzicato a Borgo San Dalmazzo. E
quintali di prodotti chimici sequestrati (da dicembre ad aprile i
carabinieri e la guardia di finanza ne hanno trovati abbastanza da
gonfiare come mongolfiere 15 mila capi), quintali di estrogeni
ritrovati nelle discariche dopo che il primo arresto a novembre,
aveva dato l'allarme. "C'è gente che ha buttato via estrogeni
per 50-60 milioni" raccontava, sbalordito un finanziere. "E
se si fosse fatta l'analisi dell'acqua dei fiumi, sa solo il cielo
quanti estrogeni avremmo trovato".
Né lacrime né
ministri
Sa solo il cielo,
appunto: sulle stalle piemontesi, cioè di Cuneo, cioè di Fossano, è
ritornato il silenzio e del grande scandalo non si è saputo più
nulla. Ma è una storia tutta da raccontare, questa. Di come si vive,
si guadagna, ci si rovina la salute a coabitare con due vacche e tre
maiali a testa. "Il problema è
che qui non avremo mai un morto, perché gli estrogeni non uccidono,
come il metanolo, dopo pochi istanti. E quindi non ci saranno
lacrime, emozioni collettive, ministri che intervengono sull'onda
dell'indignazione nazionale..." Luciano Casasole scuote la testa
sfiduciato. È un radicale, consigliere verde a Fossano: sono stati
proprio i verdi di Fossano, insieme ai pacifisti di Saluzzo, i primi
a puntare il dito sull'andazzo degli allevamenti. Già l'anno scorso,
all'annuale fiera del vitello grasso di Fossano, avevano attaccato
dei cartelli con cui chiedevano l'intervento del Nas alla fiera.
"Perché ormai da anni venivano premiati vitelli che sembravano
proprio gonfiati come palloni", spiega Casasole. "Era
evidente che erano pieni di estrogeni fino agli occhi. Ma nessuno
diceva niente". L'avevan presa
male, gli allevatori, questa denuncia di piazza. E ancora peggio
avevano preso la campagna a tappeto che pochi giorni dopo aveva
scosso la provincia con manifesti dallo slogan chiarissimo: "cancro
da bistecca? No, grazie". Risultati immediati della campagna,
nessuno. Ma almeno di estrogeni si cominciava a parlare apertamente e
lo scandalo, pian piano, cominciava a scoppiare. "È da vent'anni,
ormai, che si sa che gli estrogeni nelle nostre stalle sono una
regola", accusa infatti Giovanni Comino, direttore del servizio
sanitario dell'Usl di Mondovì, confinante con quella di Fossano. "Ma
il servizio pubblico non ha mai avuto gli strumenti adeguati per
intervenire: né macchinari, né tecnici sufficienti e preparati, né
analisi al passo coi tempi". L'Usl di Mondovì è l'unica in Italia
ad avere, da pochi mesi, le macchine necessarie per effettuare le
analisi degli estrogeni, naturali o di sintesi, impiegati sui
vitelli. Ma la battaglia è lunga, lunghissima. La racconta Comino:
vent'anni fa negli allevamenti ("prima solo quelli industriali,
poi, a poco a poco, in quelli sempre più piccoli") di estrogeni si
usava principalmente il DES, quel dietile-stilbestrolo che gli Stati
Uniti hanno messo fuori legge perché cancerogeno. Ecco, il DES è
l'unico estrogeno che la cosiddetta "prova biologico",
quella attualmente in uso presso i laboratori di zooprofilassi,
riesce a individuare. Peccato che il DES non si usi più da anni: sul
mercato sono comparsi degli estrogeni della nuova generazione,
prodotti d'avanguardia che hanno, oltretutto, il grande pregio di
sfuggire alla prova biologica. La sofisticazione, quindi, sfugge nel
100% dei casi alle analisi di routine: e ufficialmente, quindi, tutto
nelle stalle è regolare. Ma ufficiosamente? Ah, è un altro
discorso.
"Siamo
sempre in ritardo"
"I più onesti
tra gli allevatori si riforniscono di zeranolo e trembolone, i due
estrogeni permessi in Francia e importati di contrabbando", spiega
Guido Brizzo, veterinario dell'Usl di Fossano, impegnatissimo nella
lista verde. "Gli altri allevatori usano di tutto, dai
sottoprodotti per uso umano dell'industria farmaceutica agli ormoni
naturali, come il progesterone. Ma la regola è quella degli
estrogeni fatti col bastone, come il vino di Narzole: olio di semi,
un po' di estradiolo o altri ormoni, un pizzico di antibiotico e
via...". Di questi intrugli
nelle stalle se ne trova a quintali, a damigiane pagate anche 5 o 10
milioni l'una, comprate illegalmente dai grossisti o dai venditori
che, neanche troppo di nascosto, girano porta a porta, di cascina in
cascina. Estradiolo benzoato, nandrolone decanoato, nandrolone
fenilpropionato, trombolone acetato, nandrolone acetato: l'elenco
delle sostanze sequestrate negli allevamenti della zona è lungo. "Ma
ancora più lunghe sono le analisi per accertarne la presenza negli
animali", spiega Comino. "Di estrogeni sintetici ce n'è a
valanghe; noi riusciamo a individuarne, se va bene, cinque o sei. E
nel tempo che ci mettiamo a scoprirne tre nuovi, negli allevamenti
già ne usano dieci altri, più nuovi ancora. Siamo sempre in
ritardo. È questo il dramma". Per un allevatore
pizzicato, insomma, cento la fanno franca. F.R. è uno di quelli
pizzicati: miliardario, si dice, ma fa la vita dura della cascina
esattamente come qualsiasi salariato. Adesso sta vendendo tutti i
suoi vitelli all'Aima. È amareggiato: stupisce, quasi, la sua buona
fede. "Vede, la carne trattata con gli estrogeni, da un punto di
vista strettamente merceologico, è migliore: più fibrosa, meno
grassa. Magari è un po' bianca e anemica, ma per il consumatore,
l'importante è che non ci sia il grasso", spiega, paziente.
"Quindi un allevatore che non estrogena non riesce nemmeno a
vendere: la sua carne sarà magari più sana, ma così brutta
rispetto all'altra da non avere mercato. Se uno vuole vendere, per
forza ricorre agli estrogeni. E siccome vogliono vendere tutti,
perché tutti devono vivere, ecco che tutti (dico tutti!)
estrogenano. Non solo qui a Cuneo, intendiamoci: estrogenano in tutto
il Piemonte, in tutta Italia...". La spesa degli estrogeni per
ogni capo? "40 mila lire per un vitello da latte, 80 mila lire per un
vitellone. È caro,
certo; ma estrogenando si guadagna fino a mezzo milione per un solo
capo". E non estrogenando? "Guardi, non si vende neanche una
bistecca".
Quei bambini con
il seno
Piangono gli
allevatori, pronosticando futuri fallimenti, aziende in ginocchio,
padri di famiglia sul lastrico. Ma i medici non ridono. "Sarà
per gli estrogeni o meno, in provincia di Cuneo ci sono casi di
bambini di 7-8 anni a cui cresce il seno. E qui a Fossano, non molto
tempo fa, una bambina di sei anni ha mestruato dopo aver mangiato
della carne cruda", si preoccupa Franco Blandino, medico della
mutua, assessore dc al comune di Fossano. Una cosa è certa,
dice: i veri danni degli estrogeni, sospettati di essere cancerogeni
e mutageni, si vedranno in pieno fra una ventina d'anni. "Nel
frattempo si può solo dare l'allarme; come per gli antibiotici, come
per il cortisone. Negli allevamenti ne usano a quintali e i danni per
il consumatore sono, forse, ancora più gravi...". Perché il
cortisone? Semplice: perché somministrato pochi giorni prima della
macellazione aumenta la ritenzione idrica degli animali; li fa pesare
di più, insomma, e quindi "rendere" di più. "Ma se
il cortisone residua può dare fenomeni di immuno-depressione simili
alla sindrome da AIDS", accusa Brizio. Eppure il Nas ne ha
sequestrati flaconi su flaconi. Brizio scuote la
testa: è da anni che combatte questa battaglia solitaria. Parla
degli effetti del cloranfenicolo, un antibiotico che ha effetti di
ritenzione idrica come il cortisone, e che può dare tumori di tipo
leucemico; parla dei cocktail di medicinali che i contadini
improvvisano, mescolando i prodotti che si son fatti prescrivere dal
medico. Ma parla, amaro, dell'altra faccia della frode
ultra-sofisticata: gli allevatori, sempre attenti a quel che di più
nuovo c'è sul mercato in materia di estrogeni o di antibiotici a
effetto auxinico, sono anche i più conservatori per quanto riguarda
igiene delle stalle e degli animali. Gonfiare i vitelli rende,
risanare le stalle dalla tubercolosi (e abbattere i capi infetti) non
rende. Quindi? Quindi ecco, fianco a fianco, convivere gli estrogeni
dell'ultima generazione e la salmonella, il cortisone e la
brucellosi, gli antibiotici e le micosi, le teniasi, il carbonchio,
la tubercolosi. La tubercolosi,
immaginate: Guido Brizio se l'è fatta a trent'anni, effettuando un
cesareo a una vacca infetta. Gli abitanti della "Granda" se
la contraggono dagli animali e dal latte, spesso in forme leggere,
spesso senza neanche saperlo: tubercolosi renale e viscerale,
enteriti tubercolari, annessiti, salpingiti (prima causa di
sterilità), e linfonodi intestinali ingrossati che portano in
ospedale anche bambini di pochi anni. Il carbonchio? Se l'è preso,
chissà come, l'addetto al macello di Fossano. "La brucellosi? Ce
ne sono stati una decina di casi a Narzole, proprio pochi giorni
prima dello scandalo del metanolo" Brizio e Blandino, per arginare
l'ondata delle malattie infettive che gli animali (così tanti, così
fitti) propagano all'uomo, hanno persino scritto un opuscolo che
l'Usl distribuisce gratuitamente. Nella prefazione spiegano che il
loro scopo, oltre che di informare e prevenire, è quello di
"dimostrare che l'animale non è solo una fonte di reddito, ma
che può diventare agente di rischio per la salute se non è allevato
correttamente". Gli allevatori non hanno fatto una piega, e così
pure la città, che da questo allevamento esasperato vive e prospera.
Solo a Cuneo?
La storia è
finita. C'è una morale, certo. E un avvertimento finale. Lo dà
nientemeno che il presidente del gruppo veterinario della
Farmindustria, Zaini. In una lettera inviata ai procuratori della
Repubblica, al Nas, alle Usl, al ministro della Sanità, il 12
dicembre 1985, Zaini ha denunciato il mercato nero dei farmaci per
uso veterinario, l'"impiego abusivo negli allevamenti di animali
da carne" di estrogeni naturali e sintetici, di "preparazioni
farmaceutiche fabbricate clandestinamente", di "specialità
medicinali non approvate in Italia". In tutto, decine e decine di
tonnellate di farmaci "pericolosi per la salute pubblica".
Sono finiti tutti a Cuneo?
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