Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 16 nr. 139
estate 1986


Rivista Anarchica Online

I limiti della rivista

Cari compagni,
cinque anni fa vi scrissi, insieme con Rosanna Ambrogetti, una lunga lettera ("A" 91) con cui cercavamo di dare voce ad un certo malessere - presente fra noi pochi compagni e che anche noi avvertivamo - nei confronti vostri e delle altre iniziative della "Editrice A".
Ora torno a fare la stessa cosa ed ancora una volta, pur rivolgendomi specificamente a voi, penso che quanto dirò sia, con le dovute differenze e proporzioni, in parte allargabile anche alle altre pubblicazioni dell'editrice. Insomma, parafrasando un noto detto, cercherò di parlare a nuora perché anche suocera intenda.
Prima di arrivare al nocciolo voglio altresì chiarire che non mi reputo "coscienza critica" o portavoce di qualcuno ma solo uno che si ritiene ancora un militante anarchico, estremamente aperto, interessato e desideroso di "nuovo" ma anche intenzionato a mantenere vivo quanto di buono c'è nell'anarchismo e nel movimento anarchico "classico". E veniamo al dunque.
È innegabile che da quando "A" è nata moltissime cose sono cambiate e bene ha fatto la rivista a cambiare per adattarsi ai mutamenti, cercando contemporaneamente di cogliere quanto di positivo e stimolante esiste attorno, e dentro, alla ristretta enclave dell'anarchismo.
In sostanza approvo completamente la vostra intenzione di rendere "A" sempre più aperta ai fermenti e alle esperienze di segno libertario che sono presenti nella società, perlopiù slegati dal movimento anarchico, ("A" 125). Un'apertura che, a mio avviso, deve significare l'acquisizione dell'"umiltà intellettuale necessaria ad essere continuamente aperti al dubbio, al dialogo, alla verifica, alla curiosità per tutto ciò che è dentro e fuori di noi. Perché quell'umiltà può permettersela, contrariamente alle apparenze, solo chi ha la certezza della propria identità" (A. Bertolo su "Volontà" n. 3/1984).
Ed è in quest'ottica che vorrei che "A" rimanesse una "rivista anarchica" (come recita il vostro sempre più piccolo sottotitolo) e cioè un ambito in cui gli anarchici trovano materiale su cui riflettere, con cui fanno sentire la loro voce, in cui si misurano con quelle "esperienze di segno libertario" di cui parlate e con quanto avviene nella società. In altre parole "A" dovrebbe, contemporaneamente, aprire sempre più gli occhi dei compagni sul mondo e registrare ciò che questa apertura provoca in noi e negli altri.
Intendiamoci, non sto dicendo che la rivista debba avere un carattere esclusivamente, o prevalentemente, "militante" o propagandistico (cose che ritengo assai poco utili, soprattutto in questo momento) mentre penso che l'apertura che propugnate debba avvenire anche attraverso una "sensibilità militante" perché, credo, è principalmente così che "A" può diventare un referente, ed uno spazio, attraverso cui coloro che ancora sono interessati a migliorare e mutare la società dibattono ed affrontano problemi nuovi, o questioni vecchie ma in un'ottica nuova.
Ma analizzando la rivista alla luce di quanto finora detto mi pare che l'"apertura" sia stata più una dichiarazione di buona volontà che una pratica realizzata.
Certe tematiche che vengono agitate fuori dal movimento anarchico (quali, ad es., i movimenti e le lotte pacifiste, verdi antinucleari; i problemi della situazione internazionale, del rinascente razzismo o della comunicazione; le nuove proposte culturali, ecc.) e che dovrebbero coinvolgere anche gli anarchici sono state da voi solo sfiorate o poco più; attorno ad esse non c'è quasi mai stato - almeno sulla rivista - né quel lavoro di impostazione dei problemi né quel dibattito che sono invece necessari se veramente si vuole che "A" diventi uno strumento attraverso cui guardare e valutare il mondo.
Ed è in questo senso che credo sia necessario aprire le pagine a contributi magari eterogenei, forse non sempre "giornalistici", ma vivaci e capaci di far discutere e riflettere.
In questo caso il vostro lavoro di redazione dovrebbe essere quello di pungolare i compagni affinché collaborino, di cooperare con essi nello stabilire modi e toni delle collaborazioni ed a volte anche di soli "prestatori di spazio" per contributi e/o proposte che magari non condividerete ma che toccano problemi o idee da discutere ed approfondire.
Io (ma non solo io) ho invece l'impressione che vi sentiate sempre meno militanti ed abbiate la tendenza ad essere troppo "redazione", a sostituirvi cioè a ciò che dai compagni giunge, o potrebbe giungere, se stimolato e favorito, a volere che tutto quanto pubblicate sia da voi condiviso totalmente o in gran parte. Ciò che comporta il rischio di diventare, da creatori ad agitatori di idee, di fatto censori.
Sia ben chiaro, quanto fate è certo vostro diritto farlo - la rivista è vostra da ogni punto di vista - ma allora è inutile fare dichiarazioni di apertura, meglio chiarire, e bene, le cose come stanno; cosa aspettarsi da voi e cosa voi vi aspettate dagli altri, lettori o collaboratori che siano. Meglio essere chiari su quali rapporti volete vi leghino al resto degli anarchici e dei libertari e questi a voi.
Ho del resto l'impressione che fatichiate non poco anche ad essere "redazione". Un gruppo redazionale dovrebbe essere, almeno per la mia esperienza, un insieme di individui che trova giusto e proficuo lavorare in comune e che a tal fine cerca anche di limare - mai tacere però - qualche opinione personale affinché il progetto collettivo vada avanti.
Voi invece mi sembrate principalmente degli individui preoccupati soprattutto di seguire ognuno una sua "traccia" curandosi molto poco che essa rientri in un disegno unificante; un disegno che, fra l'altro, mi pare di fatto inesistente o quasi. Tutto questo fa sì che, dall'esterno, sembriate estremamente contraddittori sia al vostro interno (e fin qui, in fondo, sarebbero soprattutto problemi vostri) sia nei confronti di chi vi legge, di chi desidera collaborare o instaurare un dialogo con voi. Ed ecco, forse, perché troppo poche, e troppo facili, sono le vostre prese di posizione, col risultato di fare una rivista spesso "aleatoria"; non una pubblicazione teorica ma nemmeno uno spazio in cui trovare, se non raramente, posizioni chiare, anche se discordanti fra loro, o proposte con cui misurarsi e/o da praticare.
Mentre invece io credo che sia giunto il momento di cominciare ad unire alle riflessioni ed all'apertura sul mondo (che sempre più, e sempre più profondamente, deve continuare) anche delle proposte e delle idee con cui fare i conti quotidianamente nella nostra crescita intellettuale, nella nostra pratica, nelle nostre sperimentazioni.
Ma la rivista che leggiamo da un po' di tempo in qua è certo interessante ma tutto sommato discontinua, spesso poco chiara, con cui è difficile intavolare un dialogo da pari a pari, che risulta frequentemente non più aperta ma più chiusa che non in passato.
Sono certamente duro nei vostri confronti, più di quanto vorrei essere, vista l'amicizia che mi lega a voi e l'interesse che ho per la rivista e non voglio certo essere liquidatorio.
Spero di avervi fatto un po' riflettere, e se ciò che ho sopra detto è, almeno in parte, vero è questo che desiderate? E se non lo desiderate non è ora di cominciare a porvi seriamente rimedio?
Con affetto, fraternamente

Franco Melandri (Forlì)