Rivista Anarchica Online
L'ecologia di
Murray
di Maria Teresa Romiti
Può un libro
non certo facile, pieno di riferimenti culturali, a volte anche non
immediati, una storia dell'umanità e dell'evoluzione di grande
respiro, essere anche un libro entusiasmante, uno di quei libri che
si leggono, come si suol dire, tutto d'un fiato? L'ecologia della
libertà di Murray Bookchin, appena ripubblicato, è
tutto questo. Se dunque non lo si può considerare una novità
editoriale (è uno dei testi più discussi, commentati,
utilizzati ultimamente, almeno tra gli anarchici), è un libro
che non ha perso smalto e che può essere letto o riletto,
riproposto tranquillamente. Uno di quei libri che entrano a far parte
del proprio bagaglio culturale. La sua vastità
rende difficile riassumerlo. Bookchin ha tentato, con successo,
un'operazione quasi ottocentesca: di mostrare l'interdipendenza tra
il dominio nella società e il rapporto, sempre più
precario, dell'uomo oggi con l'ambiente e l'intero pianeta attraverso
un grande affresco che parte dalla preistoria, forse ancora più
indietro dal mito, fino ad oggi. È la storia del dominio
insieme alla storia della libertà, il termine opposto e per
questo necessariamente sempre presente, che si svolge lungo i secoli,
la storia delle ideologie e delle gerarchie, del nostro stesso modo
di pensare. Come tutte le opere
enciclopediche e generali, a volte risente di schematizzazioni
eccessive. Alcune parti, specialmente quelle più strettamente
antropologiche, non sono affrontate in modo rigoroso, ma il quadro
generale è molto interessante. La "società
organica", mitica società dell'inizio dei tempi, che
Bookchin ritrova almeno in parte tra le società tribali, non
può essere dimostrata: forse il dominio non è nato come
lo immagina Bookchin, ma la parte fondamentale del testo non è
qui. È
piuttosto nel riconoscere che non si deve, non si può tornare
indietro, che dobbiamo invece riscegliere, oggi, nuovi parametri,
nuovi valori. Dobbiamo pensarci finalmente non come "i signori
della terra" cui è stato affidato il dominio della
natura, ma come una specie animale, magari più strana delle
altre, che nell'ambiente è inserita e che non si può
contrapporre alla natura. Bookchin mette però
in guardia che un simile approccio è possibile solo se nello
stesso tempo sapremo superare il pensiero gerarchico, perché
il dominio dell'uomo sulla natura non è che l'immagine
speculare del dominio dell'uomo sull'uomo. Non si può
alimentare l'uno senza cancellare l'altro. Molto suggestiva è
poi l'immagine che ha Bookchin dell'uomo come "processo
cognitivo" della natura, "incarnazione naturale verso
l'intelletto, la mente e l'autoriflessione", un concetto non
molto lontano, tra l'altro, da quello di memoria dell'universo, di
ordine intrinseco della fisica più moderna. Questo libro è
anche un monito e una polemica verso un certo ecologismo, che
Bookchin chiama ambientalismo, che pensa di poter evitare il disastro
ecologico cercando di ridurre al minimo i danni ambientali con puri
interventi tecnici senza mettere in discussione né il rapporto
uomo/natura, né, tantomeno, la nostra società.
L'ecologia non può esistere senza una parallela ecologia
sociale e d'altra parte senza ecologia possiamo anche smettere di
preoccuparci. Sarà l'inquinamento sempre più diffuso
(Reno docet), sarà qualche Chernobyl sparsa, sarà la
scarsità di risorse alimentari, o forse il fatale bottone
rosso schiacciato a mettere la definitiva parola fine al problema
uomo sulla terra. Il pianeta
rimarginerà certo le sue ferite (in quante migliaia di anni?),
ma "...noi non ci saremo".
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