Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 147
giugno 1987


Rivista Anarchica Online

Impossibili ma vere
di Maria Teresa Romiti

Nonostante si tratti di un progetto di impossibile realizzazione il famoso SDI (meglio noto come "guerre stellari") merita di essere preso attentamente in considerazione. Intorno ruota un giro d'affari internazionale di immense proporzioni. E poi, anche se in sé assurdo, questo progetto permette la realizzazione di altri, più "modesti" ma non per questo meno micidiali, progetti di "difesa". Cioè - traducendo dal linguaggio militare - d'attacco. È, comunque, di guerra e di morte.

Il primo videogioco di successo, capostipite di molti altri, si chiamava Invaders ed era abbastanza semplice: una serie quasi infinita di ufo di varie fogge scendeva lungo lo schermo. Lo scopo del gioco era distruggere tutti gli ufo. Colpire in continuazione senza farsi abbattere.
Non ho mai capito fino in fondo le ragioni del successo di un gioco dopotutto piuttosto stupido, ma certamente dovevano essercene se migliaia di ragazzini buttavano via tempo e denaro solo per riuscire a resistere un po' di più di fronte allo schermo. Ho L'impressione che al Pentagono e tra i collaboratori scientifici che hanno partorito l'idea delle guerre stellari, questo gioco non sia mai passato di moda. E forse non devono essere riusciti a capire che in questo gioco non c'è mai vittoria, si perde sempre.
Oggi troviamo, sepolte nella terra, nascoste negli oceani, in volo nei cieli, sufficienti armi atomiche per distruggere l'intero pianeta non una ma almeno dieci volte. Lo chiamano l'"equilibrio del terrore". Non ti colpisco, perché anche se ti distruggo tu mi puoi sempre colpire. Per quanto folle, forse una volta tanto nel senso più accademico del termine, è questa la realtà che viviamo. Sembra impossibile riuscire a dimostrare l'assurdità di una simile politica poiché essa è assolutamente al di fuori di qualsiasi schema razionale; se la distruzione o per lo meno la minaccia della distruzione dell'intero genere umano può essere, per alcuni, una politica programmabile, non esiste logica che possa penetrarvi.
Forse in una guerra atomica non tutti gli esseri umani morirebbero, ma anche se è ipotizzabile pensare la possibile sopravvivenza di qualche sparuto gruppo di uomini e donne e/o di altri esseri viventi, sicuramente la specie umana come noi la conosciamo e soprattutto le sue culture verrebbero irrimediabilmente distrutte. Potremmo dire ancora una volta insieme ad Albert Einstein: "Non so come verrà combattuta la terza guerra mondiale, ma so come si combatterà la quarta: con le clave".
Non è certo sorprendente che recenti sondaggi, condotti nelle scuole e nelle università americane, abbiano evidenziato come la maggior parte dei giovani sia convinta di morire presto a causa di una guerra nucleare e sia convinta inoltre di non poter far nulla per evitare un simile pericolo.

Un progetto impossibile
La presentazione delle guerre Stellari è stata, in un certo senso, lo sblocco di questa situazione e su queste paure ha giocato. Portiamo la guerra nello spazio e la terra sarà salva. La fantasia nata da paure ben sepolte nelle profondità dell'io o forse dai deliri di potenza irrisolti è uscita allo scoperto. Il sogno impossibile e orrifico di soldati lucenti nelle loro belle uniformi che impongono, con le loro armi super-tecnologiche, la pace alla terra. Forze spaziali tengono il pianeta sotto continua sorveglianza, pronte a distruggere qualsiasi missile non autorizzato. I nuovi cavalieri, che nella realtà più prosaica sono solo burocrati pronti ad uccidere a comando, difendono non più gentili donzelle in pericolo, ma il mondo intero. Finalmente padroni dei fulmini di Zeus, possono liberare la terra dal pericolo. Un sogno forse ancora più orripilante dell'incubo dal quale vuol fare uscire. Chi potrebbe più fermarli, una volta armati con simili tecnologie? Dove si fermerebbe la loro protezione, la loro liberazione? Da quanto ci libererebbero, tutti? La terra sarebbe sotto il tiro di armi micidiali continuamente.
Per fortuna, in un certo senso, questi sono destinati a rimanere sogni. Prima di tutto perché un sistema antimissilistico orbitante intorno alla terra, armato di raggi laser o fasci di particelle, sarebbe più vulnerabile di qualsiasi missile che volesse colpire. Il tempo in cui un missile è sotto tiro, infatti, è meno di trenta minuti, invece un sistema orbitante deve essere pronto sempre, deve cioè orbitare intorno alla terra per periodi molto lunghi ed è quindi molto più facile calcolarne la posizione e quindi distruggerlo.
Senza considerare poi che un simile sistema deve essere per forza di cose molto più sofisticato, dal punto di vista elettronico, del missile che vuol colpire diventando ancora più vulnerabile.
Ma il problema centrale di un simile sistema è la sua completa inefficacia. Se, infatti, si riuscisse a fabbricare uno specchio in grado di riflettere la luce laser o i fasci di particelle ad altissima energia che servono a colpire il bersaglio (data l'altissima energia, qualsiasi superficie che assorbisse anche piccole quantità di energia verrebbe distrutta), niente impedirebbe all'avversario di utilizzare la stessa sostanza come copertura dei missili, rendendo inutile tutto il sistema.
Perché preoccuparsi di un progetto che non esiste nemmeno nell'ambito del fantascientifico? Per quanto si butti denaro non si possono cambiare le leggi della fisica! E poi, come mai sembra venire considerato seriamente da tutti, quando il ragionamento che lo inficia è alla portata di qualsiasi persona con un minimo di conoscenza di fisica? Tutti ignoranti gli americani? E gli scienziati che partecipano al progetto tutti truffatori che hanno trovato modo di avere denaro per nulla o tutti idioti sognatori?
È vero che le dimostrazioni dell'inattuabilità del progetto ad opera di fisici e matematici di alto livello non sono mancate, ma rimane il fatto che al progetto S.D.I., all'ottobre del 1986, partecipavano ben circa 50 laboratori e istituti di ricerca e 52 università tra le più prestigiose d'America (M.I.T., Standford University, Yale, New York University, Princeton, ecc.). Cosa spinge un buon numero di scienziati a mettere in gioco la loro reputazione in un progetto destinato al fallimento così chiaramente? E soprattutto, cosa spinge la gente a credere ciecamente nella possibilità del sistema?
L'immagine delle sentinelle spaziali, disposte a scudo contro il pericolo, è un'immagine altamente rassicurante. Evita di fare i conti con un domani, magari neppure troppo lontano, che segni la fine cruenta e catastrofica del nostro mondo. Le armi nucleari sono vissute come armi contro cui non ci si può difendere, non solo, armi con le quali non ha più senso chi attacca o chi si difende: la realtà è la distruzione totale. Le guerre stellari danno un progetto, si può fare qualcosa, basta volerlo. Bisogna darsi da fare tutti insieme secondo l'antica regola americana. È un'ennesima nuova frontiera americana che viene aperta, e il mito della frontiera è un mito ben presente nella società americana. C'è finalmente uno scopo per il quale lavorare. Ed è solo questione di tempo prima di poter essere ancora una volta sicuri dell'inviolabilità del territorio americano. A questo punto la realizzabilità e fattibilità del progetto non ha più nessuna importanza. L'immagine che viene rappresentata è un'immagine rassicurante e si riallaccia ad un mito forte quindi ci si crede contro qualsiasi evidenza: si crede sempre a ciò che si vuole sentirsi dire.
Se questo meccanismo psicologico è quello che probabilmente ha agito per la grande massa delle persone, non può spiegare invece il coinvolgimento degli studiosi che prima o poi si dovrebbero trovare a fare i conti con i dati reali. Tanto è vero che diversi si sono dissociati dal progetto considerandolo una buffonata. E gli altri?

Quei silos maledetti
Il fatto è che il progetto S.D.I. è un progetto a doppia faccia e mentre la faccia che presenta alla nazione è la faccia sorridente e tranquilla della difesa del sacro territorio della patria, la faccia vera è molto meno bella e rassicurante. È ben noto a tutti i partecipanti al progetto che non è possibile avere un sistema di difesa del territorio sicuro al 100%. I sistemi di difesa sono fatti per essere superati, anche se costringono l'avversario ad utilizzare più mezzi o più idee. Lo scopo del progetto è molto più prosaico e proprio per questo molto più pericoloso.
Il progetto americano è solo quello di riuscire a proteggere in buona parte, efficacemente, i silos in cui hanno stipato i loro missili balistici. L'unica cosa a cui punta il progetto è la protezione dei silos, o quindi dei missili americani, da un possibile attacco russo. In effetti questo scopo sembra più raggiungibile, da un punto di vista tecnico. Per distruggere un silos, ben protetto all'interno del terreno, bisogna colpire esattamente il bersaglio, anche un errore di poche centinaia di metri, non provocherebbe grossi danni. Il progetto Guerre Stellari è quindi il tentativo di far esplodere i missili prima che raggiungano il bersaglio anche a costo di farli esplodere in atmosfera. Ciò comporterebbe certamente la salvezza dei missili balistici nei silos, ma le conseguenze sulla popolazione civile sarebbero uguali o peggiori di quelle che si sarebbero avute se i missili avessero raggiunto il bersaglio.
In più', un simile sistema riuscendo a proteggere la forza d'urto americana provocherebbe un ulteriore squilibrio nella "strategia del terrore" ottenendo come unico scopo una nuova corsa agli armamenti da ambedue le parti. I Russi, infatti, per proteggersi dal sistema americano avrebbero solo due scelte: cercare di produrre un sistema simile o in grado di neutralizzarlo o aumentare nell'ordine delle centinaia, migliaia di volte la produzione dei missili balistici così da compensare con il numero, la maggiore difficoltà nel colpire il bersaglio. Con un numero sufficientemente grande di missili, comunque, qualcuno passerebbe.
Ma tutto questo non farebbe che aumentare il pericolo di una guerra nucleare. Tanto più che un sistema d'intercettazione missilistico dovrebbe per forza di cose (tempo di reazione molto limitato) basarsi su analisi computerizzate e molto probabilmente anche su decisioni automatizzate aumentando anche il rischio di una guerra iniziata per errore. E già successo che la terra si sia trovata sull'orlo della terza guerra mondiale sia per incidenti (basti pensare all'aereo civile abbattuto dai Russi), sia per errori del sistema computerizzato di difesa (diverse volte il sistema di sicurezza americano ha scambiato il sorgere della luna sull'orizzonte per un attacco missilistico russo). Se poi teniamo presente che un'analisi statistica di un paio di anni fa, fatta dalle stesse forze militari americane, ha stabilito che una notevole percentuale del personale addetto alle rilevazioni del sistema di sicurezza è alcolista, tossicodipendente, o presenta notevoli disturbi di carattere psichico e che la causa sembra proprio risiedere nello stress e nella tensione accumulati durante il lavoro, il quadro diventa tragico. Non possediamo evidentemente analisi simili per quanto riguarda i Russi, ma non è difficile ipotizzare una situazione analoga, dato il rapporto scoperto tra lavoro e problemi psicologici. Che fare? È possibile fare qualcosa o dobbiamo vivere con questa spada di Damocle sulla testa, accettando fatalisticamente la possibilità della distruzione?
Negli ultimi anni in quasi tutto il mondo occidentale si sono sviluppati movimenti, sebbene minoritari, pacifisti, che hanno tentato, in modi diversi, di portare all'attenzione di tutti i pericoli connessi con lo sviluppo degli armamenti e delle armi nucleari in particolare. Anche se mossi da alti ideali, bisogna riconoscere che i risultati sono stati piuttosto deludenti. Non che il successo sia il fattore determinante per stabilire la bontà di un'iniziativa, anzi. Spesso sono proprio le iniziative migliori, le più coraggiose, quelle fondate sugli ideali più umani, anche quelle che sembrano essere condannate al fallimento. D'altra patte, in questo caso, come in altri, riuscire nell'intento è molto importante. E anche se la delusione non può e non deve fermare nessuno (è troppo pericolosa la convinzione fatalistica che non si può fare nulla per cambiare lo stato delle cose, c'è in gioco la vita di tutti noi, la vita dei nostri discendenti, forse la stessa sopravvivenza della terra come sistema ecologico) bisogna analizzare bene il problema per evitare errori.
In questo caso io credo che l'insuccesso sia in parte dovuto ad un errore d'impostazione. Limitandosi infatti a considerare il problema solo dal punto di vista delle armi (in più o in meno) e del loro uso (quando e come è giusto) s'imposta l'argomento da un'angolazione che spesso diventa difficile sostenere. Come ottenere la diminuzione delle armi, come convincere gli stati a non usare l'arma nucleare e perché? In quest'ottica il problema si riduce ad un problema di trattati, che tra l'altro le varie parti non pensano mai di rispettare sino in fondo. La mancanza di armi o una supposta debolezza militare sono il presupposto per un attacco di conquista. La produzione di armi sempre migliori e più sofisticate è necessaria per proteggere la mia libertà. Che lo voglia o no devo essere sempre in grado di dimostrare la mia superiorità militare se voglio sopravvivere. Il dibattito si riduce alle frasi fuorvianti "Meglio rossi che morti" o viceversa. Oppure al discorso che la guerra è connessa alla natura umana e via dicendo. Ma la frase di Von Clausevitz "La guerra è solo la politica portata avanti con altri mezzi", che, purtroppo non ha perso di validità, è solo la logica conseguenza di un sistema che pone la forza delle armi come fondamento del proprio successo e del proprio esistere.
Da questo punto di vista, restando all'interno del sistema, non è difficile porre obiezioni sensate al pacifismo. "I movimenti per la pace si pongono come scopo ultimo l'abolizione totale della guerra. La guerra è un male in ogni caso, ma l'uso delle armi nucleari è un male più grave, e l'abolizione delle armi nucleari è un obiettivo politico più pratico della generica abolizione della guerra, (Freeman Dyson, "Armi e speranza"). Dyson, un fisico di notevoli capacità, non è certo un guerrafondaio, ma non crede alla praticabilità del pacifismo proprio perché nel sistema mondiale degli stati l'unico modo "ragionevole" sarebbe eliminare gradualmente tutte le armi, istituendo nel contempo una specie di polizia internazionale in grado di controllare che nessuno fabbrichi o utilizzi più nessun tipo di armi. E questo non è un sogno utopico, ma un incubo assurdo.
Non a caso è lo stesso sogno di Teller che vede in un governo mondiale pronto a controllare tutti gli stati, la possibile fine di qualsiasi guerra. Per lo stesso motivo Dyson pensa che l'unico obiettivo pratico sia invece la graduale eliminazione delle armi nucleari, obiettivo tra l'altro raggiungibile solo con un forte movimento dell'opinione pubblica poiché i trattati da soli non servono a nulla. Ma c'è un prezzo da pagare: eliminare la possibilità di una guerra nucleare vuol dire tornare alle migliaia di conflitti convenzionali, anche tremendi, poiché finché ci saranno gli stati ci saranno conflitti. Ed è vero.
Per uscire da questo vicolo cieco, per riuscire ad andare oltre occorre molto di più che un semplice blocco delle armi. Occorre ribaltare la logica che sta dietro, trovare altri meccanismi, altri modi per vivere.
Non è la prima volta che mi trovo a considerare che la soluzione di un problema richiede un ribaltamento completo dei fondamenti stessi della nostra società. È come se fossimo andati talmente oltre su certe strade, che pure noi abbiamo aperto, che le contraddizioni, i nodi ci si stanno presentando tutti in una volta, e si rivoltano contro di noi. L'inquinamento, l'urbanesimo, il cibo, l'aumento demografico. E ognuno di questi problemi sembra essere irresolubile all'interno della nostra cultura.
Dire di no alle armi nucleari significa dire di no a tutte le armi, ma dire di no a tutte le armi, senza finire in un controllo orwelliano, significa rifiutare la logica militare. Rifiutare la logica della conquista, dell'assoggettamento, del dominio all'esterno e all'interno della società, significa rifiutare lo stato. Cioè vuol dire cercare di rifondare completamente la nostra cultura. Non è un caso che parlando con le donne di Greenham Common abbia scoperto che il loro impegno pacifista, nato dall'amore per la vita, dalla preoccupazione per il futuro dei loro figli, da sentimenti comuni, le aveva portate molto avanti sulla strada del cambiamento sociale fino ad ipotizzate una società, ecologica, pacifista, non gerarchica, e, io direi, matricentrica.
È vero che ci si può accontentare della semplice diminuzione e del controllo delle armi nucleari; forse su questa strada si può riuscire a bloccare il sogno perverso delle guerre stellari. Magari, ma fra quanti anni, si potrebbero eliminare le armi nucleari. Ma questa strada lascia intatto l'apparato militare e la guerra. Ovviamente anche questo non è un obiettivo da poco di fronte alla minaccia di una distruzione totale o quasi dell'umanità.
Le guerre convenzionali, por quanto terribili e dolorose, rimangono un male minore. Appunto, solo un male minore. Si può sopravvivere come specie ad una guerra, forse anche a molte guerre, forse anche a una guerra nucleare, ma c'è da chiedersi se il nostro obiettivo deve essere la sola paura e semplice sopravvivenza. Non ci meritiamo qualcosa di più?



Parliamo un po' di TE

Mentre si fa un gran baccano introno alle "guerre stellari" non si parla, o quasi, del TE o tecnologia emergente. Il concetto è emerso in ambito militare sin dai primi anni ottanta: è il tentativo della NATO di trarre vantaggio dal suo più elevato livello tecnologico per migliorare la capacità delle sue armi convenzionali nei confronti di quelle del Patto di Varsavia. Il concetto di TE riguarda tecnologie ancora in fase esplorativa, che potranno essere incorporate in sistemi d'arma entro 15-20 anni, tecnologie emergenti, utilizzabili negli anni novanta e tecnologie già emerse e alcune già incorporate in sistemi d'arma.
Di conseguenza in molte nazioni della NATO si stanno già sviluppando diversi tipi di armi. Sono i "dispenser", grandi contenitori-distributori di piccole bombe e mine applicati sotto gli aerei, missili a lungo raggio come complemento agli aerei con pilota umano, molto più vulnerabili, radar per la localizzazione e segnalazione dei bersagli mobili (C³I), missili per attacchi contro bersagli mobili e fissi, i "drone" anti-radar e anti-carro con il vantaggio di poter cercare e colpire un bersaglio autonomamente in una data zona, submunizioni guidate sganciabili da dispenser, missili, drone, e missili a corto raggio d'azione. Tali sistemi verrebbero a costituire una catena in cui è necessaria la massima efficienza di ogni singolo anello perché il tutto funzioni.
È evidente che TE nasce anche per raccogliere l'ingente "ricaduta" tecnologica del progetto "guerre stellari", per sfruttare al massimo e militarmente l'enorme bacino di ricerca scientifica e tecnologica mobilitato per la sua realizzazione.

M.P.