Rivista Anarchica Online
Impossibili ma
vere
di Maria Teresa Romiti
Nonostante si
tratti di un progetto di impossibile realizzazione il famoso SDI
(meglio noto come "guerre stellari") merita di essere preso
attentamente in considerazione. Intorno ruota un
giro d'affari internazionale di immense proporzioni. E poi, anche se
in sé assurdo, questo progetto permette la realizzazione di altri,
più "modesti" ma non per questo meno micidiali, progetti di
"difesa". Cioè -
traducendo dal linguaggio militare - d'attacco. È,
comunque, di guerra e di morte.
Il primo videogioco
di successo, capostipite di molti altri, si chiamava Invaders ed era
abbastanza semplice: una serie quasi infinita di ufo di varie fogge
scendeva lungo lo schermo. Lo scopo del gioco era distruggere tutti
gli ufo. Colpire in continuazione senza farsi abbattere. Non ho mai capito
fino in fondo le ragioni del successo di un gioco dopotutto piuttosto
stupido, ma certamente dovevano essercene se migliaia di ragazzini
buttavano via tempo e denaro solo per riuscire a resistere un po' di
più di fronte allo schermo. Ho L'impressione che al Pentagono e tra
i collaboratori scientifici che hanno partorito l'idea delle guerre
stellari, questo gioco non sia mai passato di moda. E forse non
devono essere riusciti a capire che in questo gioco non c'è mai
vittoria, si perde sempre. Oggi troviamo,
sepolte nella terra, nascoste negli oceani, in volo nei cieli,
sufficienti armi atomiche per distruggere l'intero pianeta non una ma
almeno dieci volte. Lo chiamano l'"equilibrio del terrore".
Non ti colpisco, perché anche se ti distruggo tu mi puoi sempre
colpire. Per quanto folle, forse una volta tanto nel senso più
accademico del termine, è questa la realtà che viviamo. Sembra
impossibile riuscire a dimostrare l'assurdità di una simile politica
poiché essa è assolutamente al di fuori di qualsiasi schema
razionale; se la distruzione o per lo meno la minaccia della
distruzione dell'intero genere umano può essere, per alcuni, una
politica programmabile, non esiste logica che possa penetrarvi. Forse in una guerra
atomica non tutti gli esseri umani morirebbero, ma anche se è
ipotizzabile pensare la possibile sopravvivenza di qualche sparuto
gruppo di uomini e donne e/o di altri esseri viventi, sicuramente la
specie umana come noi la conosciamo e soprattutto le sue culture
verrebbero irrimediabilmente distrutte. Potremmo dire ancora una
volta insieme ad Albert Einstein: "Non so come verrà combattuta
la terza guerra mondiale, ma so come si combatterà la quarta: con le
clave". Non è certo
sorprendente che recenti sondaggi, condotti nelle scuole e nelle
università americane, abbiano evidenziato come la maggior parte dei
giovani sia convinta di morire presto a causa di una guerra nucleare
e sia convinta inoltre di non poter far nulla per evitare un simile
pericolo.
Un progetto
impossibile
La presentazione
delle guerre Stellari è stata, in un certo senso, lo sblocco di
questa situazione e su queste paure ha giocato. Portiamo la guerra
nello spazio e la terra sarà salva. La fantasia nata da paure ben
sepolte nelle profondità dell'io o forse dai deliri di potenza
irrisolti è uscita allo scoperto. Il sogno impossibile e orrifico di
soldati lucenti nelle loro belle uniformi che impongono, con le loro
armi super-tecnologiche, la pace alla terra. Forze spaziali tengono
il pianeta sotto continua sorveglianza, pronte a distruggere
qualsiasi missile non autorizzato. I nuovi cavalieri, che nella
realtà più prosaica sono solo burocrati pronti ad uccidere a
comando, difendono non più gentili donzelle in pericolo, ma il mondo
intero. Finalmente padroni dei fulmini di Zeus, possono liberare la
terra dal pericolo. Un sogno forse ancora più orripilante
dell'incubo dal quale vuol fare uscire. Chi potrebbe più fermarli,
una volta armati con simili tecnologie? Dove si fermerebbe la loro
protezione, la loro liberazione? Da quanto ci libererebbero, tutti?
La terra sarebbe sotto il tiro di armi micidiali continuamente. Per fortuna, in un
certo senso, questi sono destinati a rimanere sogni. Prima di tutto
perché un sistema antimissilistico orbitante intorno alla terra,
armato di raggi laser o fasci di particelle, sarebbe più vulnerabile
di qualsiasi missile che volesse colpire. Il tempo in cui un missile
è sotto tiro, infatti, è meno di trenta minuti, invece un sistema
orbitante deve essere pronto sempre, deve cioè orbitare intorno alla
terra per periodi molto lunghi ed è quindi molto più facile
calcolarne la posizione e quindi distruggerlo. Senza considerare
poi che un simile sistema deve essere per forza di cose molto più
sofisticato, dal punto di vista elettronico, del missile che vuol
colpire diventando ancora più vulnerabile. Ma il problema
centrale di un simile sistema è la sua completa inefficacia. Se,
infatti, si riuscisse a fabbricare uno specchio in grado di
riflettere la luce laser o i fasci di particelle ad altissima energia
che servono a colpire il bersaglio (data l'altissima energia,
qualsiasi superficie che assorbisse anche piccole quantità di
energia verrebbe distrutta), niente impedirebbe all'avversario di
utilizzare la stessa sostanza come copertura dei missili, rendendo
inutile tutto il sistema. Perché
preoccuparsi di un progetto che non esiste nemmeno nell'ambito del
fantascientifico? Per quanto si butti denaro non si possono cambiare
le leggi della fisica! E poi, come mai sembra venire considerato
seriamente da tutti, quando il ragionamento che lo inficia è alla
portata di qualsiasi persona con un minimo di conoscenza di fisica?
Tutti ignoranti gli americani? E gli scienziati che partecipano al
progetto tutti truffatori che hanno trovato modo di avere denaro per
nulla o tutti idioti sognatori? È vero che le
dimostrazioni dell'inattuabilità del progetto ad opera di fisici e
matematici di alto livello non sono mancate, ma rimane il fatto che
al progetto S.D.I., all'ottobre del 1986, partecipavano ben circa 50
laboratori e istituti di ricerca e 52 università tra le più
prestigiose d'America (M.I.T., Standford University, Yale, New York
University, Princeton, ecc.). Cosa spinge un buon numero di
scienziati a mettere in gioco la loro reputazione in un progetto
destinato al fallimento così chiaramente? E soprattutto, cosa spinge
la gente a credere ciecamente nella possibilità del sistema? L'immagine delle
sentinelle spaziali, disposte a scudo contro il pericolo, è
un'immagine altamente rassicurante. Evita di fare i conti con un
domani, magari neppure troppo lontano, che segni la fine cruenta e
catastrofica del nostro mondo. Le armi nucleari sono vissute come
armi contro cui non ci si può difendere, non solo, armi con le quali
non ha più senso chi attacca o chi si difende: la realtà è la
distruzione totale. Le guerre stellari danno un progetto, si può
fare qualcosa, basta volerlo. Bisogna darsi da fare tutti insieme
secondo l'antica regola americana. È un'ennesima nuova frontiera
americana che viene aperta, e il mito della frontiera è un mito ben
presente nella società americana. C'è finalmente uno scopo per il
quale lavorare. Ed è solo questione di tempo prima di poter essere
ancora una volta sicuri dell'inviolabilità del territorio americano.
A questo punto la realizzabilità e fattibilità del progetto non ha
più nessuna importanza. L'immagine che viene rappresentata è
un'immagine rassicurante e si riallaccia ad un mito forte quindi ci
si crede contro qualsiasi evidenza: si crede sempre a ciò che si
vuole sentirsi dire. Se questo
meccanismo psicologico è quello che probabilmente ha agito per la
grande massa delle persone, non può spiegare invece il
coinvolgimento degli studiosi che prima o poi si dovrebbero trovare a
fare i conti con i dati reali. Tanto è vero che diversi si sono
dissociati dal progetto considerandolo una buffonata. E gli altri?
Quei silos
maledetti
Il fatto è che il
progetto S.D.I. è un progetto a doppia faccia e mentre la faccia che
presenta alla nazione è la faccia sorridente e tranquilla della
difesa del sacro territorio della patria, la faccia vera è molto
meno bella e rassicurante. È
ben noto a tutti i partecipanti al progetto che non è possibile
avere un sistema di difesa del territorio sicuro al 100%. I sistemi
di difesa sono fatti per essere superati, anche se costringono
l'avversario ad utilizzare più mezzi o più idee. Lo scopo del
progetto è molto più prosaico e proprio per questo molto più
pericoloso. Il progetto
americano è solo quello di riuscire a proteggere in buona parte,
efficacemente, i silos in cui hanno stipato i loro missili balistici.
L'unica cosa a cui punta il progetto è la protezione dei silos, o
quindi dei missili americani, da un possibile attacco russo. In
effetti questo scopo sembra più raggiungibile, da un punto di vista
tecnico. Per distruggere un silos, ben protetto all'interno del
terreno, bisogna colpire esattamente il bersaglio, anche un errore di
poche centinaia di metri, non provocherebbe grossi danni. Il progetto
Guerre Stellari è quindi il tentativo di far esplodere i missili
prima che raggiungano il bersaglio anche a costo di farli esplodere
in atmosfera. Ciò comporterebbe certamente la salvezza dei missili
balistici nei silos, ma le conseguenze sulla popolazione civile
sarebbero uguali o peggiori di quelle che si sarebbero avute se i
missili avessero raggiunto il bersaglio. In più', un simile
sistema riuscendo a proteggere la forza d'urto americana
provocherebbe un ulteriore squilibrio nella "strategia del
terrore" ottenendo come unico scopo una nuova corsa agli
armamenti da ambedue le parti. I Russi, infatti, per proteggersi dal
sistema americano avrebbero solo due scelte: cercare di produrre un
sistema simile o in grado di neutralizzarlo o aumentare nell'ordine
delle centinaia, migliaia di volte la produzione dei missili
balistici così da compensare con il numero, la maggiore difficoltà
nel colpire il bersaglio. Con un numero sufficientemente grande di
missili, comunque, qualcuno passerebbe. Ma tutto questo non
farebbe che aumentare il pericolo di una guerra nucleare. Tanto più
che un sistema d'intercettazione missilistico dovrebbe per forza di
cose (tempo di reazione molto limitato) basarsi su analisi
computerizzate e molto probabilmente anche su decisioni automatizzate
aumentando anche il rischio di una guerra iniziata per errore. E già
successo che la terra si sia trovata sull'orlo della terza guerra
mondiale sia per incidenti (basti pensare all'aereo civile abbattuto
dai Russi), sia per errori del sistema computerizzato di difesa
(diverse volte il sistema di sicurezza americano ha scambiato il
sorgere della luna sull'orizzonte per un attacco missilistico russo).
Se poi teniamo presente che un'analisi statistica di un paio di anni
fa, fatta dalle stesse forze militari americane, ha stabilito che una
notevole percentuale del personale addetto alle rilevazioni del
sistema di sicurezza è alcolista, tossicodipendente, o presenta
notevoli disturbi di carattere psichico e che la causa sembra proprio
risiedere nello stress e nella tensione accumulati durante il lavoro,
il quadro diventa tragico. Non possediamo evidentemente analisi
simili per quanto riguarda i Russi, ma non è difficile ipotizzare
una situazione analoga, dato il rapporto scoperto tra lavoro e
problemi psicologici. Che fare? È
possibile fare qualcosa o dobbiamo vivere con questa spada di Damocle
sulla testa, accettando fatalisticamente la possibilità della
distruzione? Negli ultimi anni
in quasi tutto il mondo occidentale si sono sviluppati movimenti,
sebbene minoritari, pacifisti, che hanno tentato, in modi diversi, di
portare all'attenzione di tutti i pericoli connessi con lo sviluppo
degli armamenti e delle armi nucleari in particolare. Anche se mossi
da alti ideali, bisogna riconoscere che i risultati sono stati
piuttosto deludenti. Non che il successo sia il fattore determinante
per stabilire la bontà di un'iniziativa, anzi. Spesso sono proprio
le iniziative migliori, le più coraggiose, quelle fondate sugli
ideali più umani, anche quelle che sembrano essere condannate al
fallimento. D'altra patte, in questo caso, come in altri, riuscire
nell'intento è molto importante. E anche se la delusione non può e
non deve fermare nessuno (è troppo pericolosa la convinzione
fatalistica che non si può fare nulla per cambiare lo stato delle
cose, c'è in gioco la vita di tutti noi, la vita dei nostri
discendenti, forse la stessa sopravvivenza della terra come sistema
ecologico) bisogna analizzare bene il problema per evitare errori. In questo caso io
credo che l'insuccesso sia in parte dovuto ad un errore
d'impostazione. Limitandosi infatti a considerare il problema solo
dal punto di vista delle armi (in più o in meno) e del loro uso
(quando e come è giusto) s'imposta l'argomento da un'angolazione che
spesso diventa difficile sostenere. Come ottenere la diminuzione
delle armi, come convincere gli stati a non usare l'arma nucleare e
perché? In quest'ottica il problema si riduce ad un problema di
trattati, che tra l'altro le varie parti non pensano mai di
rispettare sino in fondo. La mancanza di armi o una supposta
debolezza militare sono il presupposto per un attacco di conquista.
La produzione di armi sempre migliori e più sofisticate è
necessaria per proteggere la mia libertà. Che lo voglia o no devo
essere sempre in grado di dimostrare la mia superiorità militare se
voglio sopravvivere. Il dibattito si riduce alle frasi fuorvianti
"Meglio rossi che morti" o viceversa. Oppure al discorso
che la guerra è connessa alla natura umana e via dicendo. Ma la
frase di Von Clausevitz "La guerra è solo la politica portata
avanti con altri mezzi", che, purtroppo non ha perso di
validità, è solo la logica conseguenza di un sistema che pone la
forza delle armi come fondamento del proprio successo e del proprio
esistere. Da questo punto di
vista, restando all'interno del sistema, non è difficile porre
obiezioni sensate al pacifismo. "I movimenti per la pace si
pongono come scopo ultimo l'abolizione totale della guerra. La guerra
è un male in ogni caso, ma l'uso delle armi nucleari è un male più
grave, e l'abolizione delle armi nucleari è un obiettivo politico
più pratico della generica abolizione della guerra, (Freeman Dyson,
"Armi e speranza"). Dyson, un fisico di notevoli capacità,
non è certo un guerrafondaio, ma non crede alla praticabilità del
pacifismo proprio perché nel sistema mondiale degli stati l'unico
modo "ragionevole" sarebbe eliminare gradualmente tutte le
armi, istituendo nel contempo una specie di polizia internazionale in
grado di controllare che nessuno fabbrichi o utilizzi più nessun
tipo di armi. E questo non è un sogno utopico, ma un incubo assurdo. Non a caso è lo
stesso sogno di Teller che vede in un governo mondiale pronto a
controllare tutti gli stati, la possibile fine di qualsiasi guerra.
Per lo stesso motivo Dyson pensa che l'unico obiettivo pratico sia
invece la graduale eliminazione delle armi nucleari, obiettivo tra
l'altro raggiungibile solo con un forte movimento dell'opinione
pubblica poiché i trattati da soli non servono a nulla. Ma c'è un
prezzo da pagare: eliminare la possibilità di una guerra nucleare
vuol dire tornare alle migliaia di conflitti convenzionali, anche
tremendi, poiché finché ci saranno gli stati ci saranno conflitti.
Ed è vero. Per uscire da
questo vicolo cieco, per riuscire ad andare oltre occorre molto di
più che un semplice blocco delle armi. Occorre ribaltare la logica
che sta dietro, trovare altri meccanismi, altri modi per vivere. Non è la prima
volta che mi trovo a considerare che la soluzione di un problema
richiede un ribaltamento completo dei fondamenti stessi della nostra
società. È come se
fossimo andati talmente oltre su certe strade, che pure noi abbiamo
aperto, che le contraddizioni, i nodi ci si stanno presentando tutti
in una volta, e si rivoltano contro di noi. L'inquinamento,
l'urbanesimo, il cibo, l'aumento demografico. E ognuno di questi
problemi sembra essere irresolubile all'interno della nostra cultura. Dire di no alle
armi nucleari significa dire di no a tutte le armi, ma dire di no a
tutte le armi, senza finire in un controllo orwelliano, significa
rifiutare la logica militare. Rifiutare la logica della conquista,
dell'assoggettamento, del dominio all'esterno e all'interno della
società, significa rifiutare lo stato. Cioè vuol dire cercare di
rifondare completamente la nostra cultura. Non è un caso che
parlando con le donne di Greenham Common abbia scoperto che il loro
impegno pacifista, nato dall'amore per la vita, dalla preoccupazione
per il futuro dei loro figli, da sentimenti comuni, le aveva portate
molto avanti sulla strada del cambiamento sociale fino ad ipotizzate
una società, ecologica, pacifista, non gerarchica, e, io direi,
matricentrica. È
vero che ci si può accontentare della semplice diminuzione e del
controllo delle armi nucleari; forse su questa strada si può
riuscire a bloccare il sogno perverso delle guerre stellari. Magari,
ma fra quanti anni, si potrebbero eliminare le armi nucleari. Ma
questa strada lascia intatto l'apparato militare e la guerra.
Ovviamente anche questo non è un obiettivo da poco di fronte alla
minaccia di una distruzione totale o quasi dell'umanità. Le guerre
convenzionali, por quanto terribili e dolorose, rimangono un male
minore. Appunto, solo un male minore. Si può sopravvivere come
specie ad una guerra, forse anche a molte guerre, forse anche a una
guerra nucleare, ma c'è da chiedersi se il nostro obiettivo deve
essere la sola paura e semplice sopravvivenza. Non ci meritiamo
qualcosa di più?
Parliamo un po' di
TE
Mentre si fa un gran
baccano introno alle "guerre stellari" non si parla, o quasi, del
TE o tecnologia emergente. Il concetto è emerso in ambito militare
sin dai primi anni ottanta: è il tentativo della NATO di trarre
vantaggio dal suo più elevato livello tecnologico per migliorare la
capacità delle sue armi convenzionali nei confronti di quelle del
Patto di Varsavia. Il concetto di TE riguarda tecnologie ancora in
fase esplorativa, che potranno essere incorporate in sistemi d'arma
entro 15-20 anni, tecnologie emergenti, utilizzabili negli anni
novanta e tecnologie già emerse e alcune già incorporate in sistemi
d'arma. Di conseguenza in
molte nazioni della NATO si stanno già sviluppando diversi tipi di
armi. Sono i "dispenser", grandi contenitori-distributori di
piccole bombe e mine applicati sotto gli aerei, missili a lungo
raggio come complemento agli aerei con pilota umano, molto più
vulnerabili, radar per la localizzazione e segnalazione dei bersagli
mobili (C³I),
missili per attacchi contro bersagli mobili e fissi, i "drone"
anti-radar e anti-carro con il vantaggio di poter cercare e colpire
un bersaglio autonomamente in una data zona, submunizioni guidate
sganciabili da dispenser, missili, drone, e missili a corto raggio
d'azione. Tali sistemi verrebbero a costituire una catena in cui è
necessaria la massima efficienza di ogni singolo anello perché il
tutto funzioni. È
evidente che TE nasce anche per raccogliere l'ingente "ricaduta"
tecnologica del progetto "guerre stellari", per sfruttare al
massimo e militarmente l'enorme bacino di ricerca scientifica e
tecnologica mobilitato per la sua realizzazione.
M.P.
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