Rivista Anarchica Online
Gli occhi verso
l'infinito
di Alberto Panciroli
Li accomunano una
grande dignità, l'energico andar contro corrente, i momenti di
intensa commozione che sanno regalarci, le corde che riescono a far
vibrare. Eppure Peter
Handke, Werner Herzog e Wim Wenders partono da ambiti molto
differenti. C'è in tutti
loro un tentativo di sguardo oltre la superficie.
Esiste una bella e
stretta comunione d'intenti tra personaggi diversi; vediamo il loro
muoversi nella stessa direzione pur partendo da ambiti diversi:
Werner Herzog, Peter Handke, Wim Wenders sono forse i più
rappresentativi. C'è una grande dignità in loro, un energico andar
contro corrente, ci regalano momenti di intensa commozione, riescono
a far vibrare delle corde di cui non conoscevamo l'esistenza. Sono rimasto
incantato alla vista di film come "Alice nelle città",
"Nel corso del tempo" e anche da molti passi dei libri di
Handke così come dalla totalità della filmografia di Herzog. Ciò che accomuna
questi autori è uno slancio proteso verso la rinascita della
sensibilità, del sogno e della visione, un segno di un nuovo
sentire.
Linguaggio
debole
Tutti i personaggi
di Herzog hanno, nel film, degli occhi particolarissimi sempre fissi
verso l'infinito, in un perenne stato di distanza da chi li circonda
e i personaggi di Wenders ed Handke parlano pochissimo, ma rimuginano
incessantemente dentro di sé. Entrambi hanno relazioni con gli altri
in maniera poco corporea e poco parlata, ma qualcosa ugualmente si
trasmette. È una
particolare situazione dell'essere che si comunica con difficoltà, è
un "linguaggio debole" appena accennato e può essere
raccolto da persone nello stesso stato esistenziale. È un linguaggio
che viene spesso deriso perché "incomprensibile". Questo
stato di "debolezza", che colpisce i portatori di questa
altra lingua genera un senso di isolamento (di cui ci si può anche
gloriare, ma di cui - più spesso - si è vittima) che porta ad una
naturale appartenenza con chi parla o si comporta con difficoltà. Ma
non è solo "naturale appartenenza"! Si tratta di vero e
proprio amore! In particolare
Herzog ci attrae per la forza che attraversa tutte le sue opere;
forza che ci è resa evidente nello stile atipico e provocatorio
della forma e per l'intensa suggestione che invade, prepotentemente,
i nostri ragionamenti: ciò che ci dice, i soggetti del suo cinema. Ad un primo
approccio si può rimanere disorientati di fronte ai suoi film, per i
modi stralunati del raccontare e per le vicende imprecise e poco
attuali, ma con un po' di attenzione si può riuscire a vedere che
Herzog ci mostra sempre lo stesso film, in ogni film è sempre
presente la stessa storia. I nani, Aguirre, Strozek, Kaspar, Woyzec,
Fitzcarraldo, Nosferatu, il documentario su Messner ed infine gli
aborigeni di "dove volano le formiche verdi"; tutti questi
"interpreti" ci lasciano senza fiato per la meraviglia di
rivedere di film in film sempre il medesimo destino, la disperata
difesa degli elementi deboli della società umana, il suo disprezzo
verso chi si allontana presuntuosamente dalla natura pretendendo di
dominarla, la maniera "eccessiva", metaforica, di mostrarci la
parabola dei suoi eroi. Con il massimo di
chiarezza ecco lo stesso Herzog dirci ciò che pensa: "vorrei che
dopo aver visto un mio film, lo spettatore uscisse a vedere il mondo,
la vita, le facce della gente sotto prospettive diverse, vorrei che
capisse davvero chi sono i nani e i deformi, vorrei che capisse cosa
sono le loro rivolte e le norme contro cui si rivoltano, vorrei che
si ritrovassero, dentro, Kaspar Hauser e fuori, avversari, quelli che
lo opprimono". Ma, nonostante
queste intenzioni siano state fatte proprie anche da altri registi,
assistiamo in Herzog ad un'unicità di stile assolutamente originale:
in lui, i suoi temi, la prefigurazione di una realtà desiderabile,
l'ideale di un vedere nuovo e purificato, vivono, si concretizzano
nel corpo stesso del film. I suoi film - come
già Wenders ed Handke - tendono a ridurre al minimo la storia, lo
scorrere logico e lineare di un avvenimento. Al posto di questo, e di
un percorso identificabile, vi sono dei blocchi narrativi a sé
stanti, praticamente intercambiabili - la sostituzione di questi
blocchi, l'uno con l'altro, non cambierebbe la sostanza del film -
che ci parlano quasi metaforicamente attraverso un linguaggio non più
realistico, credibile, ma non per questo meno privo di senso, anzi:
la suggestione di questi "segni" ha ai nostri occhi un valore
ancora maggiore perché emotivamente più intensificati. Così Herzog: "Odio
il documentario, odio il cinema diretto. Al cinema i livelli di
verità sono infiniti e quello del cosiddetto "cinema-verità"
è il più superficiale, il più primitivo. Non cambio solo nei miei
film a soggetto, cambio, invento anche nei miei documentari. Al posto
della verità "vera" ce ne metto sempre un'altra,
altrettanto vera ma "diversa", intensificata, potenziata".
Quella profonda
desolazione
Questo autore, nei
cui film vi è una mancanza totale di ironia e tenerezza, ha
un'unica, piccola eccezione in una breve sequenza tratta da Strozek,
in cui un medico solleva un bambino prematuro e lo stringe a lungo
tra le proprie braccia, regalandoci un'inquadratura di una bellezza
sospesa, intensa e lirica come poche altre: l'unica del suo cinema;
quest'immagine è forse quella che realizza le aspettative sottintese
di tutti i suoi sforzi: un'intensa attenzione verso la debolezza con
l'intima volontà di ascoltare. Per raggiungere
questo obiettivo - in sostituzione di un possibile cinema realistico
che descriva le misere sorti degli emarginati - Herzog sceglie un
modo di narrare anti-realistico e visionario con l'effetto di evocare
nello spettatore emozioni e riflessioni più intense e originali. Mi piace insistere
su questi particolari che sento molto vicini, perché in fondo,
semplicemente, è tutto qui il fondo della faccenda, fino dalle prime
immagini così importanti, seguendo via via l'itinerario senza
speranza dei suoi attori, in quei finali senza vita, immutabili. Qual è il senso
così forte di questi "quadri"? Perché c'è una
sovrabbondanza così eccessiva di sguardi così lontani, che sanno
vedere oltre e attraverso quello che vedono gli altri? Perché un
montaggio così disordinato, enigmatico, fatti, vicende, attori così
particolari, anticinematografici? Si tratta di riconoscere che il
cinema di Herzog è già la prefigurazione di modi di comportarsi e
di indagare la vita. È già l'obiettivo a cui tendono i suoi
personaggi; la vita, attraversata da una sensibilità acutizzata
sempre esasperata, in grado di cogliere nella realtà rifrazioni,
avvenimenti, emozioni, con tutti i sensi desti fino all'inverosimile.
"(...) quasi che si trattasse non d'altro se non di fare il
necessario silenzio in sé e perché le cose tornino a parlare,
perché tutto rinasca". A tutto questo
Herzog ha teso in maniera quasi fisica, per quanto riguarda i
protagonisti bisogna notare che a questo scopo nessuno meglio degli
attori herzoghiani poteva dare corpo all'incarnazione della
disperazione e dell'allucinazione, come Klaus Kinski e Bruno S. Questi due "attori"
hanno mostrato attraverso i loro volti il massimo possibile del
totale straniamento, la loro quasi totale esclusione dal mondo della
civiltà e attraverso i loro occhi esterrefatti passa la metafora
della loro esasperata appartenenza ad un mondo sensibile, legati in
maniera intuitiva e disperata alla natura. Mai gli occhi sono stati a
tal punto mezzo e fine dell'inestinguibile ricerca etica di Herzog. È questo, questo
soffio vitale, questa tendenza al riacutizzare completamente se
stessi che ammiro in Herzog, è questo appunto che è stato a parer
mio, in diversi scritti, molto sottovalutato, in favore di
interpretazioni psicanalitiche o superomistiche dei suoi lavori.
Piccole voci
all'unisono
Eppure a me sembra
che a volte la complessità dei suoi "passaggi" trovi momenti
di intensa chiarezza e precisione, sempre strutturata in quella
maniera romantica e lirica che gli è propria; come nel finale del
suo bel libro "sentieri nel ghiaccio": "sul seguito
ancora questo: sono andato dalla Eisner, era ancora spossata e
segnata dalla malattia. Qualcuno doveva averle detto per telefono che
io ero arrivato a piedi; io non volevo dirlo. Ero imbarazzato e ho
steso le gambe dolenti su una seconda sedia che lei mi ha spinto
davanti. Nell'imbarazzo mi è passata nella testa una cosa e dato che
la situazione era comunque strana, gliel'ho detta. Insieme, ho detto,
faremo un fuoco e arrostiremo i pesci. Allora lei mi ha guardato con
un lieve sorriso e poiché sapeva che ero uno che andava a piedi e
perciò un indifeso, mi ha compreso. Per un solo istante, senza peso,
per il mio corpo esausto è passato come un soffio di dolcezza. Ho
detto: Apra la finestra, da qualche giorno io so volare". Mi piace pensare
che altri autori mirino allo stesso fine per strade diverse, quasi a
voler riempire ogni sorta di esperienza comunicativa con gli stessi
temi. Mi pare di vedere assonanze che attraversano vari autori, senza
intendere che questa sia la loro matrice unificante, ma più
modestamente che comunque qualcosa emerge, e queste piccole voci
all'unisono ci parlano di un tema decisamente fuori moda: forse
occorre essere più silenziosi, anche più pensierosi, qualcosa va
pagato per ascoltare con più attenzione ciò che accade, per
crescere un rispetto per le cose e per gli uomini di cui non siamo
capaci, è un po' un rallentarsi, per pensarsi e per guardare, poi,
con più attenzione il resto. In questo, si
trovano accomunati anche Wenders ed Handke, con qualche significativa
differenza. In questi due autori non c'è un richiamo esplicito ai
soggetti dell'emarginazione, non ne costituiscono il tema
privilegiato come in Herzog, ma ugualmente ho l'impressione della
grande portata del loro lavoro, che induce ad attrezzare di nuovi
materiali la nostra percezione della realtà. Una scrittura ed un
cinema così rarefatti eppure così straordinariamente intensi nella
bellezza della loro solitudine e dei loro incontri ci riempiono di
speranza: la sensazione fisica durante e dopo la lettura o la visione
delle loro opere è stata per me un grosso groppo alla gola, un
grande senso di dolcezza e di comprensibile malinconia. Da un romanzo di
Handke: "Intanto quassù era riuscito, finora, a mettere il
sogno al suo posto, come si dice, a trattarlo appunto come un sogno.
E adesso che cosa sarebbe accaduto? Che stupidaggine, che uno sguardo
panoramico dall'alto riordinasse di nuovo le dimensioni! Così erano
poi le dimensioni giuste? Il sogno è stato vero, e io l'ho tradito
per quest'armonia forzata, pensò. Vigliacco panoramico, con lo
sguardo da pilota d'aliante! Il sogno è stato forse il mio primo
segno di vita dopo tanto tempo. Avrebbe dovuto mettermi in guardia.
Voleva voltarmi, come si volta uno che è stato a lungo sul lato
sbagliato. Io vorrei dimenticare le sicurezze sonnambulistiche, per
lo stato di veglia. Dimenticare i sogni, è sempre stato facile.
Perdere le sicurezze, sarà ogni giorno più faticoso, quelle
sicurezze che giornalmente mi sono state imposte, come in sogno, da
altri. Per esempio, la sicurezza dello sguardo con cui io da questa
altura, guardo il brulichio sottostante, assicura il sogno di tutta
la vita di qualcun altro. Qual'è il mio sogno vitale?, pensò
Keuschnig. Dimenticherò le sicurezze se mi ricorderò di un tale
sogno". Sensazione questa,
confermata in diversi suoi altri libri e che si ritrova appunto anche
in Wenders, in una continua ricerca di se stessi, in perenne stato
di isolamento e solitudine, i personaggi di Wenders vagano per la
Germania o per l'America in continuo movimento. Motion Emotion ha
detto Wenders, rilevando come in lingua inglese vi sia solo una
piccolissima differenza tra le due parole. Film dalla
struttura così esile da creare stupore e confusione nello spettatore
che li avvicina impreparato la prima volta. Film dalla predominanza
assoluta dell'immagine sulla parola, film - con le parole di Wenders
- in cui non c'è più bisogno di dimostrare ma solo di mostrare. Ha detto bene Paolo
Bertetto nell'introduzione ad un libro di scritti di Wenders: "(...)
"falso movimento" ha la forma rovesciata di un itinerario
geografico in cui non si acquisisce sapere nuovo, né si fa tesoro
delle esperienze vissute, ma si producono condizioni di
appropriazione e di estraneità, di disagio e di creatività nel
nomadismo permanente. Non si accumulano esperienze formative, né si
accede alla maturità, ma semmai ci si libera di una formazione
inerte, inibente, per acquisire nuovi stimoli del funzionamento
immediato, che non si sommano a nulla, garantiscono soltanto un
breve stato di creatività, una disposizione particolare alla
scrittura".
Oltre la
superficie
Non vorrei essere
frainteso, una grande distanza stilistica ed etica separa Herzog da
Wenders; il riferimento costante della sua attività registica resta
il cinema americano classico, è da lì che parte la forza vitale del
suo cinema, eppure penso non sia inesatto il percepire in Wenders dei
temi che lo avvicinano concettualmente ad Herzog. In Wenders, come
già detto, non c'è la difesa appassionata dell'emarginazione, ma in
lui vi è il passaggio logico successivo: la proposta - in tutti i
suoi film - di un "vedere" più vero, più attento, un
tentativo di sguardo oltre la superficie; cosa di cui vi è un
indispensabile bisogno per l'eliminazione delle barriere verso i
diversi.
Wim Wenders
Cineasta profondo e con una intensità di stile molto forte, si situa al pari di Herzog all'interno di quel movimento di cineasti che alcuni anni fa veniva chiamato "il nuovo cinema tedesco"; accomunnato ad Herzog anche per uno stile lento e contemplativo, profondamente antitelevisivo. Wenders ha sempre dichiarato una grande passione per il cinema americano classico; l'amore verso questo cinema è fondamentale per la comprensione dei suoi film. Un amore particolare, strutturato come una contrapposizione: una grande ammirazione verso di esso e l'idea di partire da lì ma con la consapevolezza di voler fare film completamente "opposti", film senza storie precise, senza colpi di scena, senza far ricorso a generi (western, film polizieschi), senza caratterizzazioni psicologiche. Elemento stilistico presente in tutti i suoi film è l'idea del viaggio; trasposizione di una sua particolare filosofia quotidiana che lo ha spinto a dire: "Penso che il movimento mantenga costantemente l'idea del cambiamento. Non è che la gente nei miei film cambi parecchio, per non dire affatto, ciò nonostante mantiene costantemente quell'idea. In realtà il cinema stesso è viaggio, ricerca movimento. La vita stessa è ricerca di un punto fermo. E quando si crede di averlo raggiunto non si è e non si sa ancora nulla. E bisogna ricominciare a muoversi" (Wim Wenders, L'idea di partenza, Ed. Liberoscambio).
I film di Wenders in Italia: La paura del portiere, Alice nelle città, Falso movimento, Nel corso del tempo, L'amico americano, Nick's movie, Lo stato delle cose,Hammett, Paris Texas, Tokio-ga.
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Peter Handke
Scrittore austriaco coetaneo di Herzog, Peter Handke ha avuto una grande influenza su Wenders grazie ad una prosa che vive in una insospettabile "coincidenza" e similitudine con il narrare wendersiano. Quello che immediatamente si coglie come tratto d'unione tra questi due autori è in primo luogo la sospensione di cui godono quelle tracce di storia presenti in entrambi, e la cura, al contrario, per quanto di poco appariscente accade, in un'intensificazione dei dettagli, dei gesti comuni e delle atmosfere del paesaggio e della natura che provocano in chi vede o legge una sensazione di "prima visione" di oggetti e gesti ovvii. Non è anche questa una nuova etica della visione? Avvinta per così dire nel campo strutturale, formale, dell'opera? Dopo aver rilevato gli interessi di Peter Handke per una certa "insicurezza dell'esistenza" (apparentata a quel senso di stranimento dei personaggi di Wenders, all'attraversamento di una frontiera, di un paesaggio inedito), Peter Handke, come già gli altri due, ci fa partecipare alla sensazione di uno sguardo "ripulito", intensificato, attraverso una meticolosissima descrizione degli eventi, dove i personaggi compiono pochi mutamenti dell'anima e si ritrovano solo alla fine (e solo in alcuni suoi libri) all'inizio di un qualche cambiamento. Libri dal carattere principalmente "visivo" si ricongiungono idealmente ai temi di questi nuovi autori della visione. I libri di Handke: L'ambulante; Prima del calcio di rigore; Breve lettera del lungo addio; Il peso del mondo; La donna mancina; Infelicità senza desideri; Storia con bambina; L'ora del vero sentire; Nei colori del giorno; Attraverso i villaggi; Lento ritorno a casa.
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Werner Herzog
"Eccentrico, 'outsider', isolato, indefinibile, bizzarro, geniale, ispirato,mistico, con il suo atteggiamento spesso insofferente e scorbutico, intransigente, paradossale, Herzog suscita nei suoi osservatori e critici una riverenza mista a timore, come un titano ancora assopito che, destandosi, potrebbe annientare gli intrusi, i sacrileghi. Enfant prodige scopre il cinema d'intuito, senza maestri, senza modelli, dichiara di non aver mai lavorato neppure come assistente e mantiene nei confronti della tecnica un giusto disprezzo riproponendo sempre la semplicità dell'inquadratura con la macchina fissa, un montaggio che mostra le impurità in molti raccordi, la ripresa diretta del suono". (Paolo Sirianni)
Werner Herzog è nato nel 1942 a Monaco; contemporaneo di altri conosciuti registi tedeschi come Fassbinder, Schlondorff, Wenders, Kluge, Schroeter, ha avuto in Italia un buon successo soprattutto grazie ad alcuni film di "genere" (Nosferatu, Aguirre furore di Dio, ed anche Fitzcarraldo) che lo hanno avvicinato con più facilità alle grandi platee. Al di là di questi titoli è un auotore sconosciuto presso il grande pubblico, vista la non immediata comprensione dei suoi altri film. La sua originalità è fondata innanzitutto sulla maniera unica e personale di girare i suoi film.
"Il viaggio, gli incontri, la realtà di un film che si compie come evento unico, irripetibile, e assimila in sè la sorte dei suoi protagonisti, registra la costruzione delle zattere, i bivacchi, la progressiva consunzione del tutto, lo smarrimento, l'angoscia come dati non più fittizi dell'esperienza scenica. Resta, forse per l'ultima volta, il ricordo di quelle prove a cui Herzog si sottoponeva con un senso di espiazione e ricerca magica, rischiando espressamente la vita per pochi minuti di film, per testimoniare la propria presenza". (Paolo Sirianni)
Autore che non si è mai piegato alla logica del film di facile commercio, vista la radicalità dei soggetti trattati; autore che ha dichiaratamente mostrato la sorte a cui vanno incontro le persone che esprimono la propria differenza.
I suoi film più conosciuti sono: Fata Morgana; Anche i nani hanno cominciato da piccoli; Aguirre furore di Dio;L'enigma di Kaspar Hauser; Cuore di vetro;La ballata di Stroszek; Nosferatu; Woyzeck; Fitzcarraldo; Dove sognano le formiche verdi.
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