Rivista Anarchica Online
Il caro estinto?
di Camillo Berneri
Abolizione o
estinzione dello Stato? In questo
articolo, pubblicato su "Guerra di classe" in piena
rivoluzione spagnola, Berneri riprende uno dei temi classici della
polemica tra anarchismo e marxismo. E lo analizza
alla luce anche dell'involuzione della rivoluzione russa. Che lo
stesso Berneri, allora ventenne, aveva salutato nel '17 con tanto
entusiasmo, ma dai cui becchini "sovietici”, nel maggio
del '37, avrebbe poi avuto la vita stroncata.
Mentre noi
anarchici vogliamo l'abolizione dello Stato, mediante la rivoluzione
sociale ed il costituirsi di un ordine nuovo autonomista-federale, i
leninisti vogliono la distruzione dello Stato borghese, ma vogliono
altresì la conquista dello Stato da parte del "proletariato".
Lo "Stato proletario" - ci dicono - è un semi-Stato
poiché lo Stato integrale è quello borghese, distrutto
dalla rivoluzione sociale. Anche questo semi-Stato morirebbe, secondo
i marxisti, di morte naturale. Questa teoria
dell'estinzione dello Stato, che è alla base del libro di
Lenin Stato e Rivoluzione, è stata da lui attinta da
Engels, che, ne La scienza sovvertita dal signor Eugenio Dühring,
dice: Il proletariato
s'impadronisce della potenza dello Stato e trasforma anzitutto i
mezzi di produzione in proprietà dello Stato. In tal modo esso
distrugge se stesso come proletariato, abolisce tutte le
differenze e tutti gli antagonismi di classe, e in pari tempo, anche
lo Stato in quanto Stato. La società
che esisteva e che si muoveva attraverso gli antagonismi di classe,
aveva bisogno dello Stato, cioè di una organizzazione della
classe sfruttatrice allo scopo di mantenere le sue condizioni esterne
di produzione, allo scopo, in particolare, di mantenere con la forza
la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione volute dal modo
di produzione esistente (schiavitù, servaggio, lavoro
salariato). Lo Stato era il rappresentante ufficiale di tutta la
società, la sintesi di essa in un corpo visibile, ma tale era
solo nella misura in cui era lo Stato della classe che, anch'essa,
rappresentava a suo tempo tutta la società: Stato dei
cittadini proprietari di schiavi nell'antichità, Stato della
nobiltà feudale nel medioevo, Stato della borghesia ai nostri
giorni. Ma una volta divenuto il rappresentante effettivo di tutta la
società esso diventa da se stesso superfluo. Dal
momento che non c'è più alcuna classe sociale da
mantenere oppressa; dal momento che sono eliminate, insieme con la
sovranità di classe e la lotta per l'esistenza individuale
determinata dall'antica anarchia della produzione, le collisioni e
gli eccessi che ne risultavano; da tal momento non c'è più
niente da reprimere, e uno speciale potere di repressione, uno Stato,
cessa di essere necessario. II primo atto
con il quale lo Stato si manifesta realmente come rappresentante di
tutta la società, cioè la presa di possesso dei mezzi
di produzione in nome della società, è in pari tempo
l'ultimo atto proprio dello Stato. L'intervento dello Stato negli
affari della società diventa superfluo in tutti i campi, l'uno
dopo l'altro e poi cessa da se stesso. Al governo delle
persone si sostituiscono l'amministrazione delle cose e la direzione
del processo di produzione. Lo Stato non è "abolito";
esso muore. Sotto questo aspetto conviene giudicare la parola
d'ordine di "Stato libero del popolo", la frase di
agitazione che un tempo ha avuto diritto all'esistenza ma che è,
in ultima analisi, scientificamente insufficiente; ugualmente sotto
questo aspetto la rivendicazione dei cosiddetti anarchici, che
vogliono che lo Stato sia abolito dall'oggi al domani".
Tra l'oggi-Stato e
il domani-Anarchia vi sarebbe il semi-Stato. Lo Stato che muore è
"lo Stato in quanto Stato" ossia lo Stato borghese. È
in questo senso che va presa la frase, che a prima vista pare contraddire la tesi dello Stato socialista. "Il primo atto con il quale lo Stato
si manifesta realmente come rappresentante di tutta la società,
cioè la presa di possesso dei mezzi di produzione in nome
della società, è in pari tempo l'ultimo dello Stato".
Presa alla lettera ed avulsa dal proprio contesto, questa frase
verrebbe a significare la simultaneità temporale della
socializzazione economica e dell'estinzione dello Stato. Così
pure, prese alla lettera ed avulse dal contesto, le frasi relative al
proletariato distruggente se stesso come proletariato
nell'atto di impadronirsi della potenza dello Stato, verrebbero a
significare la non necessità dello "Stato proletario".
In realtà Engels, sotto l'influenza dello "stile
dialettico", si esprime infelicemente. Tra l'oggi
borghese-statale e il domani socialista-anarchico Engels riconosce
una catena di tempi successivi, nei quali Stato e proletariato
permangono. A gettare della luce nell'oscurità...dialettica è
l'accenno finale agli anarchici "che vogliono che lo Stato sia
abolito dall'oggi al domani", ossia che non ammettono il periodo
di transizione nei riguardi dello Stato, il cui intervento, secondo
Engels, diviene superfluo "in tutti i campi l'uno dopo l'altro",
ossia gradatamente. Mi pare che la
posizione leninista di fronte allo Stato coincida esattamente con
quella assunta da Marx e da Engels, quando si interpreti lo spirito
degli scritti di questi ultimi senza lasciarsi ingannare
dall'equivocità di certe formule. Lo Stato è,
nel pensiero politico marxista-leninista, lo strumento politico
transitorio della socializzazione, transitorio per l'essenza stessa
dello Stato, che è quella di un organismo di dominio di una
classe sull'altra. Lo Stato socialista, abolendo le classi, si
suicida. Marx ed Engels erano dei metafisici ai quali accadeva di
frequente di schematizzare i processi storici per amore di sistema. "Il
proletariato" che si impadronisce dello Stato, deferendo ad esso
la proprietà dei mezzi di produzione e distruggendo se
stesso come proletariato e lo Stato "in quanto Stato", è
una fantasia metafisica, un'ipostasi politica di astrazioni sociali. Non è il
proletariato russo che si è impadronito della potenza dello
Stato bensì il partito bolscevico, che non ha affatto
distrutto il proletariato e che ha invece creato un capitalismo di
Stato, una nuova classe borghese, un insieme di interessi collegati
allo Stato bolscevico che tendono a conservarsi conservando quello
Stato. L'estinzione dello
Stato è più che mai lontana nell'U.R.S.S., dove
l'intervenzionismo statale è sempre più vasto ed
oppressivo e dove le classi non sono in disparizione. Il programma
leninista del 1917 comprendeva questi punti: soppressione della
polizia e dell'armata permanente, abolizione della burocrazia
professionale, elezioni a tutte le funzioni e cariche pubbliche,
revocabilità di tutti i funzionari, eguaglianza degli stipendi
burocratici con i salari operai, massimo della democrazia,
concorrenza pacifica dei partiti all'interno dei Soviet, abrogazione
della pena di morte. Non uno solo di questi punti programmatici è
stato realizzato. Abbiamo
nell'U.R.S.S. un governo, un'oligarchia dittatoriale. L'Ufficio
Politico del comitato Centrale (19 membri) domina il partito
comunista russo, che a sua volta domina l'U.R.S.S. Tutti coloro che
non sono dei "sudditi" sono tacciati di controrivoluzionari
. La rivoluzione bolscevica ha generato un governo saturnico, che
deporta Rjazanov, fondatore dell"Istituto Marx-Engels" mentre
sta curando l'edizione integrale e originale del "Capitale",
che condanna a morte Zinoviev, presidente dell'Internazionale
Comunista, Kamenev e molti altri tra i maggiori esponenti del
leninismo, che esclude dal partito, poi esilia, poi espelle
dall'U.R.S.S. un "duce" come Trotzki che, insomma,
infierisce contro l'ottanta per cento dei principali fautori del
leninismo. Nel 1920, Lenin
scriveva l'elogio dell'autocritica in seno del Partito Comunista, ma
parlava degli "errori" riconosciuti dal "partito"
e non del diritto del cittadino di denunciare gli errori, o quelli
che a lui sembrano tali, del partito al governo. Essendo dittatore
Lenin, chiunque denunciasse tempestivamente quegli stessi errori che
lo stesso Lenin retrospettivamente riconosceva, rischiava, o subiva,
l'ostracismo, la prigione o la morte. Il sovietismo bolscevico era
un'atroce burla anche per Lenin, che vantava la potenza demiurgica
del comitato centrale del Partito Comunista russo su tutta l'U.R.S.S.
dicendo: "Nessuna questione importante, sia d'ordine politico
sia relativa all'organizzazione, è decisa da una istituzione
statale della nostra Repubblica, senza un'istruzione direttrice
emanante dal Comitato centrale del Partito". Chi dice "Stato
proletario" dice "capitalismo di Stato"; chi dice
"dittatura del proletariato" dice "dittatura del
partito comunista"; chi dice "governo forte" dice
"oligarchia zarista" di politicanti. Leninisti,
trotzkisti, bordighisti, centristi non sono divisi che da diverse
concezioni tattiche. Tutti i bolscevichi, a qualunque corrente o
frazione essi appartengano, sono dei fautori della dittatura politica
e socialismo di Stato. Tutti sono uniti dalla formula: "dittatura
del proletariato", equivoca formula corrispondente al "popolo
sovrano" del giacobinismo. Qualunque sia il giacobinismo, esso è
destinato a deviare la rivoluzione sociale. E quando questa devia, si
profila l'ombra di un Bonaparte. Bisogna essere
ciechi per non vedere che il bonapartismo stalinista non è che
l'ombra fattasi vivente del dittatorialismo leninista.
pubblicato
su Guerra di classe (Barcellona) del 24.10.1936
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