Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 17 nr. 151
dicembre 1987 - gennaio 1988


Rivista Anarchica Online

Goria sfrizzola il velopendulo
di Andrea Papi

Ohibò! L'Altissimo si è finalmente fatto sentire. Nonostante la sua velata presenza, formalmente pacata e più che rispettosa, questa volta ha tentato di usare la mano pesante. Così il buon Goria, che è riuscito a conservare le buone maniere da tranquillo borghese di provincia pur cadendo con stupore dalle nuvole, si è sentito in dovere di dare le dimissioni. Uscito dall'ultimo vertice del suo primo governo aveva dichiarato di esser sicuro di avercela fatta. A suo dire, quando le persone hanno la volontà esplicita di mettersi d'accordo trovano sempre il modo di stare insieme. Solo Bettino, solito furbacchione, aveva dato ad intendere che verso sera il cielo si sarebbe rabbuiato. E così è stato. Dopo 100 giorni il primo governo Goria è maldestramente caduto per volontà, forse, di chi si trova nelle altissime sfere.
Questa caduta non ha neanche fatto un gran tonfo; è stata talmente soffice che abbiamo percepito solo un lieve paff! al momento dell'impatto. Del resto era nell'aria fin dal suo nascere di governo post-elettorale, alleanza a cinque definita di programma. Ma la cosa più strabiliante è che subito dopo la caduta non rovinosa, più che altro di facciata, è stato affidato il reincarico allo stesso Goria, il quale in tempi brevissimi, con velocità da record inusuale in Italia, ha riformato lo stesso governo di prima nell'ambito della medesima alleanza a cinque. Roba da primato. Producendo uno spettacolo inatteso, l'Altissimo è ritornato al suo bassissimo ruolo d'appoggio, mentre i litigiosi leader dei cinque partiti in carica hanno miracolosamente ritrovato la via dell'accordo, che per qualche ora era sembrato compromesso.

Elasticità compromissoria
Qualcosa evidentemente non funziona o, a seconda dei punti di vista, funziona fin troppo bene. È il fatto di riuscire a fare e disfare sempre impunemente attraverso gli squallidi giochi di palazzo; quando succede, pagano dei costi politici bassissimi, senz'altro sproporzionati per difetto rispetto alle continue nefandezze di cui sono da sempre faccendieri. Lor signori non smettono di giocare con la cosa pubblica, decidendo tranquillamente quando e come, occupandosi in modo astruso e bizantino delle loro spensierate alleanze, che girano a spirale, cioè a vuoto, in continuazione attorno agli stessi nomi e alle stesse cose, riproponendo in mille modi e in mille forme le stesse non soluzioni, gabbando bellamente le aspettative, i desideri e i bisogni di tutte le persone che, al di là della propria volontà, si trovano ad essi sottoposti. Proprio i due ultimi macro-avvenimenti, la falsa caduta del governo e i referendum, sono in questo senso esempi lampanti. Entrambi hanno la caratteristica di risultare poco comprensibili agli occhi e agli orecchi di chi non ha la masochista buona volontà di seguire puntigliosamente i fatti arroganti dei responsabili della decisionalità politica.
Il governo è caduto per poi ricomporsi subito attorno, diciamo così, a una questione d'onore. Il tutto fatto con una faccia tosta che ha del sorprendente. I liberali non potevano accettare che fossero completamente ignorate le loro pregiudiziali di programma, che tutta la manovra finanziaria venisse fatta come se non esistessero. Avevano chiesto una minor tassazione accompagnata a un aumento dei tagli alla spesa pubblica, mentre la riscrittura della finanziaria in seguito alla sopravvenuta crisi internazionale era stata impostata in senso inverso a queste loro richieste. Così, tra dubbi e incertezze, hanno fatto sentire la loro voce inscenando il piccolo buttasù della finta caduta del governo, immediatamente rimarginato. Poi, appena sentitisi un po' importanti, hanno accettato un compromesso che riconosce solo in minima parte le motivazioni addotte.
Sono veramente molto malleabili le questioni di principio di questi signori, forse perché il loro unico principio è l'elasticità compromissoria, chiamata con molta eleganza "senso di responsabilità", secondo il quale le questioni poste sembrano irrinunciabili, mentre poi arrivano sempre a mettersi d'accordo in gran minestroni, all'interno dei quali le questioni irrinunciabili vengono stravolte. Nel caso in questione, si è fatta una crisi di governo sostanzialmente per riscrivere la "tabella D" del progetto di legge finanziaria che verrà sottoposta al vaglio del parlamento. Il famoso taglio irrinunciabile alla spesa pubblica, secondo il principio per cui lo stato deve tassare di meno perché deve spendere meno, è diventato praticamente un taglio di 1500 miliardi agli stanziamenti agli enti locali. Così a spendere di meno non sarà tanto lo stato, ma i comuni e le provincie, che già soffrono di poca disponibilità di denaro per la costruzione, a lor dire, di servizi di pubblica utilità.
La questione della spesa pubblica, al di là delle barzellette raccontate da Altissimo in TV, è veramente una cosa seria, al punto che i signori del governo non possono e non vogliono risolvere perché, se affrontata fino in fondo e portata alle sue logiche conseguenze, metterebbe in crisi i presupposti fondanti dello stato stesso. Infatti lo stato è una enorme azienda improduttiva, la cui caratteristica principale è quella di succhiare continuamente ricchezza senza produrre praticamente nulla. Esso deve mantenere una burocrazia parassitaria, che vegeta all'ombra delle clientele mafiose dei potentati politici, costosissima e quasi sempre inefficiente. Deve provvedere alle ingenti spese della difesa, cioè mantenere in piedi l'apparato militare, anch'esso costosissimo e funzionale solo alla logica militarista, che non ha nulla a che vedere con la pubblica utilità. Poi gestisce ferrovie, sanità e scuole, ma attraverso un enorme spreco di energie e di denaro divenuto ormai leggendario. Inoltre è emanatore e sovvenzionatore di una miriade di enti e sotto-enti definiti eufemisticamente inutili, in realtà più che altro dannosi, i quali vivono esclusivamente all'ombra delle clientele e succhiano denaro pubblico subdolamente, senza far praticamente nulla.

A chi è servita questa "crisi"
Si tratta dunque di una macchina e un'azienda estremamente costose e funzionali solo alle ramificazioni di potere gestite dalla partitocrazia. È appunto questa struttura tentacolare e totalizzante, descritta per sommi capi, che porta agli ingenti oneri della spesa pubblica, che la finanziaria ogni anno deve mettere in bilancio. Porre perciò il problema di diminuire la spesa per diminuire al contempo la tassazione fa senz'altro un buon effetto populistico, ma è impossibile da realizzare se non vengono messi in discussione i presupposti fondati e strutturali su cui si sorregge lo stato. Non possiamo aspettarci tanto da conservatori inveterati come i politici del PLI, né tantomeno dagli altri partiti, in particolare quelli di governo, perché continuano a vivere, in non pochi casi ad arricchirsi, proprio per mezzo dello stato che dovrebbero mettere in discussione.
Nonostante tutto questa finta crisi a lor signori è in qualche modo servita. Hanno infatti approfittato del piccolo pateracchio per mettere a punto alcuni potenziali pomi della discordia, uno dei quali è proprio la finanziaria, risoltasi nel modo che abbiamo visto. Altro problema che rischia di suscitare non pochi litigi è la gestione politica del post-referendum, sia per quello che riguarda la magistratura, sia soprattutto per la definizione del piano energetico. La prevista vittoria dei sì ha legittimato le consorterie politiche a gestire entrambi i casi attraverso la decisionalità governativa e parlamentare. Anche se al loro interno ci sono interessi e visioni contrastanti, per quello che ci è dato di capire, le visioni generali non sono poi così diverse.
Il problema giustizia è stato concepito fin dall'inizio come momento di ristrutturazione legislativa dell'operato della magistratura. Sarà sicuramente risolto con accordi che tengano conto degli interessi della casta, come delle ingerenze e influenza della classe politica al potere, e probabilmente con una spartizione clientelare degli incarichi, più aggiornata rispetto alle modificazioni della geografia partitica. Resta comunque un problema completamente interno all'assetto politico dominante. L'accordo che ne scaturirà non farà certamente trionfare la giustizia, perché in ogni caso si tratterà di una giustizia e di una magistratura di stato, garanti della logica e degli interessi di questo. Da anarchici, a ragion veduta, riteniamo che lo stato in quanto tale sia una struttura contraria alla realizzazione di un'organizzazione sociale basata sulla libertà. Non possiamo che assistere distaccati a questa messa in scena.

Nonostante i referendum
Per quanto riguarda il piano energetico la questione è un po' diversa perché investe tensioni e visioni del mondo realmente contrapposte. Qui non si tratta semplicemente di mettere d'accordo la volontà partitocratica e gli interessi di una casta, come nel caso della magistratura. Si tratta bensì di scegliere tra una concezione industrialista ed una ambientalista. Noi non abbiamo dubbi, come non ne avevamo prima dello svolgersi dei referendum, che le scelte in proposito avverranno all'insegna del controllo centralizzato dell'energia, perfettamente concomitante con la logica industriale che domina il mondo, comprendente la costruzione di megacentrali, sia nucleari, sia a carbone, sia a metano.
Al di là delle ingenue aspettative dei referendumisti, probabilmente la vittoria dei sì sortirà l'unico effetto di riuscire a bloccare la costruzione di tutte le centrali in programma, almeno per ora. Ma quasi sicuramente saranno autorizzate a continuare a produrre energia quelle già costruite. Le prime avvisaglie di questa tendenza si vedono già nella ridefinizione programmatica del Goria bis. I socialisti, che avevano finto di essere antinucleari per esigenze di propaganda e di ricatti all'interno dell'alleanza governativa, già stanno abbattendo quest'immagine abbastanza velocemente, riconoscendo la necessità confindustriale che non si possono mandare a male le centrali già in funzione, come quelle quasi terminate. I democristiani che, nonostante siano da sempre nuclearisti, avevano dato indicazione di votare sì, ora si sentono legittimati nel porre in campo le loro proposte di un piano energetico comprendente anche il nucleare.
Il problema è che sono sempre lor signori a decidere. I referendum, al di là della evidente vittoria dei sì, non hanno fatto altro che legittimare il loro operato attraverso il consenso generalizzato. I sì hanno abrogato solo la definizione, non il senso si badi bene, di alcune norme. E i tutori della cosa pubblica, che sono sempre stati favorevoli a una politica comprendente il nucleare, rimanendo coerenti con la loro impostazione, prenderanno atto che dovranno ridefinire nuove norme, utili a una concezione dell'uso dell'energia com'essi intendono. Lo faranno togliendo ai sì quel significato di inversione di tendenze che gli ambientalisti, illusoriamente e caparbiamente, continuano ad attribuirgli. Questa vittoria di Pirro sta dimostrando la dannosità dello strumento referendario, inteso quale mezzo per condurre battaglie di emancipazione e di libertà.