Rivista Anarchica Online
I conti con Palmiro
di Andrea Papi
I politicanti di casa nostra
continuano ad essere divertenti. È la volta dei maggiorenti
del PCI, sottoposti a un fuoco di fila di polemiche, alcune sul
pesante, rivolte ai trascorsi politici del suo padre spirituale, il
signor Palmiro Togliatti. È
passato in secondaria posizione persino lo scandalo delle "carceri
d'oro", che ha visto coinvolto in un giro di bustarelle per
parecchi miliardi l'ennesimo segretario di turno del PSDI, il signor
Nicolazzi, costretto alle dimissioni dalla segreteria del suo
partito, noto per gli uomini dalle mani d'oro. È divertente vedere la
segreteria piciista arroccarsi compatta in difesa dell'uomo che l'ha
forgiata, il quale ha sempre avuto l'abilità di giustificare
la sua perfetta sintonia con la linea staliniana, anche se ogni tanto
buttava là qualche battuta ambigua di flebile disapprovazione
per le scelte dell'"uomo d'acciaio", piccolo padre
dittatore della grande Russia. È
divertente perché questa volta il PARTITO non può
tacciare di traditori l'insieme di intellettuali, uomini di partito e
storici che riportano alla luce frammenti delle miriadi di nefandezze
di cui si è macchiato l'ex capo comunista italiano, nel corso
della sua lunga carriera di abile e fidato uomo di Mosca. E non
possono farlo perché non è più il tempo in cui
l'Unione Sovietica veniva presentata come il paradiso in terra,
mentre Stalin, nei santini ideati da Cossutta per celebrare nel '53
la sua morte, veniva rappresentato come "alfiere della pace...
amico, maestro, guida di tutti i popoli... la Sua opera possente ha
aperto luminosa la strada a tutti gli uomini che vogliono costruire
una società libera e felice". Quando li ideò,
Cossutta era responsabile della stampa e propaganda della Federazione
Comunista di Milano ed aveva il beneplacito e l'imprimatur del suo
capo indiscusso, il signor Togliatti.
Quell'alfa romeo 2500 supersport
Lo stesso Togliatti, del resto, in
molte occasioni si era mostrato particolarmente ossequiente nei
confronti del capo supremo, al punto da mostrare una vera e propria
piaggeria cortigiana. Basti ricordare un pezzo del saluto pronunciato
da lui stesso al teatro Bolshoi il 21 dicembre 1949, in occasione dei
festeggiamenti per il 70° compleanno di Stalin, riportato nel
numero speciale di Rinascita uscito nel dicembre 1949: "Noi
sappiamo che senza di voi, compagno Stalin, il popolo italiano si
troverebbe oggi in condizioni incomparabilmente più dure.
Grazie a voi e alla vostra attività, nei momenti decisivi
della storia del nostro secolo, la lotta è stata decisa a
favore della classe operaia, a favore del socialismo". Da notare
che per quel compleanno la delegazione italiana, composta da
Togliatti e da Secchia, portò in dono all'"uomo
d'acciaio" un'alfa romeo 2500 supersport, macchina allora
costosissima, di cui sicuramente il piccolo padre non aveva
bisogno(1). Non potendo più trattare i
critici da traditori e venduti al nemico, anche perché le
critiche questa volta sono partite dal suo interno, con un articolo
di Umberto Cardia apparso su l'unità di mercoledì 24
febbraio, in cui veniva messo in luce il non intervento di Togliatti
per salvare Gramsci dal carcere, la direzione nazionale del PCI,
reagendo istericamente, ha accusato di infondatezza senza prove
quelle insinuazioni, non di falsità, si badi bene, com'è
sempre stato nelle sue abitudini. Si è poi assestata su una
linea difensiva, nel tentativo di mostrare un'indimostrabile
lungimiranza del suo Palmiro, in quanto critico ante litteram della
politica staliniana. Impostò la via nazionale al socialismo,
dicono, mentre Stalin continuava a imporre quella del socialismo in
un solo paese, ma, politicamente abile, non volle disilludere sul
fallimento russo da lui già intravisto, perché si
rendeva conto che lo sganciamento da Mosca avrebbe portato allo
sfaldamento del partito. In altre parole tentò di salvar capre
e cavoli. Balle! Il fatto è che Togliatti non
poteva né volle mai rinnegare la politica staliniana. Non
poteva perché era fin troppo compromesso. Basta leggersi i due
libri di Giulio Seniga e Renato Mieli(2), documentatissimi, per
rendersi conto di come il capo del partito comunista italiano sia
stato soprattutto un fedele e convinto esecutore degli ordini
polizieschi impartiti da Mosca staliniana. A cominciare da quando nel
'29 sottoscrisse senza leggerla la condanna di Trotzki , mentre Tasca
e Silone, facenti parte assieme a lui della delegazione italiana, si
rifiutarono. I due poi furono espulsi, in conseguenza del loro gesto
di onestà. Per citare anche la sua attiva partecipazione ai
processi di inquisizione che massacrarono molte migliaia di comunisti
attivi e di dissidenti, le famose purghe staliniane. Come la sua
opera di carnefice della rivoluzione spagnola contro gli anarchici e
i rivoluzionari del POUM, piccolo partito vicino al trotzkismo, quale
responsabile diretto del Comintern con lo pseudonimo di Ercole
Ercoli. E ci fermiamo alle citazioni più note, almeno per chi
non si è mai rifiutato di vedere. Non volle, perché restò
sempre intimamente convinto della bontà e della giustezza di
quella politica e di quei metodi, che applicò sempre con
sconcertante disinvoltura. Ne fa fede tutto il suo operato, durante
il periodo di reggenza di Stalin, ma anche dopo. Prima di rendersi
conto che Kruscev sarebbe stato il successore di Stalin, vincendo
d'astuzia nella lotta scatenatasi in seno agli alti quadri dirigenti
sovietici alla morte di questo, dal momento che lo stimava molto
poco, pur sapendo che stava organizzando l'abbraccio con Tito, che a
suo tempo era stato condannato, assieme a quella che passò poi
alla storia come la famosa destalinizzazione; continuò la
indegna campagna sciovinista contro il titoismo in ricordo del grande
Stalin. Solo quando si trovò di fronte al fatto compiuto,
l'abbraccio storico tra Kruscev e Tito all'aeroporto di Belgrado nel
giugno del '55, come il famoso rapporto accusatore dei crimini
staliniani letto nel '56 al XX congresso del PCUS, fu costretto a
prenderne atto assieme ai dirigenti comunisti italiani, mostrando
falsamente meraviglia e costernazione, allineandosi a malincuore a
quella che era ormai la tendenza ufficiale consolidatasi. È
inoltre interessante leggersi i suoi articoli, pubblicati su
Rinascita nel '56, sulla rivolta ungherese dei consigli, per rendersi
conto di come la cultura, la mentalità e la pratica staliniana
fossero la tendenza politica sostanziale del capo e fondatore del
PCI. Certo, la polemica avviata ultimamente
nei confronti di Togliatti serve soprattutto ai socialisti di casa
nostra per delegittimare ulteriormente la dignità morale e
storica dei comunisti, nella speranza di riappropriarsi dell'egemonia
culturale all'interno della sinistra italiana. Il che non ci riguarda
più di tanto.
Logica bolscevica
Ciò che ci interessa veramente,
al di là dei litigi più o meno comici all'interno della
sinistra parlamentare, è riaffermare la condanna morale e
politica di ciò che ha rappresentato nella realtà il
personaggio Togliatti. I suoi crimini e le sue scelte politiche si
inquadrano coerentemente nella logica bolscevica, di cui fu sempre
uno dei maggiori assertori ed esecutori a livello internazionale. Una
logica che, nonostante le dichiarazioni ufficiali, le aspettative dei
suoi seguaci e le promesse dei suoi assertori, nei fatti ha sempre
teso a castrare e distruggere tutte le spinte rivoluzionarie ed
emancipatorie, imponendo, con la prepotenza di un militarismo
poliziesco esasperato, un assolutismo feroce, massacratore di ogni
dissidenza ed ogni aspirazione di libertà. Togliatti è stato uno degli
interpreti e dei responsabili principali di questo scempio, un
protagonista di primo piano. Non a caso il VII congresso
internazionale lo elesse a far parte del segretariato
dell'internazionale comunista oltre che del comitato esecutivo. Con
tale eminente ruolo fu presente a tutte le nefandezze staliniane di
quel periodo. Che senso ha dunque, come qualcuno ha accennato durante
la polemica in atto, avanzare una sua riabilitazione? Non è mai stato condannato.
Semmai, se la conoscenza dei fatti ha un senso, si dovrebbe pervenire
a una sua definitiva globale condanna morale e politica, di fronte
alla storia e alla umana coscienza di libertà.
(1) Giulio Seniga, "Togliatti e
Stalin", Sugarco editore, Milano, 1961.
(2) Seniga, vedi nota 1; Renato Mieli,
"Togliatti" 1937, Edizioni Rizzoli, Milano, 1964.
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