Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 18 nr. 154
aprile 1988


Rivista Anarchica Online

I conti con Palmiro
di Andrea Papi

I politicanti di casa nostra continuano ad essere divertenti. È la volta dei maggiorenti del PCI, sottoposti a un fuoco di fila di polemiche, alcune sul pesante, rivolte ai trascorsi politici del suo padre spirituale, il signor Palmiro Togliatti. È passato in secondaria posizione persino lo scandalo delle "carceri d'oro", che ha visto coinvolto in un giro di bustarelle per parecchi miliardi l'ennesimo segretario di turno del PSDI, il signor Nicolazzi, costretto alle dimissioni dalla segreteria del suo partito, noto per gli uomini dalle mani d'oro.
È divertente vedere la segreteria piciista arroccarsi compatta in difesa dell'uomo che l'ha forgiata, il quale ha sempre avuto l'abilità di giustificare la sua perfetta sintonia con la linea staliniana, anche se ogni tanto buttava là qualche battuta ambigua di flebile disapprovazione per le scelte dell'"uomo d'acciaio", piccolo padre dittatore della grande Russia. È divertente perché questa volta il PARTITO non può tacciare di traditori l'insieme di intellettuali, uomini di partito e storici che riportano alla luce frammenti delle miriadi di nefandezze di cui si è macchiato l'ex capo comunista italiano, nel corso della sua lunga carriera di abile e fidato uomo di Mosca. E non possono farlo perché non è più il tempo in cui l'Unione Sovietica veniva presentata come il paradiso in terra, mentre Stalin, nei santini ideati da Cossutta per celebrare nel '53 la sua morte, veniva rappresentato come "alfiere della pace... amico, maestro, guida di tutti i popoli... la Sua opera possente ha aperto luminosa la strada a tutti gli uomini che vogliono costruire una società libera e felice". Quando li ideò, Cossutta era responsabile della stampa e propaganda della Federazione Comunista di Milano ed aveva il beneplacito e l'imprimatur del suo capo indiscusso, il signor Togliatti.

Quell'alfa romeo 2500 supersport
Lo stesso Togliatti, del resto, in molte occasioni si era mostrato particolarmente ossequiente nei confronti del capo supremo, al punto da mostrare una vera e propria piaggeria cortigiana. Basti ricordare un pezzo del saluto pronunciato da lui stesso al teatro Bolshoi il 21 dicembre 1949, in occasione dei festeggiamenti per il 70° compleanno di Stalin, riportato nel numero speciale di Rinascita uscito nel dicembre 1949: "Noi sappiamo che senza di voi, compagno Stalin, il popolo italiano si troverebbe oggi in condizioni incomparabilmente più dure. Grazie a voi e alla vostra attività, nei momenti decisivi della storia del nostro secolo, la lotta è stata decisa a favore della classe operaia, a favore del socialismo". Da notare che per quel compleanno la delegazione italiana, composta da Togliatti e da Secchia, portò in dono all'"uomo d'acciaio" un'alfa romeo 2500 supersport, macchina allora costosissima, di cui sicuramente il piccolo padre non aveva bisogno(1).
Non potendo più trattare i critici da traditori e venduti al nemico, anche perché le critiche questa volta sono partite dal suo interno, con un articolo di Umberto Cardia apparso su l'unità di mercoledì 24 febbraio, in cui veniva messo in luce il non intervento di Togliatti per salvare Gramsci dal carcere, la direzione nazionale del PCI, reagendo istericamente, ha accusato di infondatezza senza prove quelle insinuazioni, non di falsità, si badi bene, com'è sempre stato nelle sue abitudini. Si è poi assestata su una linea difensiva, nel tentativo di mostrare un'indimostrabile lungimiranza del suo Palmiro, in quanto critico ante litteram della politica staliniana. Impostò la via nazionale al socialismo, dicono, mentre Stalin continuava a imporre quella del socialismo in un solo paese, ma, politicamente abile, non volle disilludere sul fallimento russo da lui già intravisto, perché si rendeva conto che lo sganciamento da Mosca avrebbe portato allo sfaldamento del partito. In altre parole tentò di salvar capre e cavoli. Balle!
Il fatto è che Togliatti non poteva né volle mai rinnegare la politica staliniana. Non poteva perché era fin troppo compromesso. Basta leggersi i due libri di Giulio Seniga e Renato Mieli(2), documentatissimi, per rendersi conto di come il capo del partito comunista italiano sia stato soprattutto un fedele e convinto esecutore degli ordini polizieschi impartiti da Mosca staliniana. A cominciare da quando nel '29 sottoscrisse senza leggerla la condanna di Trotzki , mentre Tasca e Silone, facenti parte assieme a lui della delegazione italiana, si rifiutarono. I due poi furono espulsi, in conseguenza del loro gesto di onestà. Per citare anche la sua attiva partecipazione ai processi di inquisizione che massacrarono molte migliaia di comunisti attivi e di dissidenti, le famose purghe staliniane. Come la sua opera di carnefice della rivoluzione spagnola contro gli anarchici e i rivoluzionari del POUM, piccolo partito vicino al trotzkismo, quale responsabile diretto del Comintern con lo pseudonimo di Ercole Ercoli. E ci fermiamo alle citazioni più note, almeno per chi non si è mai rifiutato di vedere.
Non volle, perché restò sempre intimamente convinto della bontà e della giustezza di quella politica e di quei metodi, che applicò sempre con sconcertante disinvoltura. Ne fa fede tutto il suo operato, durante il periodo di reggenza di Stalin, ma anche dopo. Prima di rendersi conto che Kruscev sarebbe stato il successore di Stalin, vincendo d'astuzia nella lotta scatenatasi in seno agli alti quadri dirigenti sovietici alla morte di questo, dal momento che lo stimava molto poco, pur sapendo che stava organizzando l'abbraccio con Tito, che a suo tempo era stato condannato, assieme a quella che passò poi alla storia come la famosa destalinizzazione; continuò la indegna campagna sciovinista contro il titoismo in ricordo del grande Stalin. Solo quando si trovò di fronte al fatto compiuto, l'abbraccio storico tra Kruscev e Tito all'aeroporto di Belgrado nel giugno del '55, come il famoso rapporto accusatore dei crimini staliniani letto nel '56 al XX congresso del PCUS, fu costretto a prenderne atto assieme ai dirigenti comunisti italiani, mostrando falsamente meraviglia e costernazione, allineandosi a malincuore a quella che era ormai la tendenza ufficiale consolidatasi. È inoltre interessante leggersi i suoi articoli, pubblicati su Rinascita nel '56, sulla rivolta ungherese dei consigli, per rendersi conto di come la cultura, la mentalità e la pratica staliniana fossero la tendenza politica sostanziale del capo e fondatore del PCI.
Certo, la polemica avviata ultimamente nei confronti di Togliatti serve soprattutto ai socialisti di casa nostra per delegittimare ulteriormente la dignità morale e storica dei comunisti, nella speranza di riappropriarsi dell'egemonia culturale all'interno della sinistra italiana. Il che non ci riguarda più di tanto.

Logica bolscevica
Ciò che ci interessa veramente, al di là dei litigi più o meno comici all'interno della sinistra parlamentare, è riaffermare la condanna morale e politica di ciò che ha rappresentato nella realtà il personaggio Togliatti. I suoi crimini e le sue scelte politiche si inquadrano coerentemente nella logica bolscevica, di cui fu sempre uno dei maggiori assertori ed esecutori a livello internazionale. Una logica che, nonostante le dichiarazioni ufficiali, le aspettative dei suoi seguaci e le promesse dei suoi assertori, nei fatti ha sempre teso a castrare e distruggere tutte le spinte rivoluzionarie ed emancipatorie, imponendo, con la prepotenza di un militarismo poliziesco esasperato, un assolutismo feroce, massacratore di ogni dissidenza ed ogni aspirazione di libertà.
Togliatti è stato uno degli interpreti e dei responsabili principali di questo scempio, un protagonista di primo piano. Non a caso il VII congresso internazionale lo elesse a far parte del segretariato dell'internazionale comunista oltre che del comitato esecutivo. Con tale eminente ruolo fu presente a tutte le nefandezze staliniane di quel periodo. Che senso ha dunque, come qualcuno ha accennato durante la polemica in atto, avanzare una sua riabilitazione?
Non è mai stato condannato. Semmai, se la conoscenza dei fatti ha un senso, si dovrebbe pervenire a una sua definitiva globale condanna morale e politica, di fronte alla storia e alla umana coscienza di libertà.


(1) Giulio Seniga, "Togliatti e Stalin", Sugarco editore, Milano, 1961.

(2) Seniga, vedi nota 1; Renato Mieli, "Togliatti" 1937, Edizioni Rizzoli, Milano, 1964.