Rivista Anarchica Online
Chi la vuole d'élite
di Claudia Santi
"Cobas: verso un progetto
scuola" è il tema del convegno-seminario promosso a Roma,
l'11-12 giugno, dai Cobas. Ecco l'intervento presentato in
quella sede da Claudia Santi, esponente della tendenza libertaria
all'interno dei Cobas.
Negli accordi a latere del contratto
recentemente siglato, il Governo ha assunto l'impegno di far
discutere in Parlamento, entro l'88, un progetto di legge riguardante
l'attribuzione a tutti gli Istituti scolastici di ogni ordine grado
di personalità giuridica e di autonomia finanziaria,
organizzativa, didattica. Siamo alla vigilia quindi di una profonda
trasformazione del Sistema Formativo, che verrà ad assumere un
nuovo assetto, che non potrà non ri-disegnarne anche le
finalità.
Diventa perciò di grande
interesse e di indubbia attualità il tema dell'autonomia, tema
i cui contorni sono troppo spesso ancora confusi e le cui linee sono
ancora riservate a pochi addetti ai lavori.
Bisogna subito dire che il diritto di
primogenitura dell'ipotesi del riconoscimento dell'autonomia
amministrativa alle singole unità scolastiche, spetta al
Sindacato Nazionale Scuola CGIL. Nel V Congresso Nazionale, (Roma,
17-18/10/1985), infatti, fu formulata per la prima volta la proposta
di una maggiore possibilità di autogoverno per gli Istituti,
in relazione alle esigenze individuate di:
- "contrastare il rigido
centralismo", caratteristico del sistema scolastico italiano;
- "combinare (...) standard uguali
per tutti" con "flessibilizzazione ed arricchimento degli
itinerari formativi";
- garantire "spazi e possibilità
effettivi (fondi, competenze, diritto di convenzioni con l'esterno)
per svolgere un ruolo attivo nella sollecitazione e
nell'utilizzazione di opportunità esterne".
Il tutto inquadrato in una dimensione
concorrenziale nei confronti di "un privato più capace,
perché più libero, di garantire un rapporto diretto con
le esigenze della domanda sociale e le richieste delle famiglie".
In sintesi la preoccupazione che emergeva era quella di "rendere
la Scuola pubblica qualitativamente competitiva rispetto al mercato;
capace di utilizzare lo stesso mercato, senza farsene travolgere". È
significativo che mentre si dedicava tanta attenzione nel definire
come rendere la Scuola competitiva rispetto al mercato, si trascurava
di indicare quale strategia proporre e quali aggiustamenti prevedere,
per evitare che la spietata legge del mercato travolgesse e
stravolgesse irrimediabilmente la fisionomia della Scuola,
trasformandola, chissà?, in una sorta di agenzia decentrata
del lavoro. E nel frattempo la cosiddetta concorrenza, il privato,
non perdeva certo tempo. Si tiene, a distanza circa di un anno
da questa uscita pubblica della CGIL, a Mantova, un Convegno dal
titolo INNOVAZIONE, FORMAZIONE E SVIUPPO, promosso dalla
Confindustria, che vede la partecipazione, tra l'altro, anche di F.
Falcucci, G. De Michelis e V. Zanone, allora ministri del Governo
Craxi.
La Confindustria propone
Giancarlo Lombardi, presidente della
Federtessile e responsabile dell'Ufficio Scuola e Cultura della
Confindustria, lancia da quella autorevole tribuna il suo programma,
che prevede innanzitutto una battaglia tesa a sconfiggere due
pregiudizi nei riguardi della Scuola, molto diffusi e radicati nel
mondo degli industriali. Un primo che vede la Scuola pubblica come un
Istituto in stato di abbandono, su cui risulta inutile operare
qualsiasi tipo di intervento; un secondo, che discende direttamente
dal primo, per cui l'industria può risolvere i suoi problemi
di formazione della forza lavoro creando, con contributi statali, le
proprie scuole. La posizione di Lombardi è viceversa più
articolata: afferma la necessità per un'associazione
industriale, come insieme di cittadini e come forza sociale, di non
considerare estranee a sé le sorti del sistema formativo
pubblico; riconosce degli innegabili pregi alla Scuola, accanto alle
troppo spesso enfatizzate carenze; rivendica d'altra parte la volontà
della Confindustria di intervenire nel dibattito sulla Scuola,
esprimendo il proprio punto di vista. Si può già parlare di
una proposta organica, all'interno della quale si individuano alcuni
punti di particolare rilievo:
- la necessità di legare la
riforma alla concessione agli istituti di una reale autonomia, con
conseguente poteri di programmazione e di gestione;
- l'esigenza di un controllo della
qualità e di un miglioramento del progetto, il che implica,
secondo la confindustria, la valutazione, l'incentivazione, la
mobilità degli insegnanti;
- l'auspicio di un innalzamento
dell'obbligo, inserendo il biennio obbligatorio "in un quadro
organico, in un disegno nuovo e coerente di tutto l'insegnamento
secondario".
A favore dell'autonomia si pronuncia
anche il Movimento Popolare, che anzi si fa promotore di un disegno
di legge di iniziativa popolare dal titolo PROGETTO PER L'INNOVAZIONE
SCOLASTICA. In tale contesto l'autonomia, concessa a tutte le scuole,
è solo il tassello di un mosaico molto più ampio, teso
da una parte ad ottenere la piena equiparazione, in termini di
finanziamento, delle scuole non statali a quelle statali; dall'altra
a legittimare e ad istituire delle " isole felici
dell'istruzione", le quali sole potranno accedere al Piano
nazionale di Innovazione (di futura creazione) e per le quali si
prevede una totale indipendenza e non più una semplice
autonomia. Fin qui le posizioni assunte dalle
forze sociali riguardo al Problema Scuola in generale e alla
questione dell'autonomia nello specifico. Ma come naturale, anche le
forze politiche sono intervenute in merito. Va ricordata la boutade
del socialista C. Martelli, che immaginando un regime di autentica
libera concorrenza ipotizzava l'istituzione di "buono scuola"
spendibile, a scelta dell'utente, in strutture pubbliche o private. La proposta del P.C.I., al contrario,
si situa in un quadro più complessivo di ridefinizione
dell'assetto e dei poteri degli organi di funzionamento del sistema
scolastico.
Coinvolte in un ampio movimento di
decentramento (che prevede tra l'altro la soppressione dei
Provveditorati e la valorizzazione delle strutture periferiche a
livello distrettuale), alle unità scolastiche verrebbe
attribuita personalità giuridica, con conseguente gestione del
patrimonio e degli arredi, e inoltre con facoltà di stringere
convenzioni con Enti pubblici e privati. Prevista infine, nell'ambito
di una autonomia didattica, la possibilità di intervento sul
monte-ore, per adattarlo a nuove richieste di formazione, e la
possibilità di attuazione, dietro contratto, di interventi
didattici esterni.
L'autonomia secondo Galloni
Ma la definizione più
sistematica e l'espressione più formalizzata è senza
dubbio contenuta nel Disegno di legge concernente l'Autonomia
Scolastica, stilato dal democristiano Galloni, attuale Ministro della
Pubblica Istruzione, degno erede del patrimonio di mostruosità
normative consegnatogli dalla Falcucci. Convinto che i problemi si risolvano
non già producendo nuove esperienze, bensì assestando
ciò che da tempo è noto, il Governo ha fatto suo questo
progetto di legge come sorta di panacea, degli annosi mali della
Scuola. Ma quali sono gli argomenti "noti" che supportano
tale operazione legislativa?
Essendo la Scuola uno di quei pochi
temi sui quali tutti si sentono autorizzati a parlare, si può
affermare come in generale sia a tutti noto che:
- la Scuola deve collegarsi al mondo
del lavoro (ragazzi dell'85);
- deve essere al passo coi tempi (nuove
tecnologie);
- deve svincolarsi dalle eccessive
pastoie burocratiche, che spesso ne ostacolano la piena esplicazione.
Da questo punto di vista (di cui ci
riserviamo di dimostrare la poca o nulla validità) l'autonomia
proposta da Galloni, scavalcando la pur urgente riforma delle
superiori, dei loro programmi e degli esami di maturità,
sembra essere il preludio ad un'autentica rivoluzione copernicana. Se infatti fino ad ora era stato il
mondo del lavoro a ruotare in qualche modo, con piccole o grandi
discrepanze, intorno a quello della Scuola, sembra che in un futuro
prossimo, sarà la Scuola a trasformarsi in un satellite della
produzione, perdendo irrimediabilmente la sua fisionomia, destinata,
come verrebbe ad essere, a brillare di luce riflessa. Se ancora non
si può parlare di completa privatizzazione, è però
innegabile che si aprono larghi spazi ad ingerenze di imprese a
capitale pubblico e privato.
Nella preoccupazione di rendere più
"variegate (sic) le fonti di finanziamento" si prevede la
possibilità di reperire fondi derivanti da "contributi,
legati e donazioni da parte di Enti, imprese e singoli privati,
eventuali contributi delle famiglie degli alunni, nonché
proventi derivanti da convenzioni con terzi".
A costituire il budget dell'unità
scolastica concorreranno anche quelli che il testo molto
eufemisticamente chiama contributi a carico degli alunni (leggi tasse
di iscrizione) che saranno fissate anno per anno e situazione per
situazione dal Consiglio di Circolo o di Istituto.
Ulteriore possibilità di
iniziativa è data dalla prospettata istituzione di corsi
post-secondari "per corrispondere a specifiche esigenze di
specializzazione tecnica con particolare riferimento ai settori
produttivi presenti nel territorio, anche al fine di favorire il
passaggio dalla Scuola al lavoro".
Questi corsi comprenderanno un minimo
del 40% dell'orario destinato ad attività pratiche, nelle
quali è presumibile rivestirà grande importanza la
presenza di esperti del mondo produttivo, chiamati dal Preside ad
affiancare docenti disponibili a prestare la loro opera a tal fine,
al di fuori dei normali obblighi di servizio. Al personale della
Scuola che partecipi alla realizzazione di tali attività,
nonché agli esperti esterni, sarà attribuito un
compenso commisurato sulla base delle convenzioni stipulate.
Per quanto riguarda la possibilità
per gli studenti di accesso a tali corsi, una prima selezione avverrà
verosimilmente di fronte all'entità delle tasse che ciascun
istituto potrà quantificare in modo autonomo - naturalmente! -
e una seconda sarà effettuata sulla base della valutazione del
diploma di scuola secondaria superiore.
Nel campo della didattica, l'autonomia
si traduce in una certa libertà di modificazione dell'orario.
Il Collegio dei Docenti potrà deliberare l'innalzamento ovvero
la riduzione delle ore destinate ad insegnamenti curricolari, nonché
l'introduzione di altre discipline, "anche (ma non dovrebbe
essere solo?) in relazione e per corrispondere alle richieste
avanzate dagli studenti".
Pesante rafforzamento
Il Preside, figura ambigua che al
momento attuale partecipa della natura del pedagogo e del burocrate,
si trasformerà sempre più in manager e potrà
predisporre l'utilizzo per chiamata nominale di docenti in servizio
presso altri istituti della provincia.
Naturalmente in un disegno di così
vasta portata non potevano non essere coinvolti anche gli Organi
Collegiali, che leggermente modificati finiscono per inserirsi
perfettamente nel meccanismo ipotizzato dal disegno di legge. In
particolare escono rafforzati i poteri della Giunta Esecutiva (eletta
in seno al Consiglio di Circolo o di Istituto), "appena"
ritoccata al suo interno mediante l'espulsione della componente degli
studenti ed il ridimensionamento della presenza dei genitori.
Naturalmente le imprese sponsor delle varie scuole avranno pieno
titolo a partecipare - per ora solo in forma consultiva - alle
riunioni della Giunta.
Se poi il fine di tutta l'operazione
voleva essere quello di decentrare una decisionalità
centralizzata e paralizzante, non meraviglia il pesante rafforzamento
dei poteri dei Consigli scolastici provinciali e distrettuali.
Meraviglia invece la possibilità riconosciuta a tali organismi
di "compiere atti di spettanza, prescindendo dal parere o dalla
proposta dell'organo collegiale" "in caso di mancata
formulazione (...) entro termini predeterminati dalla legge, dal
regolamento o da disposizioni amministrative". E se il Governo
sarà, una volta tanto, di parola e farà discutere il
progetto di legge entro il 1988 per renderlo esecutivo, in caso di
approvazione, nell'A.S. seguente per le superiori, dopo 2 anni per
gli altri ordini di scuole, si ravvisa la necessità, per le
forze governative, fin dalla presente scadenza contrattuale di
introdurre elementi che consentano il trapasso forse un po'
traumatico, ma ritenuto necessario, verso questo nuovo tipo di
struttura.
Preoccupa la cecità delle
organizzazioni sindacali (ma del resto abbiamo visto come si realizzi
una strana consonanza su questo punto fra forze politiche e sociali)
che non hanno opposto la benché minima resistenza ai
provvedimenti di ristrutturazione, ed in futuro di riconversione,
avanzati dal governo.
Tre moduli orari per i docenti: tempo
potenziato (21 h.); tempo normale (18 h.) e tempo parziale (9 h.), a
partire dal '90. In particolare il part-time sembra finalizzato in
primo luogo a consentire l'ingresso di quegli esperti, esponenti
della realtà produttiva del territorio, previsti dal riassetto
della didattica contenuto nel progetto Galloni. L'incentivazione,
rifiutata dalla categoria con le lotte di questi due anni, entra alla
grande (le 3 h. aggiuntive del tempo potenziato) portandosi dietro il
suo corollario della mobilità interna ed esterna dei docenti,
verso altri ordini di scuola, altre province e altre amministrazioni.
I suggerimenti della Confindustria sono
accolti in pieno anche per quanto riguarda la valutazione della
professionalità (ma forse a questo punto sarebbe il caso di
parlare direttamente di produttività) del personale
insegnante.
È
prevista l'accelerazione, mediante concorso, della progressione
economica per i docenti che si siano distinti per particolari meriti.
Sia ben inteso il Paradiso terrestre dell'8° livello resta
riservato al personale dei Conservatori e delle Accademie d'arte,
l'Empireo del 9° livello ai direttori didattici e ai presidi.
Il misero docente che accetterà
di barattare un avanzamento retributivo con la sottomissione al
controllo del suo lavoro, non potrà che aspirare ad un salto
di classe stipendiale sempre però restando all'interno del 7°
livello.
Su un piano più generale, un
filo rosso lega il progetto di Galloni a quello stilato dal suo
compagno di partito Tesini, avente per oggetto la riforma del Sistema
Universitario.
Se il disegno di legge
Covatta-Falcucci, nell'ottica dell'autonomia finanziaria,
organizzativa e normativa legittima l'istituzione di Atenei di serie
A, accessibili a pochi eletti, e di serie B, per studenti meno
abbienti e con titoli di studio dequalificati (vd. Francia ed
U.S.A.), il progetto Tesini istituisce la differenziazione degli
studenti in categorie professionali. Prevedendo infatti diversi
titoli di studi, in parallelo e completamente separati l'uno
dall'altro, introduce, anche all'interno della stessa facoltà,
una stratificazione in base al diploma raggiunto, cui si legano
diverse possibilità di sbocchi per quanto riguarda la futura
occupazione.
Se quindi alla Scuola viene demandato
il compito di preparare la futura mano d'opera specializzata,
all'Università spetta la formazione dei quadri superiori e
intermedi, con l'assunzione di tutti gli oneri da parte dello Stato
(e quindi delle collettività), in stretta sudditanza però
con quanto emerge dalle esigenze della produzione.
Si può a questo punto parlare di
un vero e proprio programma di neocolonialismo da parte
dell'industria, di bonifica della scuola pubblica, con taglio dei
cosiddetti rami secchi e/o improduttivi e con conseguente
razionalizzazione-omologazione-omogeneizzazione che garantisca uno
standard minimo né troppo dequalificato né
eccessivamente specializzato. Si tratta insomma di predisporre una
preparazione di base duttile che consenta al manager come all'operaio
un facile e rapido adeguamento alle esigenze imperative dell'impresa.
Se questo è vero, è vero
anche che la possibilità di autofinanziamento, mediante
reperimento di fondi esterni e mediante la riscossione di tasse
diversificate da istituto a istituto, prelude a una divaricazione tra
Scuole di serie A e di serie B (o anche C, D ecc.), in base alla
maggiore o minore disponibilità di mezzi, di attrezzature, di
laboratori...
È
evidente quindi che anche i diplomi conseguiti avrebbero una diversa
spendibilità nel mercato del lavoro, creando presumibilmente
nuove diseguaglianze accanto a quelle già esistenti tra Nord e
Sud, tra città e campagna (o borgata). Diseguaglianze che la
Scuola al momento attuale riproduce ma che in tale contesto
contribuirebbe anche a creare ex novo. Il disegno inoltre appare
supportato dai principi individual-competitivi basati sul premio
(merit-pay) oltre che da una visione della scienza come tecnologia,
con l'assimilazione che ne deriva dal sapere al saper fare (know
how), in un quadro educativo in cui identità e personalità
si presuppone che si formino induttivamente da nozioni tecniche
flessibili e modulari a piacere.
In sintesi si ha l'impressione di
trovarsi di fronte ad un progetto di sistematico e definitivo
smantellamento della scuola pubblica, in cui l'ingerenza del capitale
privato nel quadro gestionale, lungi dall'essere fattore di
dinamizzazione come si vorrebbe far credere, sembra farsi garante
sempre più della sinistra riesumazione della "scuola di
élite", veicolata da una parcellizzazione del sapere,
preludio ad una sua introiezione in forme meramente esecutive.
|