Rivista Anarchica Online
Razzisti
noi?
di Maria Teresa Romiti
"Gli Italiani, lo sappiamo, amano
parlare male di sé. È
una specie di civetteria, un vezzo nazionale. A noi piace definirci
furbi, cinici, voltagabbana, imbroglioni, corruttori (o, a secondo
dei casi, corrotti); sprovvisti, comunque, di grandi ideali e di
rigorosi principi morali. Certo non possiamo negare l'esistenza,
anche in mezzo a noi, di persone che respingono le tentazioni
opportunistiche e il servilismo vigliacco, mantenendosi coerenti,
costi quello che costi, con i propri valori guida. Ma la sensazione
generale è che si tratti di minoranze esigue, alle quali - in
fondo - non si riconosce una troppo vivace intelligenza. C'è
tuttavia una cosa della quale usiamo vantarci: noi italiani saremmo
un popolo "buono", un popolo "umano",
meriteremmo, in altri termini, quell'etichetta di "brava gente"
che ci è stata concessa. E tra le qualità "buone"
ed "umane" che siamo soliti attribuirci, c'è quella
di non essere razzisti". Inizia così il libro di
Rosellina Balbi All'erta siam razzisti (Milano, Mondadori
1988, pagg. 112, lire 20.000), un libro non voluminoso, si potrebbe
definire anche un lungo articolo, scritto in uno stile giornalistico,
chiaro e veloce. Un libro che cerca di fare i conti, e non in maniera
superficiale, con il razzismo, che cerca di sgombrare il campo, fin
dalle prime pagine, dai triti luoghi comuni, dalle belle favole di un
paese non razzista e tollerante.
Si parte da una serie di episodi di
cronaca, molti fin troppo tristemente conosciuti, per fare un veloce
excursus storico alla ricerca delle radici, della nascita di un
fenomeno che non basta definire pericoloso poiché è
soprattutto disgustoso: spia di concetti ed ideologie che riducono
qualcun altro (e non importa che l'altro sia di volta in volta
bianco, nero, giallo, ebreo, donna, handicappato, matto, drogato) a
qualcosa di meno che umano, ad oggetto, comunque lo considerano
inferiore, al di sotto.
Un fenomeno, come fa notare bene
Rosellina Balbi, che coinvolge destra e sinistra, reazionari e
progressisti, un fenomeno con cui ognuno di noi deve fare i conti.
Non tutto è condivisibile nel discorso di Rosellina Balbi, in
alcune parti il libro presenta sbavature, soprattutto nel tentativo,
difficile da realizzare, di salvare il marxismo, come teoria pura,
dall'accusa di antisemitismo, ma ha il pregio non da poco di non
fermarsi agli slogan, di parlare di tutti i razzismi, compreso
l'antisemitismo, di riconoscerne la presenza tra la sinistra
italiana, di cercarne ragioni e non ragioni, di riconoscere
soprattutto che non si può parlare di razzismo, ma di
razzismi.
Un libro che sa essere duro anche verso
l'antirazzismo di facciata che troppo spesso si ferma ad un generico
no, incapace di andare più a fondo e, ancora più grave,
troppo spesso contraddetto dalle stesse azioni di chi si proclama, a
parole, antirazzista.
"Non che per gli antirazzisti,
quand'anche non "citrulli", sia facile "muoversi di
lì". Tanto più che il loro nemico è insieme
molteplice e sfuggente, la stessa persona che non sopporta i drogati
può deprecare l'apartheid in Sudafrica. Vuole le donne
"a casa", ma si indigna di fronte ad uno striscione
offensivo per i meridionali. La verità è che ciascuno,
come ha detto Daniel Sibony "ha la sua costellazione fobica".
E da quel "ciascuno" non sono esclusi neppure gli
antirazzisti militanti".
E perché poi ci si dovrebbe
aspettare il contrario? Non siamo figli della stessa cultura? Non c'è
in ognuno di noi la stessa ansia, se non paura per il diverso,
ovunque si annidi per noi? Un libro che è quindi un invito a
fare i conti con la propria coscienza, a fare esperimenti mentali per
cercare di capire, anche sulla propria pelle, il significato della
discriminazione. Un invito ad abbandonare schemi ed ideologie per
provare a rapportarsi con la vita quotidiana, con il giorno dopo
giorno che, troppo spesso, cela il pregiudizio. "Non che non mi
piacciano i ..., ma...", "Non che io sia razzista, ma..."
e in quelle frasi c'è tutto: la giustificazione non richiesta
che equivale in fondo all'ammissione, magari non cosciente, del
razzismo strisciante. E se questa, come riconosce la stessa autrice,
è "una conclusione che non conclude" è,
comunque, un invito a pensare sempre con la propria testa, una cosa
certamente che chi parla per frasi fatte, chi accetta pregiudizi,
evita di fare.
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