Rivista Anarchica Online
Il non-piano di Kropotkin
di F. B.
Nato a Mosca nel 1842 da una ricca
famiglia nobile, Pietro Kropotkin si arruola ventenne, ma prende a
interessarsi sia di geografia sia di problemi sociali. Abbandonato
l'esercito, nel 1871 si reca in Svizzera ed entra in contatto con gli
ambienti anarchici. Rientrato in Russia, viene arrestato (1872), ma 4
anni dopo riesce a fuggire e riparare in Inghilterra. Scrive numerosi libri, letti da
intere generazioni di militanti operai e socialisti. Nel '17 torna in
Russia e si schiera con la rivoluzione. Ne critica però la
degenerazione autoritaria imposta dai bolscevichi. Muore nel '21 ed i suoi funerali,
seguiti da centomila persone, sono l'ultima grande manifestazione
anarchica in Russia. Il suo pensiero, pur pesantemente
condizionato dalla cultura positivista, presenta molti spunti
d'attualità. Come dimostra anche questa scheda sulle sue
concezioni urbanistiche.
Nel libro "Campi, fabbriche,
officine", Kropotkin cerca di sfatare il luogo comune secondo il
quale la nuova evoluzione tecnologica ed industriale necessita di una
sempre più alta concentrazione a livello produttivo, che si
concretizza con l'aumento delle fabbriche di grandi dimensioni ed il
nuovo fenomeno della concentrazione urbana ed il conseguente
spopolamento delle campagne.
"Le due attività sorelle
dell'agricoltura e dell'industria non furono sempre così
estranee l'una all'altra come lo sono oggi... i villaggi ospitavano
allora una molteplicità di industrie e gli artigiani della
città non abbandonavano l'agricoltura... ma poi, con l'avvento
delle turbine, del vapore e lo sviluppo della meccanica, si
spezzarono i legami che una volta vincolavano la fattoria
all'officina... Si condannarono così alla
sparizione tutti quei settori dell'industria che un tempo solevano
prosperare nelle città e si deprecò nell'industria
tutto ciò che non somigliava alla grande fabbrica". Kropotkin
inizia così un'indagine e una analisi di quella che noi oggi
chiamiamo "economia sommersa" e forme economiche
alternative alla concentrazione industriale per grandi complessi e
monopoli.
Egli osserva che esistono due vaste
categorie di queste piccole industrie (lavoro a domicilio e attività
artigianali): le industrie che si trovano nei villaggi, in
connessione con l'agricoltura e quelle esistenti nelle città e
nei villaggi senza nessuna connessione con la terra.
Al tempo di Kropotkin sono poche in
Inghilterra le piccole industrie sopravvissute in connessione con il
lavoro dei campi, ma centinaia di botteghe e piccole officine si
riscontrano nei sobborghi e nei bassifondi delle grandi città
e grandi masse di popolazione di diverse città si procacciano
da vivere con una molteplicità di attività artigianali. Nella sua analisi Kropotkin scopre
anche l'esistenza di una massa di forme intermedie, a seconda dei
legami più o meno stretti che continuano a sussistere con la
terra. Prosegue affermando che in Russia, in Francia, in Germania e
in Austria milioni e milioni di lavoratori vivono in piccoli villaggi
e svolgono un'opera di integrazione tra lavoro industriale o
artigianale e coltivazione della terra.
Il ruolo della piccola
industria
Le piccole industrie e il lavoro a
domicilio sono dunque un mondo che, abbastanza stranamente, continua
ad esistere anche nei paesi più industrializzati, fianco a
fianco con le grandi fabbriche. Pur trovandosi in condizioni
economiche precarie (bassi guadagni, impiego incerto, grossa
dipendenza nei confronti dei grossisti) la piccola industria è
ben lungi dallo scomparire, dimostrando così una straordinaria
vitalità, grandi capacità di modificazione al suo
interno e capacità di adattamento a nuove condizioni di
lavoro.
In questo senso dobbiamo riconoscere
che il culto per il gigantismo industriale ci spinge ad esagerarne le
dimensioni effettive: la maggior parte dei beni è ancora il
prodotto di una industria su piccola scala.
Negli anni '50 il professor S.R.
Dennison fece la stessa constatazione dichiarando: "Su un ampio
spettro di industrie l'efficienza produttiva delle piccole unità
eguagliava per lo meno, e in certi casi superava, quella dei giganti
industriali". Per meglio capire l'analisi
kropotkiniana della "nuova" concentrazione industriale,
sull'urbanesimo crescente e l'abbandono delle aree rurali è
forse il caso di vedere quali siano i problemi connessi a questo
nuovo tipo di produttività come ben evidenzia nel suo articolo
Riccardo Mariani (Volontà, n.2 anno 1981).
Agli inizi dell'Ottocento vi è
un grande fiorire di un certo tipo di letteratura prodotta a
proposito della "metropoli" nel nuovo contesto della
Rivoluzione Industriale. Il nuovo sviluppo produttivo presenta
caratteri rivoluzionari non solo perché si stanno introducendo
nuovi sistemi meccanici di produzione con la relativa serialità
degli "oggetti", ma soprattutto perché milioni di
persone, fino a quel momento emarginate dalla società e dalla
civiltà, entrano in un contesto dal quale erano rimaste
escluse nell'arco di molti secoli. Questa nuova popolazione urbana
vive in una particolare frontiera, non ben definita, fuori dalla
città senza però far parte della campagna: non sono
veri agricoltori, non vivono su un podere o fondo rurale, sono
talvolta salariati, briganti, banditi, mendicanti, individui insomma
che vivono di espedienti, vivono di ciò che la natura concede
o di ciò che essi riescono a strappare alle persone.
Improvvisamente questi milioni di
persone fanno finalmente il loro ingresso in città, a
qualsiasi condizione, dando vita alle grandi bidonville
ampiamente descritte. Il problema di fondo per la società, in
questo momento, è quello di riuscire a creare un sistema
culturale e di riferimenti per queste persone che hanno sempre
vissuto al di fuori di qualunque regola sociale, ma anche abituati ad
una sorta di "democrazia pratica" esercitata fuori da ogni
schema teorico. Nel frattempo molti sono i nemici
dello sviluppo industriale, fra i quali il più determinante è
senz'altro la cultura cattolica in Spagna e in Italia. Esiste una
vasta letteratura di stampo cattolico che denuncia con tinte
disastrose gli aspetti più negativi del nuovo sistema sociale
e produttivo. Si parla di degenerazione dei costumi e di fine del
mondo ormai imminente. Un'altra corrente invece denuncia gli effetti
negativi della vita nelle metropoli senza rendersi conto che non è
la città-metropoli che crea in sé individui dissociati
o "rivoluzionari": l'immigrato giunge in città già
rivoluzionario o, più precisamente, "ribelle". Il
nuovo soggetto urbano è dunque un rivoluzionario potenziale
poiché ignora o non ha mai accettato le regole vigenti nel
sistema istituzionale, urbano o rurale, e infatti ambedue i sistemi
lo hanno sempre respinto.
Tutti sono quindi preoccupati dal
fenomeno del "rivoluzionarismo" che si va dilatando, che
non significa ancora un attacco sistematico ed unidirezionale, ma
piuttosto un ribellismo contro tutto e tutti. Diventano quindi
numerosissimi i tentativi di integrazione di questi nuovi
"cittadini". Un caso esemplare sarà quello di Robert
Owen che lotterà contro lo sfruttamento indiscriminato
dell'operaio fino al limite delle sue possibilità. Egli stesso
imprenditore ridurrà gli orari di lavoro e introdurrà
un trattamento più umano nella fabbrica e fuori, scoprendo
così che i rendimenti aumentano e migliorano anche i rapporti
tra operai e proprietario. Si occuperà poi del tempo libero
degli operai adottando un sistema educativo. Crea nuovi spazi
abitativi più consoni alle esigenze dei lavoratori, istituisce
scuole e corsi di danza per il tempo libero. Ed è qui che
accade un fenomeno apparentemente strano: gli operai "fuggono"
da Owen perché ritengono che partecipare alle lezioni e ai
corsi di danza sia più faticoso che vivere come tutti gli
altri operai; anche perché a questa gente si chiede, per lo
più improvvisamente, un cambiamento sociale per il quale non
sono ancora pronti.
Etica e decentramento
Di fronte alla nuova popolazione urbana
due sono le posizioni ipotizzate: - La città è il luogo
privilegiato in cui si esercita l'opera di trasformazione sociale
proprio attraverso l'attivazione di una lunga serie di accorgimenti,
attività particolari, coinvolgimenti di vario tipo, etc.
ovvero casette individuali, giardini pubblici, spazi sociali etc.
- In contrapposizione vi è la
visione kropotkiniana che ribadisce l'esigenza di creare nuove
strutture abitative alla cui gestione collabori tutta la società,
a partire dalle sue componenti minime, cioè strada per strada,
quartiere per quartiere (autogestione nella città e per la
città).
Tutto ciò non solo inteso come
atto politico-amministrativo ma come scelta di fondo, scelta etica,
che comporta un impianto culturale appropriato.
Una scelta etica che si ricollega al
problema del decentramento industriale, alla ricerca di una diversa
qualità della vita.
"È
necessario decentrare anziché centralizzare, dare un maggior
significato al contenuto delle occupazioni anziché
suddividerle ulteriormente; creare la solidarietà di gruppo,
rendere più soddisfacente il lavoro anziché aspettare
che i lavoratori trovino soddisfazione al di fuori di esso. In breve,
occorre permettere ai lavoratori di utilizzare le proprie capacità
in maniera più completa e di guadagnarsi così veramente
da vivere".
Il risultato finale fu che in
Inghilterra la rivoluzione non ci fu mai e non certamente a causa
della sola gestione urbanistica delle città, ma in gran parte
perché la città venne organizzata in modo tale da
ridividere ciò che la città stessa aveva unificato. In
altre parole si usarono leggi urbanistiche, procedimenti e criteri di
sviluppo per creare spazi separati, insomma per provocare separazione
e conconcorrenza all'interno di una massa che doveva la sua forza e
consistenza fondamentale alla sua compattezza e alla sua
"omogeneità".
Il secondo punto su cui si ferma
l'attenzione di Kropotkin riguarda l'organizzazione sociale del nuovo
spazio urbano ed indica come soluzione la comunità
indicando come tale ciò che egli trova già esistente
nella società costituita. Tra i modelli esistenti si riferisce
in particolare a piccoli villaggi dove si svolge una vita sociale non
gestita secondo schemi autoritari o gerarchici. L'esempio più
significativo riguarda alcuni villaggi di ex servi della gleba,
uomini rifugiatisi nella steppa a seguito di persecuzioni e che sono
quindi obbligati a inventare un modo per sopravvivere insieme. In
questi villaggi vi è una rotazione delle cariche tecniche e
politiche, la gestione della proprietà pubblica, la
ripartizione dei prodotti, le relazioni interne al gruppo sociale,
l'istruzione, la circolazione della cultura, ecc. (ricordano i
kibbutz moderni).
Egli immagina la produzione, la
distribuzione e l'organizzazione sociale nelle mani di una
federazione di comuni autonomi, ricercava la scomparsa della netta
divisione tra rurale ed urbano, tra lavoratori dei campi e lavoratori
dell'industria. Prendendo come base la piccola comunità, egli
colse l'opportunità di una vita locale più responsabile
e più sensibile. Emerge un quadro sufficientemente delineato
perché si possa intendere l'idea generale del "piano"
urbanistico di Kropotkin, laddove la caratteristica emergente sta
proprio nel "non-piano", ma piuttosto nei criteri,
nell'alternativa effettuale a quel sistema che pur riconosciuto
eternamente "in crisi" viene continuamente proposto e
riproposto in infinite varianti che sostanzialmente ripropongono il
medesimo principio.
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