Rivista Anarchica Online
L'ultima farsa
di Carlo Oliva
Le polemiche attorno alla figura
del ministro Donat-Cattin coprono ancora una volta il gioco di
patteggiamento tra i partiti sulla pelle dei cittadini, cui nessuno
ha garantito una vera campagna di prevenzione sull'AIDS o ha
assicurato che la normativa e la prassi ospedaliera in tema di aborto
non subiranno peggioramenti drammatici.
Devo confessare di avere un debole per
il senatore Carlo Donat-Cattin, ministro della sanità
nell'attuale governo.
Rispetto all'immagine del ministro
democristiano medio, mi è sempre sembrato dotato di un piglio
insolito, di una qualche capacità d'esporsi, della mancanza di
quella untuosità, come dire, floridamente pretesca, che rende
tanto sgradevoli le figure dei vari De Mita e Andreotti, per non dire
della finta serenità di un Formigoni o della ragionevolezza di
Galloni, quello che dialoga con tutti! e poi sponsorizza i concorsi
del Movimento per la Vita. Nemici per nemici, preferisco quelli che
si dichiarano per tali e che non danno l'impressione di essere sempre
pronti a pugnalarti alle spalle. Certo, queste sono banalità.
Anche lui, probabilmente, è capacissimo di pugnalare alle
spalle chiunque. Ma ci è noto, comunque, per quanto poco
interessante possiamo considerare il gioco politico nazionale, che in
quel gioco Donat-Cattin è un perdente che nel suo partito
conta pochino e, infatti, è confinato in un ministero che più
che grane non può procurare. E da questa consapevolezza
dovremmo ben saper trarre qualche conclusione.
Le prescrizioni del papa
Un ministro notoriamente bizzarro, in
fondo, può tornar utile. Per esempio, un documento come la
lettera in data 1 dicembre '88 che accompagnava l'opuscolo
informativo della Commissione nazionale per la lotta contro l'AIDS,
quella che, in soldoni, diceva che il ministero era obbligato
d'ufficio a render nota qualche misura di prevenzione, ma che la
morale raccomanda comunque la castità e che profilatticamente
non c'è niente di più efficace, firmato da
un altro avrebbe potuto suscitare polemiche molto più vivaci
di quelle che in effetti ci sono state. Qualcuno avrebbe potuto
ricordare che osservazioni del genere erano state fatte dal papa, e
chiedersi come mai un governo cui partecipano quattro partiti laici
(su cinque) sentisse il bisogno di adeguarsi a una prescrizione del
capo della chiesa cattolica. E magari avrebbe potuto sospettare che
affermazioni ineffabili come quella secondo cui "per comportarsi
con equilibrio esistono almeno ragioni igieniche, se si dà
poco peso a quelle morali" e le relative raccomandazioni di
attenersi a "un'esistenza normale nei rapporti affettivi e
sessuali" fossero il frutto di una qualche mediazione le cui
responsabilità coinvolgevano parecchi eredi autopresunti del
"Mondo" di Pannunzio. Donat-Cattin non è certo
l'unico uomo politico convinto del fatto che per governare in Italia
bisogna adeguarsi alle prescrizioni del papa, ma è uno dei
pochi che si può permettere di dirlo: quando bisogna dirlo è
ovvio che lo si faccia dire a lui. La pretesa per cui i propri
pregiudizi e le proprie convinzioni etiche vanno considerate per
definizione "normali" e quelle altrui no, è talmente
diffusa da essere, sul piano statistico, del tutto normale, ma è
anche normale che la possa esibire solo un politico che non tema la
nomea di anormalità.
Giochi di parole a parte, l'ipocrisia
ideologica è di rigore in un sistema, come il nostro, che nega
per principio l'esistenza di differenze e di distinzioni di questo
tipo. Da noi, si sa, la gestione del potere avviene, con maggior
coerenza che altrove, in base a patteggiamenti riservati, il che
comporta la necessità di prestare scarsa o nulla attenzione
alle opzioni ideologiche dichiarate. Non bisogna chiedere a nessuno,
neanche a chi incarna, con scarso entusiasmo, il ruolo
dell'opposizione, di compromettersi irrevocabilmente, a rischio di
trovarsi escluso da possibili patteggiamenti futuri. Quando un
autorevole richiamo esterno (il papa, o la Fiat, o l'ayatollah
Khomeiny, o l'ambasciatore USA, o chi altri) rende necessaria la
provvisoria rottura di questo pactum sceleris implicito, si
impone il ricorso ai Donat-Cattin, ai Pannella, ai Pietro Longo, a
quelle figure di "pazzariello" di cui i responsabili di
ogni congregazione rispettabile tengono da parte con cura un paio
d'esemplari per ogni evenienza.
Quanto alla legge sull'interruzione
della gravidanza, la cui ventilata modifica in senso gradito al
Movimento Popolare è stata la posta dalle malinconiche manovre
svoltesi attorno alla "Mangiagalli" di Milano, sanno gli
dei se non si tratta di una legge di compromesso: anzi, di uno di
quei compromessi particolarmente sgradevoli che erano di rigore negli
anni della "solidarietà nazionale", quando quella
legge fu appunto varata. Ci fu, allora, chi richiese un referendum,
parallelo a quello abrogativo promosso dai ciellini, per eliminare le
sue norme più restrittive. Gli elettori, con un certo
pessimistico buon senso, preferirono stare ai primi danni e tenersi
la legge com'era e nel maggio 1981 respinsero tutte e due le proposte
(con l'88,5% di maggioranza nel primo caso e il 67,9% nel secondo).
Oggi, per un motivo o per l'altro,
parte del mondo cattolico pensa di potersi prendere la rivincita. Si
tratta, probabilmente, di una minoranza, ma non importa: con il vento
che tira, la maggioranza del cattolicesimo organizzato (chiesa
compresa) non può permettersi di non sostenere questo genere
di estremisti. Ma perché farsi coinvolgere troppo in una
bagarre da cui l'esperienza insegna che si ha tutto da
perdere? Per fortuna c'è il bizzoso ministro, che fa colore e
permette alla gente seria di patteggiare nell'ombra.
Il gioco delle parti
Sì, patteggiare nell'ombra è
altrettanto offensivo e sopraffatorio verso le donne di quanto non lo
siano i blitz e le ispezioni dell'Ineffabile, ma per chi conduce
queste operazioni il problema si riduce spesso a un normale gioco
delle parti. Tu dici una cosa, io ti rimbecco con durezza, lui
presenta una mozione di sfiducia, io voto contro (in nome della
situazione politica generale, ovviamente) e tutti siamo liberi di
occuparci di quello che ci interessa davvero.
Naturalmente nessuno vuole negare le
responsabilità del ministro. Ma, insomma, per quanto
divertente possa sembrare l'idea di vederlo in caricatura con la
testa inguainata in un enorme preservativo (beh, proprio
divertentissima no), si può anche sentirsi sfiorati dal dubbio
che nella campagna di stampa di parte "laica" che ha
accompagnato le ultime sortite del personaggio e nelle iniziative
parlamentari connesse non tutto sia stato così limpido. Nelle polemiche giornalistiche, capita
abbastanza spesso che si scelga un bersaglio scontato. Non sarebbe
poi un gran male, salvo che per un particolare di un qualche
interesse: il gioco delle parti di cui sopra ha concesso qualcosa
praticamente a tutti, da Craxi a Formigoni, dalla CISL al Comune di
Milano, da De Mita ad Occhetto, da Martelli a Scalfari (che sul suo
giornale attacca Donat-Cattin con lo stesso fervore con cui esalta,
appunto, De Mita).
Gli unici cui non è stato
concesso proprio niente sono stati, al solito, i cittadini, cui
nessuno ha garantito una vera campagna di prevenzione dell'AIDS, con
il supporto delle strutture sanitarie e la mobilitazione delle
risorse disponibili o ha assicurato che la normativa e la prassi
ospedaliera in tema di aborto non subiranno peggioramenti drammatici.
Nell'indifferenza verso i bisogni reali della gente, la cultura
cattolica trova il modo di celebrare un ambiguo connubio con il
conservatorismo laico e la tendenza alla smobilitazione dei servizi
pubblici.
Consoliamoci tirando le torte in faccia
al ministro. Anche di fronte ai problemi più tragici, la
politica dello spettacolo ci offre, occasionalmente, qualche
occasione di farsa. Ma che tristezza, comunque.
|