Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

Contro il militarismo, contro l'autoritarismo
a cura della Redazione

Se la funzione dell'esercito è veramente quella di sostenere la "protezione civile", se davvero è quella di difendere la popolazioni dagli effetti di una calamità naturale, e di aiutarle a ricostruire la loro vita sociale ed economica dopo il caos di un terremoto o di una alluvione, allora non si capisce innanzitutto perché questo debba essere armato.
Forse con una baionetta è più facile costruire una casa o arginare un fiume, di quanto lo sia con una pala, o con un piccone? Forse le macerie e il fango si sgomberano meglio con un carrarmato, piuttosto che con una gru, o con una pala meccanica?
Ma questa non è la sola contraddizione. La stessa obbligatorietà del servizio militare, la sua imposizione, e l'autoritarismo e la gerarchia sui quali esso si fonda, lungi dal rappresentare – come si vuol far credere – ragioni di efficienza e di celerità in simili tragiche circostanze, diventano un ostacolo, un elemento frenante nel momento della "ricostruzione".
Abbiamo tutti visto più volte come, dopo una calamità naturale (il terremoto in Irpinia, l'alluvione in Valtellina), gli interventi più utili siano stati l'effetto della solidarietà, della collaborazione, dell'attività spontanea di molte persone, estranee e anzi contrarie alla disciplina militare.
Certo, in simili circostanze l'improvvisazione e il disordine possono fare più guai della natura stessa; ma gli uomini conoscono molti modi per organizzarsi, e quello che domina nell'esercito è solo uno dei tanti: il più violento, il più disumano, ma non certo il più efficace. E se teniamo presente questo particolare "ordine", questo tipo di organizzazione, questa struttura, forse ci appaiono più chiari i vari scopi di quella istituzione.
Quando lo Stato si prepara ad ammazzare, si fa chiamare Patria, ha scritto Dürenmatt. E a cosa serve un esercito, se non ad ammazzare, ed imporre col terrore l'ordine di pochi privilegiati, la "pace" dello sfruttamento e della miseria, la "tranquillità" di una violenza quotidiana subita da chi non sa o non può ribellarsi? A cosa serve l'esercito in Palestina, in Cile, in Venezuela, in Polonia, in Birmania, e in ogni altro paese del mondo?
Ma c'è anche un fine "interno", uno scopo che le gerarchie perseguono nei confronti dei propri subordinati, e che realizzano con cinismo, con prepotenza, su tutti quei milioni di giovani che in ogni parte del mondo, prima o poi diventano dei soldati.
Per questi ragazzi, l'esercito è soprattutto una scuola; e il suo fine principale è quello di "educarli", di trasmettere loro determinati valori, di ottenere da loro determinati comportamenti.
È a questo che lavora, tutti i giorni, ogni esercito; è questo il suo fine principale: trasformare degli uomini, delle persone con una dignità, capaci di pensieri e di comportamenti autonomi, spesso impegnati nella realizzazione di progetti di trasformazione sociale, in soldati, in figurine manovrate da un graduato, pronte ad essere manipolate fuori, nella vita civile, dai "superiori" di turno, senza discutere, senza ribellarsi.
Per questo, poco importa che il servizio di leva duri 12 mesi, o soltanto 6, o quattro settimane all'anno; per questo, poco importa che il servizio sia obbligatorio o volontario, giacché ogni esercito è comunque di per sé una calamità, e rappresenta un pericolo per l'umanità intera.
Questo accade anche in Italia: qui, ogni anno, migliaia di giovani vengono sequestrati nelle caserme.
Lo Stato italiano vuole trasformare i "suoi" ragazzi" in uomini, in "veri" uomini: pronti ad accettare la società divisa in classi che li attende, pronti ad accorrere in difesa della status quo ogni qual volta uno squillo di tromba li richiami all'ordine; pronti a cominciare la loro guerra personale, armati del più bieco opportunismo, privi di scrupoli, disposti a vendere la propria dignità per un posto di lavoro, per un attestato in più, per una spinta o per il sorriso di uno che conta. Perché "militarismo" non è solo l'esercito, non è solo la naja; e non è solo un territorio "occupato" da caserme, poligoni, basi militari ed eserciti stranieri; e nemmeno soltanto la repressione costante e capillare di ogni tentativo di trasformazione sociale.
"Militarismo" è anche una mentalità gerarchica ed autoritaria che domina tutto il corpo sociale, che "informa" di sé i rapporti tra gli individui, che sostiene la disuguaglianza e l'esistenza delle classi e che, in ultima analisi, permette allo Stato di arrogarsi anche il "diritto" di rubare un anno di vita ad ogni giovane, per trasformarlo così in un suddito. È questo "diritto" che va combattuto, innanzitutto; è contro questa pretesa dello Stato – o di qualsiasi altra istituzione – di decidere della nostra vita, che dovrebbe lottare ogni persona alla quale sta a cuore la libertà di tutti.
Ogni anno, alcuni giovani (anarchici, ma non solo) conducono questa lotta: rifiutano il servizio militare e quello sostitutivo civile, convinti che niente e nessuno possa utilizzare la vita di un individuo contro la sua volontà, e per un fine che egli non condivide. Questi giovani quasi sempre finiscono in galera: lo Stato li punisce perché desiderano un mondo diverso, più solidale, più libero; perché sanno di poterlo realizzare riappropriandosi della propria vita, difendendo la propria dignità.
Lo Stato li chiama "obiettori totali"; e nelle carceri militari nelle quali li rinchiude, spesso cerca di schiacciare la loro fierezza, di spezzare il loro carattere, di umiliare le loro convinzioni. Si tratta di lotte individuali, tanto più dure da sostenere quanto più viene a mancare la solidarietà di quanti vivono fuori dal carcere, fuori dalle caserme, in una gabbia appena un po' più larga.
Si tratta di lotte che vanno al cuore del problema, che sconfiggono l'arroganza perché rifiutano la subordinazione, che rendono inutile il conflitto perché diffondono la solidarietà, che vincono la violenza perché combattono l'autoritarismo.
Sono lotte di libertà, portate avanti da individui che vogliono solo questo: vivere liberi. Sosteniamoli!
Per il loro rifiuto del servizio militare e di quello civile sostitutivo sono attualmente detenuti:
Giuseppe Coniglio, carcere militare, 81055 Santa Maria Capua Vetere (CE);
Alfredo Cospito, carcere militare Forte Boccea, via di Forte Boccea 251, 00167 Roma;
Peter Rotten Steiner e Dario Sabbadini, carcere militare, 37019 Peschiera del Garda (VR).