Rivista Anarchica Online
Ultimo tango a sinistra
di Andrea Papi
Da molto tempo la sinistra italiana
non agisce più per la difesa di quei valori che ne avevano
ispirato la nascita, ma per affermarsi in quella società che
avrebbe voluto cambiare. In quest'ottica vanno analizzati
anche i rapporti tempestosi tra i due partiti storici della sinistra
parlamentare.
C'è un gran scompiglio nella
sinistra italiana. Forse perché le sue componenti fanno sempre
più fatica a mantenersi agganciate al cordone ombelicale della
storia da cui derivano, mentre contemporaneamente debbono
ridefinirsi, per inseguire il cambiamento che, inesorabilmente,
procede attraverso tutto il corpo sociale. Le sue origini risalgono
alla rivoluzione francese del 1789 e, siccome siamo in clima di
bicentenario, torna utile ricordarlo. Allora i rappresentanti delle
idee repubblicane e democratiche occupavano i seggi di sinistra di
fronte al presidente dell'assemblea. Ne derivò che è
diventato di uso comune definire con "sinistra politica"
tutte le forze del cambiamento e di progresso, contrapposta alla
speculare "destra", che invece indica quelle reazionarie e
conservatrici. A sua volta nacque la differenziazione tra "sinistra
moderata" ed "estrema", a seconda che il cambiamento
fosse inteso attraverso le riforme o la rivoluzione. Riferendosi ai
partiti dell'arco parlamentare, oggi riesce difficile continuare a
parlare di destra e di sinistra. Se ormai tutti ripudiano il mezzo
rivoluzionario, parlano però tutti di riforme, compresa la
destra; tutti riconoscono validità ai principi fondanti della
forma politica che ci governa, per cui affermano di volerla
conservare nei suoi presupposti, ma contemporaneamente vogliono tutti
riformarla perché ne riconoscono l'inadeguatezza. Destra e
sinistra sono solo ormai un riferimento nominale, utile
esclusivamente come convenzione consolidata per la comprensione
comunicativa.
Cronista burlone
Riferendoci ai fatti di cronaca, nel
"bel paese" lo scompiglio è sorto dapprima tra PSI e
PSDI, poi tra PSI e PCI; attualmente non sembra in via di soluzione
immediata. Sempre il solito Bettino, con una buona dose della sua
tipica mielosa arroganza, ha cominciato chiedendo in modo esplicito
ai socialdemocratici di rientrare nel suo partito, perché la
loro presenza da sola non ha più senso. Ne è nato un
gran subbuglio. Una minoranza diretta da Longo e Romita si è
scissa propugnando il rientro completo tra le file del PSI, mentre il
segretario Carniglia, inviperito per il tiro craxiano, è
riuscito a rinvigorire il suo ascendente interno portando avanti un
congresso di partito tutto in chiave antisocialista, che ha trovato
un notevole coagulo emotivo alla base. Al di là di ciò,
mi sembra che le proposte del PSDI rimangano tutte dentro una lettura
di spartizione clientelare di sottogoverno, unico motivo per cui
continua ad aver senso la sua sopravvivenza come forza politica
all'ombra della DC.
Un contrasto ben più grosso ed
importante è tuttora in atto tra comunisti e socialisti,
personificato, com'è di moda in questi tempi d'immagine, dai
due leader Craxi e Occhetto. Circa dall'estate scorsa, i mass-media
avevano cominciato ad abituarci all'idea di un nuovo idillio tra PSI
e PCI, paventando più volte la possibilità di una
storica riunificazione, mai annunciata a chiare lettere, ma sempre
lasciata intendere. Aveva avuto inizio quando ancora Occhetto era
vicesegretario comunista, in attesa di essere incoronato al posto di
Natta, ormai fuori gioco. In un'intervista comune pubblicata da un
settimanale, i due vice di allora Occhetto e Martelli, parlando in
modo sciolto e tranquillo, avevano buttato là l'ipotesi non
scartabile di una riconciliazione politica.
La cosa era proceduta speditamente,
fino agli inviti abbastanza espliciti di Craxi a pensare ad una vera
e propria "casa comune", in tempi forse non lontani.
Qualche cronista burlone aveva addirittura ipotizzato il fatidico
prossimo '92, centenario di fondazione del partito socialista e
conclamato fine della vecchia Europa, che lascerà spazio alla
nuova senza frontiere. Dopo la destalinizzazione ufficiale di
Gorbaciov, la rinuncia alla via rivoluzionaria, l'accettazione del
mercato e dell'imprenditoria privata, l'assunzione del principio
democratico quale valore universale, da parte comunista sarebbero
cadute tutte le motivazioni che portarono alla scissione del '21, in
seguito alla quale era nato il Pcd'I. Dunque di nuovo insieme, in un
unico partito.
Alla faccia della casa comune
Ma il 3 marzo succede il patatrac.
Secondo un resoconto di Paolo Franchi sul Corriere, mentre Occhetto
ritorna dal suo incontro con Gorbaciov, dietro la richiesta di una
possibile adesione del suo partito all'Internazionale Socialista,
l'incauto segretario del PCI dichiara che l'ostacolo principale resta
Craxi, mentre, secondo lui, la SPD tedesca non avrebbe problemi.
Craxi si infuria immediatamente, annulla l'incontro di Bruxelles
dell'8 marzo che lui stesso aveva fissato, in cui i due si sarebbero
dovuti incontrare per discutere sui programmi elettorali
dell'eurosinistra assieme agli altri leader socialisti europei,
ottiene dall'SPD una smentita ufficiale sul fatto che il tema in
questione sia stato discusso negli incontri tedeschi col capo
comunista italiano. A nulla è valso che poi Occhetto a sua
volta abbia smentito ufficialmente di aver mai detto la frase
incriminata. Tutto è ritornato in alto mare.
A molti può sfuggire il senso di
questi ironici battages pubblicitari. I disaccordi infatti, se lo si
vuole, si ricompongono attraverso il confronto e il dialogo serrati.
Ma confronto e dialogo da alcuni lustri non fanno più parte
del patrimonio della sinistra che, quando le riesce, ad essi
preferisce il luccichio della pubblicità rampante. Ed è
un senso tutto legato alle prossime elezioni europee, colto bene da
Jacoviello che su Repubblica del 7 marzo scrive: "Se Occhetto
sfonda (e per il segretario comunista sfondare significa fermare
l'emorragia di voti) tutta la strategia di Craxi del cosiddetto
riequilibrio a sinistra, subisce una battuta di arresto. Se non
sfonda, l'obbiettivo si avvicina". Alla faccia della storica
ricomposizione e della "casa comune".
Socialismo di stato in crisi
Da molto tempo ormai la sinistra non
agisce più per la realizzazione coerente dei presupposti che
ne avevano motivato la nascita, ma è spinta unicamente dal
bisogno di affermarsi e di conquistare scranni di potere nella
società che avrebbe dovuto abbattere o superare. Siamo ben
lontani dai principi e dagli ideali che ispirarono il formarsi del
movimento operaio organizzato. Questi risale al 1864, quando a Londra
fu fondata l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, per impulso
di alcuni operai e artigiani francesi di ispirazione proudhoniana, da
essa poi presero corpo tutte le tendenze che conteneva, diverse per
metodo e strategia, ma tutte tese alla realizzazione di una concreta
emancipazione delle classi lavoratrici dalla subordinazione
capitalista.
In Italia, col congresso di Rimini del
1872, l'Internazionale nacque anarchica e prese nettamente le
distanze dal consiglio generale di Londra che, negli otto anni che lo
separavano dalla fondazione, era stato preso saldamente in mano da
Marx, da cui aveva preso l'indirizzo autoritario e statalista. In
seguito all'azione di Andrea Costa, dal suo seno sorse la tendenza
parlamentarista, che propugnava la partecipazione alle istituzioni
per pervenire al socialismo anticapitalista, anche se con l'intento
iniziale di distruggerle. Nel '92 questa fondò il PSI, che fin
dall'iniziò si definì riformista, prendendo nettamente
le distanze dalla componente anarchica rimasta rivoluzionaria. Nel
1921, col congresso di Livorno, il PSI si scisse e ne uscì la
corrente che aderiva all'ipotesi bolscevica della rivoluzione russa,
il PCd'I, che propugnava la presa del potere per instaurare la
dittatura del proletariato. Nel 1947, rifiutando ogni ipotesi
frontista, dal seno del PSI si staccò il PSDI, che si
richiamava alle ipotesi socialdemocratiche tedesche.
Oggi il socialismo di stato in tutte le
sue forme, da quella socialdemocratica a quella bolscevica, è
in crisi e sta dichiarando il suo fallimento. Non vuole più
una società non capitalista completamente Statalizzata, magari
con il miraggio leniniano che lo stato si estinguerà da solo.
Il socialismo autoritario non riconosce più le ragioni per cui
è sorto. Ma le sue organizzazioni sopravvivono e, caduto il
loro senso originario, non vogliono morire. Ma vivono il dramma che
devono dimostrare perché vogliono continuare ad esserci.
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