Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

Ultimo tango a sinistra
di Andrea Papi

Da molto tempo la sinistra italiana non agisce più per la difesa di quei valori che ne avevano ispirato la nascita, ma per affermarsi in quella società che avrebbe voluto cambiare. In quest'ottica vanno analizzati anche i rapporti tempestosi tra i due partiti storici della sinistra parlamentare.

C'è un gran scompiglio nella sinistra italiana. Forse perché le sue componenti fanno sempre più fatica a mantenersi agganciate al cordone ombelicale della storia da cui derivano, mentre contemporaneamente debbono ridefinirsi, per inseguire il cambiamento che, inesorabilmente, procede attraverso tutto il corpo sociale. Le sue origini risalgono alla rivoluzione francese del 1789 e, siccome siamo in clima di bicentenario, torna utile ricordarlo. Allora i rappresentanti delle idee repubblicane e democratiche occupavano i seggi di sinistra di fronte al presidente dell'assemblea. Ne derivò che è diventato di uso comune definire con "sinistra politica" tutte le forze del cambiamento e di progresso, contrapposta alla speculare "destra", che invece indica quelle reazionarie e conservatrici. A sua volta nacque la differenziazione tra "sinistra moderata" ed "estrema", a seconda che il cambiamento fosse inteso attraverso le riforme o la rivoluzione. Riferendosi ai partiti dell'arco parlamentare, oggi riesce difficile continuare a parlare di destra e di sinistra. Se ormai tutti ripudiano il mezzo rivoluzionario, parlano però tutti di riforme, compresa la destra; tutti riconoscono validità ai principi fondanti della forma politica che ci governa, per cui affermano di volerla conservare nei suoi presupposti, ma contemporaneamente vogliono tutti riformarla perché ne riconoscono l'inadeguatezza. Destra e sinistra sono solo ormai un riferimento nominale, utile esclusivamente come convenzione consolidata per la comprensione comunicativa.

Cronista burlone
Riferendoci ai fatti di cronaca, nel "bel paese" lo scompiglio è sorto dapprima tra PSI e PSDI, poi tra PSI e PCI; attualmente non sembra in via di soluzione immediata. Sempre il solito Bettino, con una buona dose della sua tipica mielosa arroganza, ha cominciato chiedendo in modo esplicito ai socialdemocratici di rientrare nel suo partito, perché la loro presenza da sola non ha più senso. Ne è nato un gran subbuglio. Una minoranza diretta da Longo e Romita si è scissa propugnando il rientro completo tra le file del PSI, mentre il segretario Carniglia, inviperito per il tiro craxiano, è riuscito a rinvigorire il suo ascendente interno portando avanti un congresso di partito tutto in chiave antisocialista, che ha trovato un notevole coagulo emotivo alla base. Al di là di ciò, mi sembra che le proposte del PSDI rimangano tutte dentro una lettura di spartizione clientelare di sottogoverno, unico motivo per cui continua ad aver senso la sua sopravvivenza come forza politica all'ombra della DC.
Un contrasto ben più grosso ed importante è tuttora in atto tra comunisti e socialisti, personificato, com'è di moda in questi tempi d'immagine, dai due leader Craxi e Occhetto. Circa dall'estate scorsa, i mass-media avevano cominciato ad abituarci all'idea di un nuovo idillio tra PSI e PCI, paventando più volte la possibilità di una storica riunificazione, mai annunciata a chiare lettere, ma sempre lasciata intendere. Aveva avuto inizio quando ancora Occhetto era vicesegretario comunista, in attesa di essere incoronato al posto di Natta, ormai fuori gioco. In un'intervista comune pubblicata da un settimanale, i due vice di allora Occhetto e Martelli, parlando in modo sciolto e tranquillo, avevano buttato là l'ipotesi non scartabile di una riconciliazione politica.
La cosa era proceduta speditamente, fino agli inviti abbastanza espliciti di Craxi a pensare ad una vera e propria "casa comune", in tempi forse non lontani. Qualche cronista burlone aveva addirittura ipotizzato il fatidico prossimo '92, centenario di fondazione del partito socialista e conclamato fine della vecchia Europa, che lascerà spazio alla nuova senza frontiere. Dopo la destalinizzazione ufficiale di Gorbaciov, la rinuncia alla via rivoluzionaria, l'accettazione del mercato e dell'imprenditoria privata, l'assunzione del principio democratico quale valore universale, da parte comunista sarebbero cadute tutte le motivazioni che portarono alla scissione del '21, in seguito alla quale era nato il Pcd'I. Dunque di nuovo insieme, in un unico partito.

Alla faccia della casa comune
Ma il 3 marzo succede il patatrac. Secondo un resoconto di Paolo Franchi sul Corriere, mentre Occhetto ritorna dal suo incontro con Gorbaciov, dietro la richiesta di una possibile adesione del suo partito all'Internazionale Socialista, l'incauto segretario del PCI dichiara che l'ostacolo principale resta Craxi, mentre, secondo lui, la SPD tedesca non avrebbe problemi. Craxi si infuria immediatamente, annulla l'incontro di Bruxelles dell'8 marzo che lui stesso aveva fissato, in cui i due si sarebbero dovuti incontrare per discutere sui programmi elettorali dell'eurosinistra assieme agli altri leader socialisti europei, ottiene dall'SPD una smentita ufficiale sul fatto che il tema in questione sia stato discusso negli incontri tedeschi col capo comunista italiano. A nulla è valso che poi Occhetto a sua volta abbia smentito ufficialmente di aver mai detto la frase incriminata. Tutto è ritornato in alto mare.
A molti può sfuggire il senso di questi ironici battages pubblicitari. I disaccordi infatti, se lo si vuole, si ricompongono attraverso il confronto e il dialogo serrati. Ma confronto e dialogo da alcuni lustri non fanno più parte del patrimonio della sinistra che, quando le riesce, ad essi preferisce il luccichio della pubblicità rampante. Ed è un senso tutto legato alle prossime elezioni europee, colto bene da Jacoviello che su Repubblica del 7 marzo scrive: "Se Occhetto sfonda (e per il segretario comunista sfondare significa fermare l'emorragia di voti) tutta la strategia di Craxi del cosiddetto riequilibrio a sinistra, subisce una battuta di arresto. Se non sfonda, l'obbiettivo si avvicina". Alla faccia della storica ricomposizione e della "casa comune".

Socialismo di stato in crisi
Da molto tempo ormai la sinistra non agisce più per la realizzazione coerente dei presupposti che ne avevano motivato la nascita, ma è spinta unicamente dal bisogno di affermarsi e di conquistare scranni di potere nella società che avrebbe dovuto abbattere o superare. Siamo ben lontani dai principi e dagli ideali che ispirarono il formarsi del movimento operaio organizzato. Questi risale al 1864, quando a Londra fu fondata l'Associazione Internazionale dei Lavoratori, per impulso di alcuni operai e artigiani francesi di ispirazione proudhoniana, da essa poi presero corpo tutte le tendenze che conteneva, diverse per metodo e strategia, ma tutte tese alla realizzazione di una concreta emancipazione delle classi lavoratrici dalla subordinazione capitalista.
In Italia, col congresso di Rimini del 1872, l'Internazionale nacque anarchica e prese nettamente le distanze dal consiglio generale di Londra che, negli otto anni che lo separavano dalla fondazione, era stato preso saldamente in mano da Marx, da cui aveva preso l'indirizzo autoritario e statalista. In seguito all'azione di Andrea Costa, dal suo seno sorse la tendenza parlamentarista, che propugnava la partecipazione alle istituzioni per pervenire al socialismo anticapitalista, anche se con l'intento iniziale di distruggerle. Nel '92 questa fondò il PSI, che fin dall'iniziò si definì riformista, prendendo nettamente le distanze dalla componente anarchica rimasta rivoluzionaria. Nel 1921, col congresso di Livorno, il PSI si scisse e ne uscì la corrente che aderiva all'ipotesi bolscevica della rivoluzione russa, il PCd'I, che propugnava la presa del potere per instaurare la dittatura del proletariato. Nel 1947, rifiutando ogni ipotesi frontista, dal seno del PSI si staccò il PSDI, che si richiamava alle ipotesi socialdemocratiche tedesche.
Oggi il socialismo di stato in tutte le sue forme, da quella socialdemocratica a quella bolscevica, è in crisi e sta dichiarando il suo fallimento. Non vuole più una società non capitalista completamente Statalizzata, magari con il miraggio leniniano che lo stato si estinguerà da solo. Il socialismo autoritario non riconosce più le ragioni per cui è sorto. Ma le sue organizzazioni sopravvivono e, caduto il loro senso originario, non vogliono morire. Ma vivono il dramma che devono dimostrare perché vogliono continuare ad esserci.