Rivista Anarchica Online
Albe teatro in bianco/nero
di Cristina Valenti
La storia del gruppo teatrale "Le
Albe", i suoi percorsi attraverso la teatralità di base e
l'impegno contro l'imperante razzismo con la costituzione di un
collettivo multietnico
Ravenna Africana (a cura di
Marco Martinelli Gabrieli, Ravenna, Edizioni Essegi, 1988, pp .128,
L.15.000) è il libro col quale il gruppo teatrale delle Albe
raccoglie e racconta la propria storia dal punto di vista della sua
più recente stagione, quella dell'incontro con l'Africa, o
meglio di: Ruh. Romagna più Africa uguale. Non è un'operazione arbitraria
né posticcia, nel caso delle Albe, quella di spiegare il
passato alla luce dell'identità e dell'esperienza presenti.
Esiste davvero una linea di sviluppo e coerenza nella storia delle
Albe, nella misura in cui gli spettacoli del gruppo hanno sempre in
qualche modo testimoniato dette vicende e dei percorsi personali dei
suoi membri. Le ragioni e l'ostinazione delle origini, alimentate e
maturate nella cultura di teatralità "di base" degli
anni Settanta, non hanno cessato di agire nel gruppo come impulsi
concreti: nel senso di una professionalità da conquistare con
rigore, ma al di fuori di ogni accademismo, e nel senso di un lavoro
artistico mai separato dalla dimensione dell'impegno intellettuale e
politico. Gli spettacoli delle Albe hanno messo in scena ogni volta
momenti di sperimentazione originali (dal punto di vista dell'uso dei
materiali, degli spazi e dei linguaggi), che erano anche
testimonianze di incontri intellettuali e prese di posizione
politiche. Sempre nei modi del teatro, ma fuori e dentro la scena:
come impone la dimensione produttiva del "gruppo". Le loro riflessioni e il loro teatro
hanno incontrato Büchner
e Philip Dick, la Cina e l'Africa, l'impegno ecologico e quello
antirazzista, mentre le loro scelte e l'organizzazione del loro
lavoro praticavano costantemente vie e logiche alternative a quelle
del sistema teatrale dominante. Fino alle recenti prese di posizione
contro lo yuppismo trionfante, anche a teatro, e il richiamo verso
una presa di coscienza complessiva da parte dei teatranti: "Possiamo
costruire "fuori" dalla scena qualcosa che contraddica il
modo di essere delle Albe "dentro" la scena?" scrive
Marco Martinelli Gabrieli nello scritto introduttivo. "No. Le
leggi compositive di una comunità teatrale come la nostra non
riguardano soltanto l'arte scenica, riguardano da vicino la struttura
produttiva. Non siamo solo quello che recitiamo, siamo anche ciò
che mangiamo. Si recita come si mangia, si mangia come si recita.
Quando abbiamo pensato alla Romagna africana, la prima domanda che ci
siamo posti, immediatamente, riguardo al lavoro, non era attorno a
problemi formali, ma: in che modo Iba, Abib e Khadim entrano a far
parte delle Albe? La risposta non ha tardato: Iba, Abib e Khadim
saranno Albe fino in fondo, come noi, con il nostro piccolo
stipendio, in un rapporto da pari a pari. Perché non è
sufficiente accumulare discorsi contro il razzismo. (...) Le
chiacchiere antirazziste non costano nulla, costa invece attivare
esperienze concrete, costruire, anche e soprattutto nel piccolo,
pezzi di società diversa, solidale, in un dialogo con culture
che hanno molto da insegnarci. (...) Lo sapevate, amici teatranti,
che la Banca Nazionale del Lavoro, quella che anticipa il denaro a
tutto il teatro italiano, dal Piccolo alle sperimentali, utilizza i
vostri soldi per combinare affari con il Sudafrica di Botha? Forza,
amici teatranti, un po' di obiezione bancaria!". Dell'ultimo spettacolo delle Albe, Ruh.
Romagna più Africa uguale, nato dall'immissione nel gruppo
di tre attori senegalesi, ex venditori ambulanti, il volume riporta
il testo, o meglio i materiali letterari, data l'irriproducibilità
di molti materiali scenici: dei ritmi, dei canti e delle danze, oltre
che dei linguaggi personali degli attori, il romagnolo di Ermanna e
l'wolof di Iba, Abib e Khadim. Il testo è offerto al lettore
nella sua essenzialità, senza alcun tentativo di restituzione
della scena mancante, come essenziale è in genere il gesto
teatrale delle Albe, per quanto si avvalga di codici e mezzi
comunicativi assolutamente "impuri" dal punto di vista
dell'arte teatrale. Già in I brandelli della Cina
che abbiamo in testa, lo spettacolo che ha preceduto
quest'ultimo, mi era capitato di osservare come il teatro delle Albe
fosse sistematicamente sottratto al racconto. Piuttosto, il
procedimento drammaturgico consisteva nel consegnare al pubblico un
insieme di esperienze (culturali, politiche, esistenziali,
attoriche), in un montaggio che non faceva ricorso ad alcuna
seduzione o patinatura. Piuttosto, la scelta era quella della
crudezza, degli attriti e della cacofonia amalgamante e vincolante:
definizione che bene si adatterebbe al "dialetto di ferro"
di cui scrive Ermanna Montanari in una pagina dei "Materiali
della trilogia africana", contenuti nel libro.
Del proprio mondo di esperienze,
tumultuoso e non disponibile ad essere pacificato, gli attori si
investono sulla scena, facendosene carico di fronte ad un pubblico
chiamato ad essere testimone, come la bambina seduta al posto d'onore
in Brandelli di Cina, testimone anche della secolare
alienazione della testimonianza operata dalla Storia. E di nuovo, e
con più forza, data l'ulteriore "dissintonia"
cercata e introdotta con il contributo senegalese, la scena dà
corpo e voce alle esperienze, la Storia è chiamata in causa,
in Ruh, e si fa personaggio nel Prologo introducendo i vari
personaggi di una storia più piccola e grigia: fattorini, il
succube del mitico e invocato Raul (Gardini), Vincenzo Balsamo,
l'informatore di Cristo, ovvero l'occidente missionario e rapinatore,
e quindi il sud dei senegalesi (che non manca di portare con sé
le proprie ferite, come testimonia la coca-cola gigantesca con la
quale pasteggiano).
Oltre al testo dello spettacolo, il
volume contiene lo scritto introduttivo di Marco Martinelli Gabrieli,
che abbiamo già ricordato, e del quale pubblichiamo un brano,
alcune testimonianze interne e appunti di lavoro ("Materiali
della trilogia africana"), e nove "sguardi" esterni:
di storici, critici, o compagni di strada.
Atto I. Vu cumprà? La gente mormora.
Che ci fanno questi venditori ambulanti
in platea? Che se ne vadano in spiaggia, a vendere, quello è
il loro posto!
Abib, Abe e Khadim portano tappeti
sulle spalle: vendono orologi, accendini, elefanti. Nonna vui
cumprare? Vu cumprà? Ehi, bella signorina, accendino?
Orologio, bello orologio. Su ragazzo compra accendino pochi soldi
mille lire compri uno paghi due, su ragazzo...
La gente mormora: ma chi li autorizza?
La direzione del teatro è impazzita... forse ha un ritorno
sulle vendite... Quanto costa l'accendino? Mille? Ma funziona? Vatti
a fidare.
Al tabacchi ne spendo duemila... va
bene dammelo... non ti bastano 500 lire? No? Li senti questi
negretti, parlano l'italiano con la cadenza romagnola! Da dove vieni,
Gullit? Da Dakar? Quanti abitanti fa Dakar?
Atto II. Arriva l'uomo nero. La luce in platea si spegne senza
preavviso. Nel buio assoluto Abib, Iba e Khadim gridano come
impazziti. Gridano come se fossero in pericolo. Gridano come se
stesse per esplodere qualcosa. Nel buio cresce una foresta di parole
incomprensibili e urla misteriose. Il pubblico è all'inferno.
Nel cuore dell'inferno. In uno spazio oscuro, dove non esistono più
palchi, stucchi, lampadari. Al buio si apre il sipario: dalla cavità
profonda della scena emerge una voce: è la Madre, in piedi sul
pozzo al centro della scena.
Una fascia nera le nasconde il volto:
il dialetto romagnolo della Madre si intreccia al linguaggio africano
della platea, formando grumi densi e morbidi di suoni.
La Madre evoca i fantasmi
dell'infanzia, quando per zittire i bambini gli si dice di fare i
buoni, se no arriva l'uomo nero, se non sei buona l'uomo nero lo sa!
Ti porterà in un paese dove patirai la fame, dove patirai il
freddo, e tu potrai gridare e tu potrai piangere ma nessuno ti
sentirà. Arriverà di notte... busserà alla tua
finestra... con le sue unghie a uncino con i suoi occhi di carbone
con la sua faccia feroce, entrerà nella stanza da letto e ti
porterà lontano dove patirai la fame, dove patirai il
freddo... arriverà di notte... avrà un lupo nero e un
lungo terribile coltello!
Le grida di Abib, Iba e Khadim si sono
sciolte in un canto, una nenia dolce e triste. Salgono sul
palcoscenico, stendono i tappeti a terra.
Rivolti alla platea, le mani congiunte
al petto, guardano nel buio come chi prega, come chi dorme, come i
morti che ricomponiamo nell'immagine. La voce della Madre è
profonda come il pozzo che sostiene la sua figura minuta. Khadim va
al pozzo: alto com'è, svela il volto della Madre togliendole
la fascia scura. La Madre ha gli occhi chiusi: ora bisbiglia parole
inaudibili.
Atto XII. Bentornati (...)
Madre: Bentornati
Bentornati
Bentornati
a queste spiagge
gremite di turisti.
Chi abita il nord
del mondo
fuma Camel
e guarda il
cammello sul pacchetto
e guarda voi
smerciare Lacoste
a basso prezzo
e si dice
perché
vengono qui?
perché non
se ne stanno a casa loro?
La gente ha sempre
una domanda intelligente
da farsi
prima di
addormentarsi.
E chiacchiera
chiacchiera sotto
l'ombrellone
e compra le
magliette false a basso prezzo
e gli orologi
gialli e gli elefanti
e dice
il mondo va a
rotoli
i neri sono belle
statue in campo
e segnano tante
reti
ma questi
cosa vengono a
cercare qui?
Non hanno voglia
di lavorare il campo
laggiù in
Africa!
La gente ha sempre
una frase storica
sul comodino prima di
addormentarsi.
E ruba al vostro
mare tutti i pesci
e ruba alla vostra
terra tutto l'oro
e ruba alla vostra
scodella tutto il grano
e dice
non è colpa
nostra se prima di loro
abbiamo inventato
la stampa
non è colpa
nostra se prima di loro
abbiamo inventato
la polvere da sparo
non è colpa
nostra se prima di loro
abbiamo inventato
la mercatura
anche in Atene
c'erano gli schiavi
e le statue
perfette, dorate !
Orsù,
artisti, datevi da fare!
Occhi e cervelli neri
Nel maggio '87, avvertendo tensioni
simili alle nostre anche in altre formazioni, abbiamo realizzato
Romagna mia, un progetto di "resistenza teatrale e
musicale" curato insieme alla Società Raffaello Sanzio e
al Teatro Due Mondi. Romagna mia inaugurò la sua tre
giorni con una lezione di geologia ribollente: la Romagna è
l'Africa. In platea, al Goldoni di Bagnacavallo,
un gruppo di senegalesi che avevamo chiamato a dimostrazione pratica
dell'equazione geologica, simbolo vivente delle nostre radici
"scure". Scure erano anche le facce di alcuni romagnoli tra
il pubblico. Qualche fischio, qualche risata,
qualche applauso per quella che pareva una trovata alla Ferrini.
Macché Ferrini! O Fellini!. Noi sapevamo bene che si trattava di
scienza, non di fantascienza. E poi, in fondo, i romagnoli non sono
sempre stati considerati i terroni del nord? La geologia Albe
alludeva ad un rovesciamento di prospettiva: non i Paesi
sottosviluppati, ma quelli sviluppati debbono pagare i propri debiti,
dopo secoli di rapine a mano armata e sfruttamento. I neri stanno
giungendo a frotte, vengono a scoprire la "loro Europa",
dopo tonnellate di colonialismo rosa, romanzi e cinema sulla "mia",
"tua", "nostra Africa". (…) Lì maturò in noi la
convinzione che l'intreccio tra la cultura "bianca" e la
cultura di questi alieni "invasori", era possibile
pensarlo, teatralmente, soltanto mettendo in scena occhi e cervelli
neri. Così le Albe sono diventate
afro-romagnole, acquisendo Iba Babou, Abibou Ndiaye e Khadim Thian,
venditori ambulanti fino al dicembre '87, ora soci stabili della
cooperativa (nella migliore tradizione romagnola). Così le
Albe hanno scritto Ruh. Romagna più Africa uguale, un
lavoro su Ravenna, ancora una volta, e sul mare agonizzante, sui
malati di Raul e la svendita a basso prezzo del cristianesimo,
sull'acida e insieme vampiresca angoscia che tiene in piedi il Nord e
sulla vitalità disperata del Sud, sul nero, colore di lutto
per gli europei, simbolo di fecondità, della terra fertile e
delle nubi gonfie di pioggia, per gli africani: e infine
sull'entusiasmo (il "dio in noi"), che è tale quando
ci fa respirare all'unisono con la Grande Madre e le sue diecimila
creature.
Marco Martinelli Gabrieli (dal
capitolo "Il teatro polittttttico della Albe"
dell'introduzione a "Ravenna africana")
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