Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

Albe teatro in bianco/nero
di Cristina Valenti

La storia del gruppo teatrale "Le Albe", i suoi percorsi attraverso la teatralità di base e l'impegno contro l'imperante razzismo con la costituzione di un collettivo multietnico

Ravenna Africana (a cura di Marco Martinelli Gabrieli, Ravenna, Edizioni Essegi, 1988, pp .128, L.15.000) è il libro col quale il gruppo teatrale delle Albe raccoglie e racconta la propria storia dal punto di vista della sua più recente stagione, quella dell'incontro con l'Africa, o meglio di: Ruh. Romagna più Africa uguale.
Non è un'operazione arbitraria né posticcia, nel caso delle Albe, quella di spiegare il passato alla luce dell'identità e dell'esperienza presenti. Esiste davvero una linea di sviluppo e coerenza nella storia delle Albe, nella misura in cui gli spettacoli del gruppo hanno sempre in qualche modo testimoniato dette vicende e dei percorsi personali dei suoi membri. Le ragioni e l'ostinazione delle origini, alimentate e maturate nella cultura di teatralità "di base" degli anni Settanta, non hanno cessato di agire nel gruppo come impulsi concreti: nel senso di una professionalità da conquistare con rigore, ma al di fuori di ogni accademismo, e nel senso di un lavoro artistico mai separato dalla dimensione dell'impegno intellettuale e politico. Gli spettacoli delle Albe hanno messo in scena ogni volta momenti di sperimentazione originali (dal punto di vista dell'uso dei materiali, degli spazi e dei linguaggi), che erano anche testimonianze di incontri intellettuali e prese di posizione politiche. Sempre nei modi del teatro, ma fuori e dentro la scena: come impone la dimensione produttiva del "gruppo".
Le loro riflessioni e il loro teatro hanno incontrato Bü
chner e Philip Dick, la Cina e l'Africa, l'impegno ecologico e quello antirazzista, mentre le loro scelte e l'organizzazione del loro lavoro praticavano costantemente vie e logiche alternative a quelle del sistema teatrale dominante. Fino alle recenti prese di posizione contro lo yuppismo trionfante, anche a teatro, e il richiamo verso una presa di coscienza complessiva da parte dei teatranti: "Possiamo costruire "fuori" dalla scena qualcosa che contraddica il modo di essere delle Albe "dentro" la scena?" scrive Marco Martinelli Gabrieli nello scritto introduttivo. "No. Le leggi compositive di una comunità teatrale come la nostra non riguardano soltanto l'arte scenica, riguardano da vicino la struttura produttiva. Non siamo solo quello che recitiamo, siamo anche ciò che mangiamo. Si recita come si mangia, si mangia come si recita. Quando abbiamo pensato alla Romagna africana, la prima domanda che ci siamo posti, immediatamente, riguardo al lavoro, non era attorno a problemi formali, ma: in che modo Iba, Abib e Khadim entrano a far parte delle Albe? La risposta non ha tardato: Iba, Abib e Khadim saranno Albe fino in fondo, come noi, con il nostro piccolo stipendio, in un rapporto da pari a pari. Perché non è sufficiente accumulare discorsi contro il razzismo. (...) Le chiacchiere antirazziste non costano nulla, costa invece attivare esperienze concrete, costruire, anche e soprattutto nel piccolo, pezzi di società diversa, solidale, in un dialogo con culture che hanno molto da insegnarci. (...) Lo sapevate, amici teatranti, che la Banca Nazionale del Lavoro, quella che anticipa il denaro a tutto il teatro italiano, dal Piccolo alle sperimentali, utilizza i vostri soldi per combinare affari con il Sudafrica di Botha? Forza, amici teatranti, un po' di obiezione bancaria!".
Dell'ultimo spettacolo delle Albe, Ruh. Romagna più Africa uguale, nato dall'immissione nel gruppo di tre attori senegalesi, ex venditori ambulanti, il volume riporta il testo, o meglio i materiali letterari, data l'irriproducibilità di molti materiali scenici: dei ritmi, dei canti e delle danze, oltre che dei linguaggi personali degli attori, il romagnolo di Ermanna e l'wolof di Iba, Abib e Khadim. Il testo è offerto al lettore nella sua essenzialità, senza alcun tentativo di restituzione della scena mancante, come essenziale è in genere il gesto teatrale delle Albe, per quanto si avvalga di codici e mezzi comunicativi assolutamente "impuri" dal punto di vista dell'arte teatrale. Già in I brandelli della Cina che abbiamo in testa, lo spettacolo che ha preceduto quest'ultimo, mi era capitato di osservare come il teatro delle Albe fosse sistematicamente sottratto al racconto. Piuttosto, il procedimento drammaturgico consisteva nel consegnare al pubblico un insieme di esperienze (culturali, politiche, esistenziali, attoriche), in un montaggio che non faceva ricorso ad alcuna seduzione o patinatura. Piuttosto, la scelta era quella della crudezza, degli attriti e della cacofonia amalgamante e vincolante: definizione che bene si adatterebbe al "dialetto di ferro" di cui scrive Ermanna Montanari in una pagina dei "Materiali della trilogia africana", contenuti nel libro.
Del proprio mondo di esperienze, tumultuoso e non disponibile ad essere pacificato, gli attori si investono sulla scena, facendosene carico di fronte ad un pubblico chiamato ad essere testimone, come la bambina seduta al posto d'onore in Brandelli di Cina, testimone anche della secolare alienazione della testimonianza operata dalla Storia. E di nuovo, e con più forza, data l'ulteriore "dissintonia" cercata e introdotta con il contributo senegalese, la scena dà corpo e voce alle esperienze, la Storia è chiamata in causa, in Ruh, e si fa personaggio nel Prologo introducendo i vari personaggi di una storia più piccola e grigia: fattorini, il succube del mitico e invocato Raul (Gardini), Vincenzo Balsamo, l'informatore di Cristo, ovvero l'occidente missionario e rapinatore, e quindi il sud dei senegalesi (che non manca di portare con sé le proprie ferite, come testimonia la coca-cola gigantesca con la quale pasteggiano).
Oltre al testo dello spettacolo, il volume contiene lo scritto introduttivo di Marco Martinelli Gabrieli, che abbiamo già ricordato, e del quale pubblichiamo un brano, alcune testimonianze interne e appunti di lavoro ("Materiali della trilogia africana"), e nove "sguardi" esterni: di storici, critici, o compagni di strada.



Atto I. Vu cumprà?
La gente mormora.
Che ci fanno questi venditori ambulanti in platea? Che se ne vadano in spiaggia, a vendere, quello è il loro posto!
Abib, Abe e Khadim portano tappeti sulle spalle: vendono orologi, accendini, elefanti. Nonna vui cumprare? Vu cumprà? Ehi, bella signorina, accendino? Orologio, bello orologio. Su ragazzo compra accendino pochi soldi mille lire compri uno paghi due, su ragazzo...
La gente mormora: ma chi li autorizza? La direzione del teatro è impazzita... forse ha un ritorno sulle vendite... Quanto costa l'accendino? Mille? Ma funziona? Vatti a fidare.
Al tabacchi ne spendo duemila... va bene dammelo... non ti bastano 500 lire? No? Li senti questi negretti, parlano l'italiano con la cadenza romagnola! Da dove vieni, Gullit? Da Dakar? Quanti abitanti fa Dakar?

Atto II. Arriva l'uomo nero.
La luce in platea si spegne senza preavviso. Nel buio assoluto Abib, Iba e Khadim gridano come impazziti. Gridano come se fossero in pericolo. Gridano come se stesse per esplodere qualcosa. Nel buio cresce una foresta di parole incomprensibili e urla misteriose. Il pubblico è all'inferno. Nel cuore dell'inferno. In uno spazio oscuro, dove non esistono più palchi, stucchi, lampadari. Al buio si apre il sipario: dalla cavità profonda della scena emerge una voce: è la Madre, in piedi sul pozzo al centro della scena.
Una fascia nera le nasconde il volto: il dialetto romagnolo della Madre si intreccia al linguaggio africano della platea, formando grumi densi e morbidi di suoni.
La Madre evoca i fantasmi dell'infanzia, quando per zittire i bambini gli si dice di fare i buoni, se no arriva l'uomo nero, se non sei buona l'uomo nero lo sa! Ti porterà in un paese dove patirai la fame, dove patirai il freddo, e tu potrai gridare e tu potrai piangere ma nessuno ti sentirà. Arriverà di notte... busserà alla tua finestra... con le sue unghie a uncino con i suoi occhi di carbone con la sua faccia feroce, entrerà nella stanza da letto e ti porterà lontano dove patirai la fame, dove patirai il freddo... arriverà di notte... avrà un lupo nero e un lungo terribile coltello!
Le grida di Abib, Iba e Khadim si sono sciolte in un canto, una nenia dolce e triste. Salgono sul palcoscenico, stendono i tappeti a terra.
Rivolti alla platea, le mani congiunte al petto, guardano nel buio come chi prega, come chi dorme, come i morti che ricomponiamo nell'immagine. La voce della Madre è profonda come il pozzo che sostiene la sua figura minuta. Khadim va al pozzo: alto com'è, svela il volto della Madre togliendole la fascia scura. La Madre ha gli occhi chiusi: ora bisbiglia parole inaudibili.


Atto XII. Bentornati
(...)
Madre:
Bentornati
Bentornati
Bentornati
a queste spiagge gremite di turisti.
Chi abita il nord del mondo
fuma Camel
e guarda il cammello sul pacchetto
e guarda voi
smerciare Lacoste a basso prezzo
e si dice
perché vengono qui?
perché non se ne stanno a casa loro?
La gente ha sempre una domanda intelligente
da farsi
prima di addormentarsi.
E chiacchiera
chiacchiera sotto l'ombrellone
e compra le magliette false a basso prezzo
e gli orologi gialli e gli elefanti
e dice
il mondo va a rotoli
i neri sono belle statue in campo
e segnano tante reti
ma questi
cosa vengono a cercare qui?
Non hanno voglia di lavorare il campo
laggiù in Africa!
La gente ha sempre una frase storica
sul comodino
prima di addormentarsi.
E ruba al vostro mare tutti i pesci
e ruba alla vostra terra tutto l'oro
e ruba alla vostra scodella tutto il grano
e dice
non è colpa nostra se prima di loro
abbiamo inventato la stampa
non è colpa nostra se prima di loro
abbiamo inventato la polvere da sparo
non è colpa nostra se prima di loro
abbiamo inventato la mercatura
anche in Atene c'erano gli schiavi
e le statue perfette, dorate !
Orsù, artisti, datevi da fare!

Occhi e cervelli neri

Nel maggio '87, avvertendo tensioni simili alle nostre anche in altre formazioni, abbiamo realizzato Romagna mia, un progetto di "resistenza teatrale e musicale" curato insieme alla Società Raffaello Sanzio e al Teatro Due Mondi. Romagna mia inaugurò la sua tre giorni con una lezione di geologia ribollente: la Romagna è l'Africa.
In platea, al Goldoni di Bagnacavallo, un gruppo di senegalesi che avevamo chiamato a dimostrazione pratica dell'equazione geologica, simbolo vivente delle nostre radici "scure". Scure erano anche le facce di alcuni romagnoli tra il pubblico.
Qualche fischio, qualche risata, qualche applauso per quella che pareva una trovata alla Ferrini. Macché Ferrini! O Fellini!.
Noi sapevamo bene che si trattava di scienza, non di fantascienza. E poi, in fondo, i romagnoli non sono sempre stati considerati i terroni del nord? La geologia Albe alludeva ad un rovesciamento di prospettiva: non i Paesi sottosviluppati, ma quelli sviluppati debbono pagare i propri debiti, dopo secoli di rapine a mano armata e sfruttamento. I neri stanno giungendo a frotte, vengono a scoprire la "loro Europa", dopo tonnellate di colonialismo rosa, romanzi e cinema sulla "mia", "tua", "nostra Africa". (…)
Lì maturò in noi la convinzione che l'intreccio tra la cultura "bianca" e la cultura di questi alieni "invasori", era possibile pensarlo, teatralmente, soltanto mettendo in scena occhi e cervelli neri.
Così le Albe sono diventate afro-romagnole, acquisendo Iba Babou, Abibou Ndiaye e Khadim Thian, venditori ambulanti fino al dicembre '87, ora soci stabili della cooperativa (nella migliore tradizione romagnola). Così le Albe hanno scritto Ruh. Romagna più Africa uguale, un lavoro su Ravenna, ancora una volta, e sul mare agonizzante, sui malati di Raul e la svendita a basso prezzo del cristianesimo, sull'acida e insieme vampiresca angoscia che tiene in piedi il Nord e sulla vitalità disperata del Sud, sul nero, colore di lutto per gli europei, simbolo di fecondità, della terra fertile e delle nubi gonfie di pioggia, per gli africani: e infine sull'entusiasmo (il "dio in noi"), che è tale quando ci fa respirare all'unisono con la Grande Madre e le sue diecimila creature.

Marco Martinelli Gabrieli
(dal capitolo "Il teatro polittttttico della Albe" dell'introduzione a "Ravenna africana")