Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Dispetti nel laboratorio della vita sociale

Accettiamo per un attimo l'idea che una cultura possa attecchire e diffondersi più o meno come un'epidemia: un germe si stacca per chissà quale accidente della Storia dalla cultura A e finisce dritto nella cultura B. Ne consegue? A parere di Etienne Chatilliez, regista beffarda di La vita è un lungo fiume tranquillo, conseguono un mucchio di cose, tante da farci un film - che può dar da pensare, che può divertire, che può perfino irritare coloro che amano credere ad una vita tutta logica e coerenza, almeno fin quando questa logica e coerenza si manifesta in personali vantaggi. Si dia il caso, o il destino (o la provvidenza, o la congiura), che nel reparto di ostetricia il contenuto delle due culle venga scambiato (c'è un ricatto costruito su argomento analogo in C'era una volta in America di Sergio Leone; è una soluzione narrativa tipica del feuilleton ottocentesco), per puro dispetto di un'infermiera delusa da un primario amante fedifrago (un Daniel Gelìn deliziosamente infingardo), ecco invertirsi le strade nella vita dei due ignari bebè: quello nato povero è indirizzato alla cultura alto-borghese e quello nato ricco è indirizzato alla cultura della sopravvivenza urbana.
Ma non è tutto qui: lo scambio effettuato una volta rappresenta un investimento per il futuro, anche per anni. E infatti, al rinnovo del dispetto, all'ennesimo insulto del primario all'infermiera, ecco la pubblica confessione che innesca il meccanismo in tutta la sua perversità: i bebè sono diventati grandicelli, ma la morale borghese - una specie di cattiva coscienza di classe - non può permettersi il lusso di far finta di nulla e lasciare che le cose ormai avviate abbiano il loro corso. Ecco dunque il ragazzino-germe di tipo A che viene ad "infettare" la cultura B.
Il divertimento nostro di spettatori è allora assicurato dal periodo che potremmo definire d'incubazione (il ragazzino impara velocemente le regole del suo nuovo ambiente, non dimentica le regole dell'ambiente precedente, individua e attacca i punti deboli), nonché dal periodo che potremmo definire d'infezione (le regole si trasformano, soprattutto si trasgrediscono, ma se dapprima la trasgressione sembra solo affare del ragazzino, presto si scopre che la trasgressione è affare di tutti; il sistema di certezze rappresentativo della cultura d'arrivo viene inficiato dal sistema di certezze della cultura di partenza; l'istituzione familiare perde gradualmente e sempre più indecorosamente la sua solidità; le figure dell'iconologia borghese si rivelano in tutta la loro frustrata animalità; la stasi asettica lascia il posto a tutto un pullulare batterico...). E non c'è, ovviamente, trauma finale, collasso, bensì una nuova "normalità", forse una cultura C - mentre infermiera e primario, il terzo che non gode, si sopportano, lontani e dimentichi, fra sopore e rancori.
Questa Chatilliez dunque - regista già di gran bravura, di tocco delicato, narratrice arguta e semplice, cui si può facilmente perdonare qualche scorciatoia di troppo per giungere prima alla meta - è di quelli che, pur facendo cinema, non si tira indietro quando c'è da prendere di petto la morale. Il suo intreccio è congegnato perché la tesi risulti con la stessa immediatezza di un calcolo: da questo punto di vista, può ricordare il Milius dell'ultimo Addio al re, ma senza condividerne la pesante didascalicità, né le sottili ambiguità ideologiche (un individualismo anarcoide, quello del Milius, tutto filtrato attraverso la mitologia americana). Le può venir attribuita la responsabilità di trattare la vita e le sue vicende come fosse il "piccolo chimico", ma non le si può negare il merito di aver messo le mani sui componenti giusti, nonché di saperli miscelare e ri-liberare con allegra intelligenza.
È una pessimista? Di quelli che a bagno nel fiume della vita non trova nulla di fermo cui aggrapparsi? Di quelli che ritengono caso-destino-provvidenza-congiura non un contrassegno indelebile degli eventi ma un banale, e perlopiù inconsapevole, modo di considerarli, questi eventi? Sì, lo è, è una pessimista di questo tipo. Un merito in più.