Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

Una moto per...
di Roberto Gimmi

La moto nelle esperienze e nelle riflessioni di un militante anarchico, che ha voluto stendere sulla carta il suo rapporto con un mezzo da sempre al centro di odii e amori radicali.

Vorrei attirare l'attenzione e l'interesse della rivista su un fenomeno molto particolare che è il "mondo motociclistico". Il proposito è quello di presentare alcuni aspetti di tale mondo che a mio parere sono molto interessanti. Prima di affrontarlo ritengo doveroso sgombrare il lettore da eventuali pregiudizi e luoghi comuni che possono porre delle barriere per capire e conoscere le persone e le cose.
La prima perplessità è, infatti, di chiedersi cosa possa aver a che fare l'anarchia con un mezzo meccanico. Come anarchici, come "filosofi della libertà" e "scienziati della libertà" abbiamo la pretesa di interessarci a tutte le manifestazioni che possono aiutarci a capire e conoscere il fenomeno della "libertà" per coglierne i suoi mutamenti. Infatti l'anarchico non deve ficcare la testa nella sabbia dei luoghi comuni, degli slogan e della routine militante, ma deve continuamente sforzarsi di non considerare mai definitive le risposte, deve imparare a vivere e ad agire in mezzo ad una selva di punti di domanda, perché sia la propaganda dottrinale sia le situazioni di fatto esigono una continua messa a punto. L'anarchismo non è una ripetizione, un'autogiustificazione, una ideologia, ma l'"interrogations" e l'inquietudine. Ora, con un atteggiamento rilassato, più aperto e disponibile, cercherò di mettere in contatto coloro che della libertà hanno fatto una politica, con coloro, i "centauri", che della libertà hanno un grande desiderio.
Nonostante l'immagine del motociclista sia quella da mezzo delinquente e pazzo spericolato che fin troppo facile giornalismo "da spiaggia" gli ha affibbiato, la moto si è conquistata il suo angolo di storia nella cultura di ieri e di oggi come veicolo anche di espressione, fuga, rivolta, libertà ed avventura.
Nella letteratura il libro di Robert Pirsig "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" è ormai un classico, dove il protagonista si gode, insieme al figlio, il proprio mezzo a due ruote, in un viaggio apparentemente senza meta alla ricerca di se stesso e della qualità della vita. Nel cinema ci sono dei film che sono diventati mito e leggenda. Steve McQueen, ne "La grande fuga", scappando da un campo di prigionia, gioca la sua ultima carta e tenta in sella ad una moto il disperato salto del reticolato di frontiera. Marlon Brando ne "Il selvaggio" con la sua Triumph, il giubbotto di pelle nera sulla T-Shirt bianca ha caratterizzato generazioni di ribelli.
Infine vi è l'ormai storico e mitico film "Easy riders" dove i protagonisti su potenti Choppers sono in viaggio per recarsi a festeggiare il Carnevale, ma il loro aspetto e modus vivendi, il loro essere "diversi", non è gradito ai benpensanti di una cittadina di passaggio, dove verranno barbaramente uccisi.

Libertà e avventura
A questo punto l'immagine del motociclista o meglio la sua immagine culturale è quella dell'individualista, del ribelle, del desideroso di libertà ed avventura, che entra a far parte di un mondo di minoranze emarginate in cerca di affermazione e identità. Qualcuno obietterà che questa è solo l'immagine culturale, che nella realtà il motociclista è ben diverso: egocentrico, esibizionista, maschilista, misogino, fascista, ubriacone, drogato, teppista, delinquente, spericolato, smanettone ecc...
Non voglio negare che nella tipologia del motociclista siano presenti queste componenti, ma non ne rappresentano la maggioranza. È
vero che si dà sfogo alla propria eccentricità, virilità, si è alla ricerca di sensazioni edonistiche, dell'ebbrezza velocistica e dell'attenzione altrui alle cromature splendenti. Ma il centauro è anche un'altra cosa, non è solo colui che parla di pistoni, carburatori e marmitte. Non tutti sono "figli di papà" che cambiano la moto ogni anno per avere sempre l'ultimo modello da mostrare agli amici del bar. Per la maggior parte la moto è interpretata come compagna di viaggio, come amica, come elemento distintivo di appartenenza al gruppo, è un modo come un altro per stare insieme agli amici, per passare il proprio tempo libero, è un mezzo di trasporto per recarsi quotidianamente al lavoro, è un mezzo utilitario maneggevole ed economico nei consumi, è il mezzo tecnologico più umano per avvicinarsi alla natura, è una gratificante sensazione di libertà. Oggi la moto nonostante sia un prodotto della nostra società consumistica, assume quindi significati culturali differenti. Rientra nell'aspirazione umana di conoscere, viaggiare, esplorare.
Tra i tanti mezzi di locomozione motorizzati la moto è l'unico mezzo che non ti separa dalle cose, che non ti trasforma in osservatore passivo, ti fa sentire parte delle cose stesse. La motocicletta ha una specie di personalità, crea una specie di simbiosi con l'uomo, un rapporto di identificazione difficilmente riscontrabile in relazione ad altri mezzi di locomozione, non è solo un motore con due ruote, è un cavallo tecnologico che si sostituisce al suo predecessore quadrupede per esigenze di epoche, di tempi e di cultura. Il tempo che si dedica a lei è come quello del cavaliere che cura il suo cavallo, perché sa che dalla sua "efficienza e salute" può dipendere, a volte, la sua stessa vita.
Oggi la moto non è un lusso per pochi eletti, è un'esigenza, una necessità, un'alternativa, una scelta.
È la risposta a vivere in maniera più umana l'alienazione e lo stress del traffico ormai elefantiaco, non solo nel caos cittadino ma anche in vacanza e nelle gite, con code ormai lunghe chilometri e chilometri.
È la risposta di molti alla massificazione, al non venire più schiacciati, spinti, palpati, calpestati nei mezzi pubblici ormai paranoici, dove arrivi a odiare chi ti sta vicino perché ti è salito sui piedi, perché emette cattivi odori, perché ti mette il gomito nello stomaco, o l'ombrello e la borsa contro le p...
Con questo non voglio sostenere che tutti devono andare in moto, ma solo far notare che pur restando un mezzo scelto soprattutto dai giovani, rimane una scelta esistenziale con una sua filosofia, caratterizzata appunto da un senso di libertà, anche se ancora potenziale, ma che può diventare consapevolezza della propria e dell'altrui libertà. Un senso di libertà che ha voglia di viaggiare, che è alla ricerca dell'avventura, che rifiuta la vita alienata con la solita ricerca del nulla, che rifiuta di sedersi in poltrona a guardare la TV.
"Se il viaggio in moto è libertà che lo sia fino in fondo. L'Aventure c'est l'Aventure, ou non?" direbbe un Motard (più avanti spiegherò chi sono).
L'Avventura in moto è tutta da gustare con il sottile piacere del rischio e dell'imprevisto sempre a portata di mano, ma anche con il piacere ritrovato quando si raggiungono comodità abbandonate a lungo, quando si riscopre l'importanza di un letto, una doccia ed anche semplicemente l'acqua, il carburante, qualcuno che vende qualcosa di commestibile.
L'Avventura in moto, una di quelle vacanze che rendono il rientro a casa quasi sognato, ma che subito dopo fanno desiderare di ripartire di nuovo. Perché è forse dell'uomo avere la necessità di confrontarsi, per lo più con se stesso, in ambienti ostili e difficili. Chi ama la moto non può non amare i grandi spazi e sicuramente è un tipo che è disposto a patire il disagio per gustare il più immediato contatto con quanto lo circonda. C'è chi vuole circondarsi del nulla del deserto, chi di una natura rigogliosa, chi dei pascoli d'alta montagna, ecc...
La vacanza non è soltanto evasione, ma anche il desiderio di un nuovo modo di vivere, è la ricerca di un soggiorno intelligente con la scoperta della natura.
Qualcuno potrebbe obiettare che non è difficile comprendere come il gusto dell'avventura, di passare pericolosamente e disagiatamente il proprio tempo libero, possa nascere e prosperare solo in una società che ha risolto i suoi bisogni primari e più impellenti, dal cibo alla casa, al lavoro, ai tanti gadget compagni di una vita consumistica all'interno di una economia capitalista.

Discriminazioni e ingiustizie
Questo è senz'altro vero, ma è anche vero che ai contenuti conformistici della società si alternano quelli anti-conformistici, dovuti in questo caso alla ricerca esistenziale di quel senso di libertà presente in ogni motociclista. Senso di libertà che spesso si scontra con le istituzioni e con la burocrazia.
Basta sfogliare le pagine delle riviste specializzate come "Motociclismo", "Tuttomoto", "La Moto", "In Moto", per rendersi conto delle discriminazioni e ingiustizie, che spesso colpiscono il centauro , tanto che da più parti si parla di difesa dei diritti del motociclista; nelle pagine della rivista "Motociclismo" è stato dedicato uno spazio a questo problema, una specie di rubrica "Ma chi difende il motociclista?".
Chi sceglie la moto si rende subito conto che il suo rapporto di cittadino nei confronti dell'autorità è a senso unico, non riceve niente in cambio. Dall'Iva all'assicurazione, dai garage ai parcheggi, dalle condizioni stradali ai divieti di circolazione per soli motociclisti, a episodi di vero e proprio abuso se non di razzismo, fa sì che il motociclista si senta quasi come un perseguitato.
Tipico esempio dell'atteggiamento istituzionale è la Francia, dove la legge è ancora più discriminatoria e ottusa che in Italia. Infatti l'11 aprile '87, migliaia di "Motard" invasero il centro di Parigi per protestare contro tale situazione. In Germania in settembre, a Vechta, in provincia di Hannover, i motociclisti esasperati dalle continue contravvenzioni inflitte loro per sosta vietata, si sono "vendicati" posteggiando in massa nei parcheggi regolari della strada principale. Spaventati dall'improvvisa invasione, i vigili adesso chiudono un occhio. In Italia alcuni Moto Club hanno intrapreso la via giudiziaria con esposti-denuncia per combattere i divieti esclusivi dei Comuni ai soli motociclisti e alla "bocciardatura" del manto stradale, molto pericolosa per la sicurezza di chi guida una moto.
Quindi questa situazione istituzionalmente discriminatoria, fa sentire il centauro come vittima e perseguitato, si viene così a creare una specie di solidarietà, uno strano e malinteso sentimento di classe.
In Francia, infatti, i "Motard" costituiscono casta a sé. Chi sono i Motard? "Motard" in Francia ha un significato il più delle volte spregiativo. Il termine, in francese ortodosso, non esiste. Semplicemente vuol dire motociclista, ma la fantasia popolare lo ha mescolato con "petard": scoppio, fracasso. Quasi a voler sottolineare che in Francia i motociclisti non sono molto amati. Non esiste in Francia il motociclista interclassista. In Italia la tipologia del centauro è più variegata, va dall'operaio all'impiegato su Guzzi, al libero professionista o bancario su BMW ecc...
In Francia tutto ciò non esiste. L'identikit del Motard è molto più omogeneo. Di estrazione sociale sempre modesta, è giovane (il 90 per cento, dicono le statistiche, ha meno di 30 anni) ed ogni fine mese è per lui un incubo. Il suo status socio-economico non brilla, proprio come la marmitta della sua moto. Di media-grossa cilindrata e con almeno 30.000 chilometri all'anno registrati dal contachilometri.
Il Motard-tipo è un duro, cavalca la sua moto come si cavalca uno strumento di contestazione di un certo tipo di società. Tuta nera, non sempre impeccabile, il motociclista francese è quello con il maggior numero di ore passate in sella, ancor più dei tedeschi. È una razza a parte, che gli automobilisti non capiscono e non apprezzano. Basta aggirarsi ogni anno, all'inizio dell'autunno, tra il pubblico del mitico "Bol d'Or" per comprendere la situazione. Migliaia di Motard sono lì riuniti per il grande rito annuale, per il supremo momento di rivendicazione di un orgoglio di casta, per fare nuovi adepti.

Quando gli elefanti si radunano
In Italia non esiste un referente da situazione francese, la realtà è molto più diversificata. I Moto Club sono le strutture ufficiali della Federazione Motociclistica Italiana (FMI) esclusiva e burocratica, che raggruppano gli appassionati di mototurismo. Si organizzano "raduni" con classifiche, punteggi, coppe e medaglie, ma questo tipo di organizzazione è un po' in crisi, e viene criticata da più parti. Infatti si sono organizzati gruppi extra-FMI che contestano l'organizzazione dei cosiddetti "coppettari" ma anche il fatto che la FMI non tutela né salvaguarda gli interessi turistici del motociclista. I "contestatori" che per il loro tipico giubbino blu di jeans si sono chiamati "Giacche Blu d'Italia", ritengono necessario un intervento attivo contro le decisioni che vengono partorite dalle eccelse menti dei nostri legislatori, per la difesa dell'utente motociclista, vedi: legge sul casco, mancanza di segnalazioni in tratti autostradali per le rigature antighiaccio, eccessive tassazioni (38% di Iva), decisioni comunali per divieti di transito alle sole moto, soccorso stradale, balzelli autostradali esosi, caselli di accesso autostradali preferenziali, ecc... Il più grosso motoraduno è la "Rosa d'inverno" che si tiene a Milano ogni due anni, in concomitanza con il Salone del Ciclo e Motociclo, arriva a contare più di 5.000 presenze.
Storia a parte è invece il mitico raduno che si tiene ogni anno, nella città di Salisburgo: "Elefantentreffen" o raduno degli Elefanti. E il più grande raduno motociclistico di tutta Europa, al quale partecipano circa 15.000 appassionati. La sua storia inizia nel 1956, vicino a Stoccarda, sul circuito della Solitude. Tutti i partecipanti guidavano le famose Zundapp KS 601, soprannominate "Elefanti verdi" per la loro colorazione durante la Seconda Guerra Mondiale.
Da queste motocarrozzette prese così il nome del raduno. Incontro dopo incontro il numero dei partecipanti divenne sempre più grande. Dal 1961 al 1977 l'Elefantentreffen si svolse nel circuito del Nurburgring dove per le sue dimensioni passò nelle mani del BVDM (Associazione Federale dei Motociclisti Tedeschi) che ancor oggi l'organizza insieme alla "Biker Union" associazione tedesca che può essere considerata parallela alle Giacche Blu. Si arrivò al 1977 con la partecipazione di 17.000 motociclisti e ben 30.000 spettatori. Ma al raduno scoppiarono tumulti causa birra, alcol, ideologie. In una notte vengono sfasciate, con assalti di moto, tutte le strutture del raduno, scoppiano risse furibonde fra bande rivali, volano bottiglie, pugni, catene, chiavi inglesi. Risultato: un morto, parecchi feriti e contusi, la messa al bando per sempre dal territorio tedesco di tutti gli Elefanti e le loro maledette motociclette. Solo nel 1979 l'Elefantentreffen ritornò ufficiale a Salisburgo, in Austria, sempre in crescendo. L'Elefantentreffen è ormai entrato nella leggenda, è il grande megashow, il mito di Easy Rider che rivive e si rinnova. Non è un raduno qualsiasi, è un ambiente, un'atmosfera magica e irripetibile che si crea per due giorni, in un grande circuito coperto di neve, brulicante di moto e di tende nonostante si tenga in pieno inverno.
È un appuntamento immancabile per migliaia di persone con la passione dominante della moto, al di fuori di ogni controllo: un ritrovo in completa autonomia e libertà di masse, di gruppi, bande di curiosi, Motard, Hells Angels dal piglio violento e dalla sbronza facile. Il comune denominatore di tutti è la passione selvaggia per la moto che crea solidarietà, spirito di classe fra persone diversissime. Ma proprio quel ritrovarsi attorno allo stesso feticcio, simbolo di libertà, clima di euforia, di libertà, di trasgressione nei confronti di una società in cui tutto dev'essere regolato, ordinato, rispettato. Quindi cavalcando una moto, non mostrano solo i simboli che firmano i loro giubbotti, (anche se siamo lontano dal clima di quel fatidico '77) questi centauri esibiscono la loro ribellione, la loro diversità.
Altra storia sono invece i raduni americani tipo Sturgis nel South Dakota e Daytona in Florida, dove con le mitiche Harley Davidson arrivano sia i terribili "Hells Angels" che i mitici "Motociclisti Cristiani" veri e propri predicatori a due ruote che distribuiscono opuscoli a fumetti, fanno comizi e prediche, e la "Tribù di Giuda" che sono anche loro missionari a dispetto del nome e dei giubbetti minacciosi. Con questo non voglio teorizzare l'anarcomotociclista né tantomeno esaltare novelli teddy boys, ma solo attirare l'attenzione su una realtà che coinvolge numerosissime persone, le aggrega, le organizza e tenta di riempirsi di contenuti.
Diversità, ribellione, libertà sono tematiche a cui mostriamo particolare interesse e che molti centauri cercano di esprimere più o meno consapevolmente.
La realtà non è soltanto ciò che vediamo accadere, ma è tutto il possibile, la nostra mente spazia per tutti gli universi inimmaginabili, e vi coincide: il caso prolifera senza sosta in combinazioni che, esattamente come la serie dei numeri, sono infinite.
Non esistono limiti così al gioco delle novità, come a quelle delle ripetizioni. L'assurdo è la regola, la garanzia suprema, metafisica, della libertà. Detto questo è possibile concludere che su interessi e passioni particolari, si possono costruire delle realtà alternative, perché "io troverò sempre dei compagni che si uniranno a me senza prestare giuramento alla mia bandiera".



La motocicletta come sistema

Dal libro di Robert Pirsig Lo zen e l'arte della manutenzione della motocicletta (Adelphi Edizioni, Milano 1981, pagg. 392, lire 20.000) riproduciamo un ampio stralcio del capitolo 8.


Ho messo a punto tante volte il motore di questa moto che ormai è un rituale, e lo faccio quasi senza pensarci. Guardo più che altro se c'è qualcosa di insolito. Il motore ha cominciato a fare uno strano rumore come se ci fosse un'asta delle punterie allentata, ma potrebbe essere qualcosa di peggio, per cui ora registrerò tutto per vedere se scompare. La registrazione delle punterie dev'essere fatta a motore freddo, il che significa che la sera bisogna parcheggiare la motocicletta nel posto in cui si lavorerà il mattino dopo. È importante non registrarla sotto il sole diretto o a pomeriggio inoltrato, quando il cervello s'impasta, perché anche se si è fatta quest'operazione cento volte bisogna essere svegli e pronti a cogliere ogni dettaglio.
Non tutti capiscono l'assoluta razionalità della manutenzione di una motocicletta. Molti pensano che ci voglia una specie di "fiuto" o una certa "affinità con le macchine". Hanno ragione, ma il fiuto è quasi sempre frutto di un processo razionale, e i contrattempi sono causati spessissimo dall'incapacità di usare la testa in modo appropriato. Una motocicletta funziona in totale accordo con le leggi della ragione, e uno studio dell'arte della manutenzione della motocicletta è veramente uno studio in miniatura dell'arte della razionalità stessa. Ho detto ieri che il fantasma della razionalità era ciò che Fedro inseguiva, ciò che lo condusse alla follia, ma per addentrarci in questo argomento è vitale attenersi a esempi di razionalità terra terra, in modo da non perdersi in generalizzazioni che nessuno può capire.
Ora siamo alla barriera tra classicismo e romanticismo: da una parte vediamo una moto in base alla sua apparenza immediata – e questo è un modo importante di vederla -, mentre dall'altra possiamo incominciare a vederla come la vede un meccanico, in termini di forma soggiacente – e anche questo è un modo importante. Questi attrezzi, per esempio – questa chiave inglese ha in sé una certa bellezza romantica, ma il suo fine è sempre puramente classico. È stata ideata per cambiare la forma soggiacente della macchina.
La porcellana di questa prima candela è molto annerita, il che è un brutto segno sia dal punto di vista classico sia da quello romantico, perché significa che il cilindro riceve troppa benzina e troppo poca aria.
Le molecole di carbonio della benzina non trovano abbastanza ossigeno con cui combinarsi, per cui si fermano qui, sporcando la candela.
Arrivando in città, ieri, il minimo era irregolare; altro sinonimo dello stesso inconveniente.
Per vedere se è solo il primo cilindro che riceve una miscela troppo ricca, controllo anche l'altro. Sono uguali. Prendo il temperino, raccolgo uno stecco e lo appuntisco per ripulire le candele, domandandomi quale potrebbe essere la causa di questa ricchezza della miscela.
Non dovrebbe aver niente a che fare con le bielle e le valvole. Raramente i carburatori perdono la registrazione. È vero che i getti principali sono stati maggiorati, il che provoca un eccesso di benzina ad alta velocità, ma le candele sono sempre state molto più pulite, e i getti erano gli stessi. Mistero. Non c'è una risposta immediata per cui lascio la questione in sospeso.
La prima punteria è a posto, non c'è bisogno di registrarla; controllo la seconda. Passerà un bel po' di tempo prima che il sole salga sopra quegli alberi...Ho sempre la sensazione di essere in chiesa, quando faccio quest'operazione...Lo spessimetro è una specie di icona e io celebro un rito sacro. È uno strumento che fa parte di una categoria chiamata "strumenti di precisione" che in senso classico ha un profondo significato.
Con una motocicletta non è per motivi romantici o perfezionistici che si rispetta la precisione. L'enorme forza del calore e la pressione esplosiva dentro questo motore possono essere controllate unicamente grazie all'estrema precisione di questi strumenti. A ogni esplosione la biella cala sull'albero a gomito con una pressione di molte centinaia di chili per centimetro quadrato. Se l'aderenza della biella all'albero a gomito è precisa, la forza dell'esplosione verrà trasferita senza scosse e il metallo sarà in grado di sopportarla. Ma se l'aderenza non è perfetta e c'è un gioco anche di pochi centesimi di millimetro la forza dell'esplosione avrà la violenza di un colpo di martello, e la biella e la superficie del cuscinetto e dell'albero a gomito verranno presto appiattite, con un rumore sulle prime molto simile a quello delle punterie lasche.
Ecco perché adesso sto facendo un controllo. Se c'è veramente gioco nel piede della biella e cerco di tirare fino alla montagne senza una revisione, il rumore diventerà sempre più forte, finché la biella non si staccherà, batterà contro l'albero a gomito e distruggerà il motore. A volte le bielle rotte perforano addirittura il carter e l'olio cola tutto sulla strada.
Ma tutto questo può essere evitato con una regolazione al centesimo di millimetro resa possibile dagli strumenti di precisione. Questa è la loro bellezza classica, che non risiede nel loro aspetto ma nelle loro funzioni.
La seconda punteria va bene. Passo dall'altra parte della moto e incomincio a controllare l'altro cilindro.

Precisione e gerarchia
Gli strumenti di precisione hanno come fine la realizzazione di un'idea, l'esattezza delle dimensioni, la cui perfezione è impossibile da raggiungere. Non c'è pezzo della motocicletta che abbia una forma perfetta, ma quando, grazie a questi strumenti, ci si avvicina alla perfezione, succedono cose notevoli. Si sfreccia per la campagna grazie ad un potere che potrebbe definirsi magico se non fosse così totalmente razionale. La cosa fondamentale è capire questa idea razionale. Quando John guarda la motocicletta, non vede che pezzi d'acciaio che gli ispirano sentimenti negativi, e così "spegne". Io sto guardando gli stessi pezzi d'acciaio e vedo idee. John pensa che io stia lavorando su pezzi del motore, invece sto lavorando su dei concetti.
Ieri parlavo proprio di questi concetti, quando dicevo che una motocicletta può essere divisa in base ai suoi componenti e in base alle sue funzioni. Mentre lo dicevo, ho creato tutto d'un tratto un insieme di scatole disposte nel modo seguente:

motocicletta

componenti                                        funzioni


E mentre dicevo che i componenti possono essere suddivisi in apparato propulsore e apparato di marcia, ecco apparire all'improvviso altre scatolette:


motocicletta

componenti                                        funzioni

apparato propulsore                                  apparato di marcia


È evidente che ad ogni nuova divisione aggiungevo altre scatole, finché mi trovai ad averne un'enorme piramide. E finalmente capirete che mentre dividevo la moto in pezzi sempre più piccoli, costruivo anche una struttura.
Questa struttura di concetti si chiama formalmente gerarchia, e fin dai tempi più antichi è stata una delle strutture fondamentali di tutto il pensiero occidentale. Reami, imperi, chiese, eserciti sono sempre stati strutturati gerarchicamente. E così la grandi imprese moderne. Le schede del materiale da consultazione, i montaggi meccanici, i programmi dei calcolatori, in breve tutto il sapere scientifico e tecnico è organizzato secondo queste gerarchie – al punto che in alcuni campi, quali la biologia, la gerarchia tipo-ordine-classe-genere-specie è quasi un'icona.
Ci sono molti tipi di strutture prodotti da altre determinanti, quali le "cause", che producono lunghe strutture a catena della forma: "A causa di B che causa C che causa D" e così via. Una descrizione funzionale della motocicletta si vale di questa struttura. I vari "esiste", "è uguale a", "implica" producono altre strutture ancora, che sono normalmente interrelate secondo modelli così complessi che nessuno, nel corso della propria vita, può capirne più di una piccola parte. Il nome generico di queste strutture interrelate, il genere nel quale la gerarchia – da contenente a contenuto – e la struttura causale sono soltanto specie, è "sistema". La motocicletta è un sistema. Un sistema reale.
Parlare di certe istituzioni pubbliche e sociali come del "sistema" è corretto, perché esse sono fondate sugli stessi rapporti concettuali e strutturali di una motocicletta. Sono sorrette da rapporti strutturali persino quando hanno perso ogni altro significato e ogni altro scopo.
La gente va in fabbrica e dalle otto alle cinque la struttura esige che sia così. Non c'è nessun "cattivo" che li vuol costringere a vivere delle vite senza senso, è solo che la struttura, il sistema, lo esige, nessuno è disposto ad assumersi l'arduo compito di cambiare la struttura solo perché non ha senso.
Ma smantellare una fabbrica, o ribellarsi contro un governo, o rifiutarsi di riparare una motocicletta solo perché essa è un sistema, è attaccare gli effetti invece delle cause. Il sistema vero è la nostra costruzione del pensiero sistematico, la razionalità stessa, e se si smantella una fabbrica lasciando in piedi il sistema di pensiero che l'ha prodotta, questo non farà che dare origine a un'altra fabbrica.
La motocicletta non è altro che questo: un sistema di concetti realizzato in acciaio. In essa non c'è pezzo, non c'è forma che non sia uscita dalla mente di qualcuno. Anche la terza punteria è a posto. Ancora una da controllare. E speriamo che quella...Ho notato che la gente che non ha mai lavorato l'acciaio fa fatica a capire che la motocicletta è essenzialmente un fenomeno mentale. Molti associano il metallo a forme preesistenti: tubi, verghe, chiavi, attrezzi, pezzi di ricambio, tutte quante determinate e immutabili, e lo concepiscono come qualcosa di essenzialmente fisico. Ma per chi lavori al tornio, o in fonderia, o in fucina, o alla saldatura, l'"acciaio" non ha nessunissima forma. La forma gliela si , e tutte le forme escono dalla mente di qualcuno; è importante rendersene conto. Quanto all'acciaio, accidenti, persino quello è uscito dalla mente di qualcuno. In natura l'acciaio esiste al massimo in potenza. Ma cosa vuol dire "in potenza"? Anche questo è nella mente di qualcuno...Fantasmi.

Quando si comincia a salire
La quarta punteria ha troppo gioco, come avevo sperato. La registro, controllo la messa in fase e vedo che è a posto: le puntine non sono bruciate, per cui le lascio stare, avvito i coperchi delle valvole, rimetto le candele e metto in moto.
Il rumore di punterie è scomparso, ma questo non vuol dire, finché l'olio è ancora freddo. Lascio girare il motore a vuoto mentre rimetto a posto gli attrezzi, poi monto in sella e vado da un meccanico di cui mi ha parlato ieri sera un motociclista; lì forse hanno una falsamaglia e dei rivestimenti di gomma per i pedalini. Chris deve avere i piedi nervosi, continua a consumarli. Faccio un paio di isolati e non sento nessun battito di punterie. Il motore comincia a fare un bel rumore, penso che sia a posto. Comunque non tirerò conclusioni azzardate finché non avremo fatto almeno venti chilometri. Intanto splende il sole, l'aria è fresca, la mia mente è lucida... siamo quasi arrivati alle montagne, è una bella giornata per essere al mondo. È l'aria più rarefatta che fa questo effetto. Ci si sente sempre così quando si comincia a salire.
L'altitudine! Ecco perché la miscela è troppo ricca! Eh, sì, dev'essere proprio questo. Ora siamo a settecento metri d'altezza, e sarebbe meglio che mettessi dei getti standard. Ci vogliono solo pochi minuti per cambiarli. Dovrei anche registrare un po' il minimo. C'è da salire ancora parecchio.
Sotto dei grossi alberi trovo il Bill's Cycle Shop, ma di Bill neanche l'ombra. Un passante dice che "forse è andato a pescare da qualche parte", lasciando l'officina spalancata. Siamo proprio nel West. A Chicago o a New York nessuno lascerebbe aperto un posto così.
Entrando vedo che Bill è un meccanico che appartiene alla scuola della "memoria fotografica". È tutto sparpagliato in giro. Chiavi inglesi, cacciaviti, pezzi di ricambio vecchi, motociclette vecchie, pezzi di ricambio nuovi, motociclette nuove, cataloghi, camere d'aria, il tutto ammonticchiato in una confusione tale che sotto non si vedono neanche i banconi. Io non riuscirei a lavorare in queste condizioni, ma solo perché non sono della sua scuola. In questa baraonda, probabilmente Bill non ha che da girarsi e allungare una mano per trovare l'attrezzo che gli occorre. Ho già conosciuto meccanici di questo tipo. C'è da diventar matti a guardarli, ma fanno il lavoro altrettanto bene e a volte più in fretta degli altri. Però se gli sposti uno strumento di dieci centimetri ci mettono dei giorni a trovarlo.
Bill arriva sorridendo tra sé. Certo che ha i getti per il mio motore, e sa benissimo dove sono. Però dovrò aspettare un momento. Ha un affare da concludere. Esco con lui sul retro dove c'è una rimessa e vedo che sta vendendo i pezzi di un'intera Harley usata, salvo il telaio che il cliente ha già. Il tutto per 125 dollari. Niente male, come prezzo.
"Il suo cliente ne avrà imparate di cose sulle motociclette, quando avrà rimesso insieme quel po' po' di roba!".
"È il modo migliore per imparare" mi fa Bill ridendo.
Ha i getti e le gomme per i pedalini, ma niente falsamaglia. Faccio montare le gomme e i getti, sistemo il minimo e torno in albergo.

Robert Pirsig