Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 19 nr. 163
aprile 1989


Rivista Anarchica Online

L'anarchico Petacchi
di Mauro Cucurnia (Maurin)

A fronte della retorica antifascista delle celebrazioni di regime, proponiamo, con la biografia dell'anarchico Giuseppe Petacchi, l'esempio di una vita vissuta giorno per giorno a fianco degli sfruttati. Gli scontri con i fascisti nella natia Avenza, l'esilio in Francia, l'eccezionale esperienza nella Spagna rivoluzionaria e libertaria del '36, poi di nuovo in Francia, in Marocco, in Messico, ecc. ecc... La partecipazione alla Resistenza e l'impengo sociale nel secondo dopoguerra.

A 40 anni e più dalla caduta del fascismo, la Resistenza si è trasformata in pretesto per celebrazioni retoriche che lasciano ormai indifferenti tutti e specialmente i giovani. Effetto di una classe dirigente che per più di 40 anni ha approfittato della memoria di un movimento di massa, per costruire fortune personali o di gruppo, politiche ed economiche, presentandolo e rappresentandolo come realtà di pochi "eroi".
Diceva un poeta che è beato quel popolo che non ha bisogno di eroi, ma beato sarà anche quel popolo la cui storia non verrà raccontata per elevare monumenti e dare medaglie a presunti eroi, ma per conservare la memoria collettiva delle sue lotte collettive contro l'oppressione, contro lo sfruttamento e contro ogni forma di dittatura.

Scheletri negli armadi
Ciò vale anche per la nostra situazione locale. Sembrerebbe quasi, a leggere le cose che fin qui sono state scritte, che antifascismo e Resistenza a Massa e Carrara siano stati l'iniziativa di pochissimi onnipresenti, onnifacenti e onniscienti. Di qui l'immagine di un movimento incomprensibile e scarsamente attivo, quasi inerte a una storia piena di buchi, di censure, di omissioni e di tabù spesso diplomatici e molto imbarazzati e imbarazzanti. È probabile che sia questa la ragione per cui nessuno finora si è occupato con serietà scientifica di quanto in quegli anni è avvenuto nella nostra zona (salvo rare e parziali eccezioni).
Ci sono anche scheletri negli armadi che si ha paura di tirare fuori; ne verrebbe un'immagine più vera della Resistenza, ma meno unitaria e nazionale, meno retorica e da celebrazioni. Bisognerà, un giorno o l'altro, anche esaminare perché ciò sia avvenuto e a chi sia servita questa riduzione dell'opposizione di massa al nazifascismo, entro le guide dell'ufficialità retorica e della censura peggiore, cioè l'autocensura.
Per questo è tempo di raccogliere, quanto più è possibile, ricordi e documentazione diretti e indiretti, sulla Resistenza e l'antifascismo in questa zona, prima che gli ultimi testimoni diretti scompaiano, perché, quando ne sia possibile, ne venga scritta una storia più spassionata e oggettiva, cioè meno unilaterale e asservita a interessi privati o dei vari gruppi di potere che hanno avuto convenienza ad auto-rappresentarsi con questa immagine imbalsamata e morta di una grande lotta di popolo.
Importante è perciò recuperare accanto ai soliti nomi dell'antifascismo o della resistenza ad Avenza, da Gino Lucetti (l'attentatore a Mussolini), a Stefano Vatteroni, a Gino Menconi, a Gino Bibbi, a Ugo Mazzucchelli, il ricordo di altri oppositori del fascismo, per i sacrifici che hanno affrontato durante la dittatura e per la loro partecipazione alla Resistenza.
Tra questi è necessario ricordare innanzitutto Giuseppe Petacchi (Avenza 1907-1961). Anche lui era di Avenza, di un paese cioè che ha dato un contributo molto grande all'antifascismo e alla Resistenza, ma che è stato stranamente sempre sottovalutato da chi ne ha scritto; non certo per motivi campanilistici, ma storico-politici che avrebbero bisogno di essere chiariti con più ampiezza.

Avenza, Marsiglia, Barcellona
Nato nel 1907, Beppe Petacchi già nel 1922 viene preso di mira dai fascisti locali che lo buttarono fuori da un locale di Avenza a calci e pugni. Da questo momento in poi, anche perché tutta la sua famiglia è antifascista, è tutto un susseguirsi di pestaggi e di ammonizioni; non che Beppe vada in cerca di fascisti per vendicarsi delle botte ricevute, ma è vero che quando li incontra non fa nulla per evitare lo scontro e così finisce per ritrovarsi, di volta in volta, con la testa rotta.
Ad Avenza, in quel periodo, di queste cose agli antifascisti ne succedevano quotidianamente; venivano malmenati sia i repubblicani che i socialisti, ma soprattutto gli anarchici, e Petacchi era uno di questi. Questa situazione si protrae fino al 1933 quando divenuta sempre più insostenibile, Beppe, insieme ai compagni Ercole Pisani, Pilade Menconi, Ciro Sparano e al repubblicano Roberto Briganti decide di espatriare. Il compagno Petacchi deve lasciare in Italia la sua compagna, prossima a partorire, senza alcun sostegno economico. Arrivato a Marsiglia riesce a trovare lavoro e invia varie volte somme di denaro alla moglie, ma regolarmente la questura le sequestra.
In Francia entra in contatto con Camillo e Giovanna Berneri, Emilio Lussu, Randolfo Pacciardi, Aldo Garosci, Umberto Marzocchi, Pio Turroni, Carlo Persici e con i fratelli Rosselli, in particolare con Carlo, ma non c'è antifascista, anche tra i meno conosciuti e i più modesti culturalmente e politicamente, che Petacchi non cerca di avvicinare, nel tentativo di rendere sempre più incisiva la lotta contro il fascismo.
Allo scoppio della Rivoluzione spagnola, Petacchi si trasferisce immediatamente a Barcellona; quello che avviene in Spagna è troppo importante per lui perché possa sottrarvisi. Partecipa alla battaglia di Montepelato assieme a Rosselli, Angeloni e Aldo Garosci. Angeloni vi troverà la morte, Rosselli verrà ferito e Petacchi si salverà a stento dall'incendio della sua autoblindo colpita da un proiettile dell'artiglieria franchista. Riuscì ad uscire con le sue forze, ma ardeva come una candela. Venne soccorso da alcuni compagni e fu trasferito nelle retrovie in ospedale. Poi, appena fu in grado di reggersi in piedi, ritornò al fronte. Qui assiste con rabbia alla controrivoluzione stalinista.
Nel '38 ritorna in Francia, a Parigi, dove finalmente può essere raggiunto dalla moglie e dal figlio, e trova ospitalità in casa del professor Monti, ma, poco dopo, a causa della sua attività antifascista, viene espulso dalla polizia francese e ripara in Belgio.

Quei passaporti falsi
Con l'occupazione tedesca del Belgio ritorna a Marsiglia clandestinamente, e la sua casa, nella Casbah al vecchio Porto, diventa un centro di ospitalità per tutti gli antifascisti che hanno bisogno di un rifugio, specie per quelli che ritornano dalla Spagna ormai occupata dai franchisti, e per ebrei zingari la cui sopravvivenza è messa in pericolo dalla stessa polizia francese. E in casa sua Lussu e la sua compagna, bravissima a imitare qualsiasi scrittura, passano intere giornate a falsificare documenti e passaporti. In questo modo riescono a far espatriare molti di questi antifascisti di tutte le nazionalità che entrano in contatto con lui.
Scoppiata la guerra con la Francia, Petacchi riesce ad abbandonarla prima dell'arrivo dei tedeschi insieme a Emilio Lussu, la sua compagna e Pacciardi. Con una nave raggiungono Casablanca. Qui Beppe ritrova Pio Turroni e imbarcatosi su una nave svedese, va con lui in Messico dove lavorano come muratori nella costruzione di piccole case, poi passano in Canada, perché hanno avuto notizia dai compagni che è possibile di lì ritornare in Europa per riprendere la lotta contro i nazifascisti.
Imbarcatisi su una nave, arrivano a Liverpool, ma, per errore burocratico, vengono scambiati per fascisti e chiusi in un campo di concentramento. I continui scontri che hanno con i fascisti lì rinchiusi convincono le autorità inglesi dell'errore compiuto nella loro identificazione e vengono liberati. Inviati in Nord Africa, Petacchi segue un breve corso di paracadutismo e si fa lanciare in Italia, presso Empoli, per andare ad organizzare formazioni partigiane.
Soggiorna brevemente ad Avenza e poi si trasferisce a Firenze, al Centro Antifascista ed entra in contatto con molti compagni e lavora con Carlo Lodovico Ragghianti, Carlo Cassola, Adriano Milani, fratello di don Milani e altri. Ritrova sempre a Firenze anche il suo compaesano Gino Menconi.
Fino alla liberazione di Firenze fu un combattente attivissimo.

Né onori né premi
Ritorna ad Avenza dopo la liberazione per riprendere il suo posto tra i compagni e nella lotta contro il fascismo che continuava ad opprimere la Spagna e molte altre nazioni in varie parti del mondo.
Non ha da rivendicare né onori né premi per la sua vita di antifascista e la sua partecipazione alla Resistenza, né vuole sfruttarle per carriere politiche, ma ogni compagno che arriva a Carrara continua a trovare ospitalità in casa sua, rifugio e copertura, aiuto. Più volte Petacchi nel dopoguerra rischia il carcere per aver nascosto magari in qualche casa sicura di Avenza o fornito di documenti e di aiuti i compagni ricercati dalla polizia e dall'Interpol; molto spesso si trattava di compagni spagnoli braccati nel loro e nel nostro paese.
Bisognerebbe anche raccontare questa seconda resistenza a cui parteciparono Petacchi ed altri, così come si svolse qui da noi, contro l'ordine repressivo e autoritario che venne instaurato in Italia e nel resto del mondo dopo la guerra; è una resistenza che molti di quelli che hanno lottato contro il fascismo non hanno voluto fare, soddisfatti della restaurazione del potere della borghesia, ma che i veri resistenti, quelli che volevano sconfiggere ogni forma di oppressione e di sfruttamento, hanno continuato a fare con modestia, umiltà e consapevolezza della povertà dei propri mezzi, ma anche del grande valore che aveva per tutti, perché la lotta per la libertà e contro lo sfruttamento non può essere un mezzo per raggiungere medaglie, ma l'unica dimensione umana possibile.