Rivista Anarchica Online
La rivolta, la bicicletta e la
nostalgia...
di Gianni Sartori
La Catalogna nelle fotografie e
negli appunti di viaggio di Gianni Sartori. Tra immagini del degrado industriale
e ricordi di un passato di rivoluzioni, un affresco di questa terra
originale e dei fermenti di opposizione sociale che la pervadono.
Granollers, agosto, mattina presto,
molto presto...
Partito col buio dal "mio"
casermone alla periferia di Badalona, superato in bici un erto colle
ricoperto di pini malridotti alquanto, intravista l'abbazia detta
"Conreria", ero disceso in velocità verso
Martorellos. L'aria fresca del mattino, sbattendo sul viso, mi
aiutava ad uscire definitivamente dallo stato di pre-coma conseguente
alla forzata levataccia.
Tutto questo soltanto per arrivare a
Mollet del Valles in tempo e poter imboccare lo stradone che corre
dritto fino a Granollers prima che il traffico come di consueto
diventasse caotico, rischiando un'ennesima intossicazione da piombo
(non si è ancora pensato di considerare il saturnismo
"malattia professionale" di ciclisti e pedoni?).
Tra Martorelles e Mollet avevo rivisto
(e "sentito") la fogna a cielo aperto eufemisticamente
denominata "Riu" (formata dalla confluenza del Mogent con
il Congost), dove tutte le grandi e piccole industrie della zona
(di)scaricano impunemente residui tossici di varia natura (con
conseguente deleterio sinergismo). Infine ero arrivato a
destinazione, dopo aver rischiato l'arrotamento da parte del solito
camionista dalla guida sportiva. Granollers viene ricordato talvolta
come la "piccola Guernica" catalana per le centinaia di
vittime provocate dall'aviazione franchista tra i suoi abitanti.
Le strade non più deserte ma
ancora cariche di suggestioni mattutine si srotolano tra muri
impregnati di "memoria storica": scritte e murales dove la
retorica populista (di prammatica) si coniuga con una certa dose di
ironia (a volte quasi raffinata e "colta").
Ormai scolorito il volto di Zabalza
(martire basco, l'ennesima vittima innocente delle "legge
antiterrorismo") più evidente una scritta lievemente
surreale (traduco): "Il PSOE è pieno di "morros"
("musi", "labbra grosse": qui sta per "facce
di bronzo"), più di cento negri che cantano l'only
you...". Rilevo che persiste una certa dose di
(blando?) razzismo nei confronti dei neri. Oltre alle storiche
invasioni subite da parte degli Arabi (arrivarono oltre Barcellona)
non bisogna dimenticare che alla fine della Guerra Civile le
esecuzioni di massa, le "sacas", nei confronti dei
repubblicani catalani venivano eseguite dalle truppe di "moros
marroquins" filofranchiste. Questo naturalmente non giustifica
ma forse può spiegare in parte il relativamente diffuso
atteggiamento.
In una piazzetta, sotto al suo ulivo,
dorme ancora la lapide (rinnovata di fresco dopo l'ennesima
imbrattatura di marca falangista) per Salvador Casanova, l'amato
indipendentista morto di cancro nell'82, a cinquantasei anni.
Un compagno che gli fu amico mi
racconta con commozione che sentendo la fine ormai prossima Salvador
si fece accompagnare sulle rive di un lago. Poi chiese di essere
lasciato a contemplare in solitudine e quando tornarono era già
spirato. Sul volto aveva la sua solita espressione di serenità
e dolcezza (come traspare dalle foto).
Contro l'OTAN (cioè contro la
NATO)
Di fronte ad una mensa popolare
riconosco (dipinta a calce) la sigla del PSAN (Partit Socialista
d'Alliberament Nacional), un gruppo già attivo durante il
franchismo (e in odore di stalinismo), ora confluito in massima parte
nell'MDT (Moviment de Defensa de la Terra).
Ricoperto da un più recente
murale della campagna anti-OTAN (1986) traspare il nome illustre del
prete pacifista Josep Maria Xirinacs, già candidato al Nobel
per la Pace. Ricordo che nelle prime elezioni dopo la morte del
"caudillo" venne eletto come indipendente. Attualmente, mi
informano, è dirigente di una associazione minoritaria
definita (affettuosamente dato il grande rispetto di cui ancora gode)
un "gruppo di cumbaià" (dalla nota canzone) ossia di
"cristiani bigotti", nel gergo dei "giovani leoni"
catalani, fautori di radicali rivolgimenti sociali (almeno a livello
di intenzioni). Fotografo per puro scrupolo due nomi sconosciuti su
un rosso muro screpolato di fabbrica abbandonata. Le ricerche
effettuate in seguito mi confermeranno trattarsi di altre vittime del
terrore di Stato: due giovanissimi studenti ammazzati dalla Guardia
Civil nel 1979.
Alla stessa epoca, preistoria ormai,
risale un (puttanesco mi vien da dire) murale del PSOE in cui il
medesimo si dichiara pubblicamente ed esplicitamente a favore della
totale autodeterminazione del popolo catalano. Evidentemente il clima
pre-elettorale aveva preso la mano al "pintamona" della
sezione locale (o c'erano già precise direttive in merito,
vista la collaudata tendenza dell'attuale Governo a fare tutto il
contrario di quanto era stato promesso?).
Il fatto che sia stato realizzato in
una stradina un po' defilata spiega forse la sua sopravvivenza,
foriera di illuminanti prese di coscienza sul gattopardismo politico.
Dopo una residua schiera di murales
anti-OTAN (tutti rigorosamente in "català") sbatto
addosso ad un altro cavallo di battaglia del "movomento":
un florilegio murale contro la centrale nucleare di Vandellos 2 (il
che permette acutamente di intuire l'esistenza di un'altra Vandellos
1). Da questa si produce in buona quantità quel plutonio
residuo che poi viene inviato in Francia per poter essere utilizzato.
Una scritta cubitale a domanda
risponde: "Cosa c'è di più pericoloso dell'energia
nucleare? L'energia nucleare in movimento". Attualmente si parla
di almeno un "treno radioattivo" al mese, senza contare il
materiale delle altre centrali situate nei Paisos Catalans, ASCO in
particolare. Le mie guide, polemiche e faziose, mi informano che un
paio di anni fa si sono contate ben cinque fermate in nemmeno due
mesi per guasti di vario genere al reattore del secondo gruppo della
centrale di Tarragona . La cosa venne sbrigativamente accantonata
dagli esperti del Consiglio per la sicurezza nucleare come "ordinaria
amministrazione". Lluís e Xavi, facchino l'uno,
studente-"lavoratore" l'altro (il primo con famiglia a
carico, l'altro a carico della famiglia), mi delucidano sulle
innumerevoli forme di asma, bronchiti, allergie e affezioni polmonari
varie (in genere prevalgono le malattie respiratorie croniche) che
affliggono i loro rispettivi figli e nipoti.
Continuavano a chiamarlo progresso
Ripenso all'atmosfera del circostante
"paesaggio con rovine" (degno scenario per una eventuale
riedizione di "Terminator" in salsa catalana) e obietto che
mi stupirei assai del contrario.
Parlo della vasta area industrializzata
senza criterio alcuno (tranne, presumo, quello del profitto) che
dalle estreme periferie di Barcellona si è diffusa per
metastasi nell'entroterra, trasformando i vecchi insediamenti (paesi
con una loro storia e identità) in anonimi agglomerati,
immersi nei vapori ad alta gradazione tossica (inalare per credere).
Tra gli altri ho visitato: Sabadell, Mollet del Valles, Montcada,
Cerdanyola, Terrassa, La Garriga, Ripollet, Badalona... (tutte
località ben note a chiunque abbia letto una biografia di
Durruti o una storia a puntate della CNT); quasi sempre eroicamente
su due pedali il che permette di cogliere in pieno e senza
"mediazioni" tutta la tragica, "grandiosa" quasi,
portata di questa (post?)moderna catastrofe ecologica. Elencando alla rinfusa: Rivoli di schiuma si disperdono densi
in ampi e aridi letti di "fiumi" percorsi da greggi
spaurite; a rapida intermittenza si spande l'odore di immondizie e
plastica bruciata, alternandosi a quello inconfondibile di "mandorle
amare" (segno inequivocabile della sgradita presenza dei cianuri
nel micidiale cocktail gassoso); obsolete ciminiere svettanti e
fumanti si stagliano (come a Badalona) contro un cielo carico di
pulviscolo color ruggine (invano si cerca di intravedere alle loro
spalle il mare, che pure c'è.
Le ciminiere in questione invece si
distinguono da chilometri e chilometri di distanza ma solo per le
immani dimensioni, non certo per la limpidezza dell'aree).
Sulle circostanti colline, umiliate
dallo "splendore" dei tralicci, ischeletriscono giorno dopo
giorno nobili conifere scampate alla furia degli incendi ma
avvelenate dalle piogge acide; il profilo delle alture è
sfregiato da innumerevoli cave a cielo aperto, alcune in funzione (di
tanto in tanto al "botto" fa seguito una scarica di
pietrame : attenzione, escursionisti!), altre ormai definitivamente
"riconvertite" in discariche (sempre a cielo aperto); il
tutto ricoperto da una caotica rete di autopistas e carreteras,
percorsa da un traffico convulso (direi "impietoso" dal
punto di vista di un biciclettaro). . .
Altre immagini scorrono, lente come una
bici in salita, nella memoria che si proietta verso le plaghe del
"deserto che vive" , tra i due Valles (Oriental e
Occidental) e il Maresme: cimiteri di macchine con agavi messicane
spuntate tra le carcasse di auto e corriere; bassi vigneti sui pendii
che evocano i turbolenti "rabassaires"; ancora greggi
vaganti e piccole orde di cani randagi; industrie chimiche e concerie
che si alternano alle modernissime fabbriche di informatica (capitale
a maggioranza giapponese); monoliti d'argilla provocati dall'erosione
(una brutta e degradata variante delle "piramidi di terra"
di Renon e Segonzano) (n.d.r. - il fenomeno geologico dei "monoliti"
era completamente sconosciuto vent'anni or sono); stormi di isterici
gabbiani ammassati sulle sponde del Rio Besos a ingozzarsi di liquami
e scorie. . . (da queste parti alcuni "che hanno studiato"
la chiamano "modernizzazione". . .)
Speculare in "català"
c'est plus facile
Dicono i Baschi (che se ne intendono)
che dove scompare l'uso della lingua madre cambia anche il paesaggio
ancestrale. Ma ormai anche questa tesi, apparentemente inconfutabile,
sembra venir smentita dalla moderna "complessità":
sulle colline intercalate tra Barcellona e le località sopra
citate si dimostra e tocca con mano che la conservazione dell'idioma
nazionale può benissimo andarsene a braccetto con la
distruzione del territorio e la più bieca speculazione.
Infatti i cartelli che annunciano la
lottizzazione e vendita delle residue aree verdi sono equamente
divisi tra la lingua catalana e quella castigliana. Va anche detto
che l'ambientalismo militante (contro gli incendi, gli abusi edilizi,
l'inquinamento in genere...) sembra privilegiare decisamente il
"català".
Da Mollet (un centro cospicuo, passato
in soli dieci anni da 10.000 a 40.000 abitanti) al più modesto
Gallecs si può arrivare anche seguendo i percorsi alternativi,
tra campi e strade sterrate, noti a chi vi ha trascorso l'infanzia.
Lluís ricorda con tristezza quando la campagna circostante era
ancora ricca di alberi e il "bosc" non era stato sventrato
dalle autopistas.
Sembra che la chiesetta romanica di
Gallecs sia stata eretta su rovine precedenti ("pagà"
- pagane); con l'ultima ristrutturazione il campanile medioevale è
stato eliminato perché pericolante e, per consolazione, si è
aggiunto un muro (antiestetico) che delimita l'antico cimitero
intorno all'edificio. Proprio dietro la chiesa, tra le erbacce
giganti e i mucchi sfatti dei fiori ormai appassiti, fa bella mostra
di sé una pesante (all'aspetto) bara scoperchiata (vuota per
fortuna ma anche così abbastanza inquietante). Nei pressi si è
installata una cagna randagia e ringhiosa con prole. Anche questo, mi
pare, esprime senza bisogno di commenti quanto grande e profonda sia
"la forza della vita"...
I frequenti casolari abbandonati della
zona vengono sistematicamente occupati da gruppi "punk" e
da famiglie di gitani (confermando la tendenza alla stanzialità
degli "zingari" locali). Proliferano anche le abitazioni
abusive (seconde case) dei cittadini "dominqueros".
In castigliano hambre in catalano
"gana"
Basta osservare qualcuna delle
polemiche scritte per intuire lo stato di conflitto latente che si è
instaurato tra i due "gruppi sociali" (o tra le diverse e
opposte concezioni del mondo). A sentir loro gli "squatters"
(giovani, artisti, punk, ecologisti, vegetariani) vengono qui "per
viverci", lavorano la terra o comunque danno un senso
"alternativo e antagonista" alla loro esperienza,
rispettano l'ambiente, ecc. Invece i dominqueros ("consumisti e
omologati") vengono di tanto in tanto con gli amici per una
"tavolata" di carne alla brace, approfittando
dell'occasione per disboscare un altro po' di vegetazione residua e
provocare i soliti incendi di fine settimana. Ascoltandoli torno
indietro nel tempo, a Ovada, quasi vent'anni fa... meglio che niente,
comunque.
Lungo le rive di un anonimo "riu"
e intorno sui campi incolti pascolano greggi innumerevoli di "pastori
urbani" (n.b. NON "urbanizzati" come verrebbe da
pensare). Questa pratica, diffusa e "selvaggia" , della
"pastorizia sommersa" (con le greggi che invadono gli
interstizi delle zone di recente urbanizzazione, le periferie, a
volte gli stessi centri abitati) è monopolio degli immigrati
"spagnoli" (discutibile sinonimo di andaluso) "sense
feina" (senza un lavoro fisso).
Infatti - come osserva argutamente un
barista di Mollet dalle lontane ascendenze galleghe - quando un
catalano resta disoccupato si dedica al "lavoro nero di tipo
industriale" non a queste attività marginali. Vengo poi
erudito sulla situazione di larghi strati della popolazione andalusa,
a volte ancora ai limiti della sussistenza. Non tutti i casi di
bambini dell'Andalusia (ma pure dell'Estremadura e, dicono, anche di
qualche vicolo di Barcellona) morti per "denutrizione" sono
assurti agli onori della cronaca.
Ritrovo l'epitaffio pubblicato da un
giornaletto "sovversivo" alla fine degli anni settanta
(n.b. dopo Franco) per la morte di una bambina, figlia di
disoccupati:
Maria del Pilar Benitez,
de cinco anos de edad,
hija de un obrero parado,
ha muerto por
desnutricion.
R.I.P.
Su cadaver apareciò
una manana en un
misero y reducido
dormitorio de una
modesta casa de Huespedes.
Sus padres, hermanos y
familiares no
piden una oracion por su
alma...
PIDEN JUSTICIA!
Prima di
proseguire sul terreno infido degli andalusi emigrati in Catalunya
premetto, a scanso d'equivoci, che la sinistra
radicale-indipendentista non si sogna neanche di sottovalutare la
gravità dei problemi che affliggono questa comunità.
Spesso anzi interviene concretamente in solidarietà con le
lotte sociali che si sviluppano in Andalusia e cerca di facilitare le
integrazioni degli emigrati nelle stesse lotte dei catalani di
origine: contro l'OTAN, contro la disoccupazione, contro il nucleare,
ecc... Anche recentemente c'è stata mobilitazione in favore
dei braccianti giornalieri andalusi incarcerati dopo l'ennesima
occupazione collettiva di terre. Sostiene invece che il Governo
strumentalizza la "questione andalusa" in funzione
apertamente anticatalana.
Gli immigrati rappresentano un
consistente serbatoio elettorale per il PSOE (tra l'altro Gonzales è
andaluso) che con la sua politica alimenta le divisioni "in seno
al popolo". Per es. da qualche tempo il Governo garantisce ai
disoccupati andalusi un sussidio pressoché infinito (anche se
minimo): in pratica una specie di "salario garantito". Nel resto della penisola il sussidio
di disoccupazione dura a mala pena un paio d'anni, nonostante il
ritmo delle "riconversioni" scaraventi in mezzo alla strada
migliaia e migliaia di lavoratori, spesso l'unica fonte di reddito di
intere famiglie (vedi la consistente percentuale di suicidi tra i
neo-disoccupati).
Si tratterebbe quindi più che
altro di una operazione demagogica che rischia di deteriorare la non
sempre facile convivenza tra le due comunità.
Un ex-socialista in "crisi patoca"
mi ha fatto un confronto tra la situazione attuale delle classi
subalterne "iberiche" col socialismo "light" (non
certo rosea, simboli a parte) e quella della "Banca". A
conti fatti col PSOE al governo le banche hanno utili molto più
alti che durante il franchismo. Già i profitti realizzati nel
corso dell'85 (tenuto conto dell'inflazione ecc.) erano esattamente
il 27,1% in più dell'anno precedente, contrastando apertamente
con i circa tre milioni di disoccupati (22% del totale della
popolazione attiva dello Stato spagnolo).
Nello stesso periodo gli incrementi
salariali "concessi" dal padronato erano stati del 7% di
fronte ad un'inflazione superiore all'8%. "Una semplice coincidenza?",
si chiede.
Del resto è stata proprio la
"Grande Banca", insieme all'oligarchia fondiaria a
incaricare Gonzales & C. di gestire la "riconversione".
Come è noto la pesante
ristrutturazione dell'apparato produttivo, realizzata in tempi record
e con costi umani elevatissimi, era destinata a gravare socialmente
soprattutto sulle componenti più deboli: le classi subalterne
e i popoli minorizzati (non "minoritari" n.d.r.) della
penisola. Per la cronaca: sembra che i "tributi" maggiori
siano stati pagati dalla popolazione della Galiza, "regione"
non certo tra le più floride, mentre la resistenza più
dura ai progetti governativi è stata probabilmente quella
opposta dalla classe operaia basca (come nella "battaglia dei
cantieri Euskalduna").
Dimenticavo: a complicare ulteriormente
il panorama politico locale, nel 1987 è nato un nuovo
schieramento politico: il P.A.C. (Partito Andaluso di Catalogna)
formato soprattutto da immigrati di data recente.
Per esaurire l'argomento, spero
definitivamente, riporto alcune considerazioni su un fenomeno che
ritengo sociologicamente degno di nota, per quanto secondario.
Dietro gli orti abusivi
Migliaia di immigrati andalusi hanno
occupato a livello individuale ogni possibile area che non fosse già
coltivata (in genere demanio pubblico) e da cui fosse possibile
ricavare un orto (o una sua sottospecie). In genere la "proprietà"
si presenta come una serie di "vanese" (xe veneto, no
catalan n.d.r.) con verdure eterogenee, qualche striminzito albero di
pesche, una baracchetta in cartone e lamiera (raramente muratura) e
una coppia di poltrone (o sedili d'auto) sotto un'ombra, per la
siesta. Oltre alle rampe erbose lungo le autopistas e in prossimità
dei cavalcavia i luoghi più ambiti sono soprattutto gli ampi
greti dei fiumi in secca estiva e le rive, in passato coperte di
vegetazione.
Infatti il rigagnolo residuo fornisce
una, se pur scarsa, fonte irrigua. Inoltre (contando sulla presenza
del pozzo) sono state letteralmente abbattute, distrutte alcune
vecchie case coloniche di cui è ancora possibile riconoscere
tracce delle fondamenta (e la stessa planimetria dato che i diversi
vani sono stati usati in maniera differenziata: pomodori e melanzane
in camera, meloni nella stalla, ecc.).
Se una parete è rimasta
miracolosamente in piedi è soltanto per svolgere la funzione
di muro divisorio con la proprietà confinante.
Tutto questo mi viene illustrato dal
mio accompagnatore che intanto mi indica i ruderi della sua casa
natale riciclata in orto botanico: oltre ad un comprensibile
rammarico mi sembra di cogliere un certo astio contro gli "intrusi".
Sul pendio dell'autopista spicca un orto isolato, un vero fazzoletto
di terra ma circondato da steccati che non sfigurerebbero come
"barricadas" neanche a Donostia (in effetti ricorda Fort
Apache).
Siamo nei pressi del luogo dove
affondava le sue radici lo storico "Pino di Gallecs" (per
secoli una specie di "totem", simbolo integratore della
comunità locale) quando mi raccontano come sia avvenuta la
"colonizzazione" sulle rive del Riu che scorre poco lontano
(la versione mi è stata fornita dai nativi e confermata
candidamente da un paio di "ortolani").
Con metodo, nottetempo, quasi tutti gli
alberi che ancora crescevano fitti lungo le sponde, sono stati
avvelenati (dato che la legge proibisce di abbatterli da vivi
n.d.r.).
In proposito Juan mi spiega che "un
catalano piuttosto avvelenerebbe sua madre. L'albero è un
simbolo ancestrale frequentissimo nella cultura popolare locale".
(mi chiedo: perché, la "Mamma" no?). L'atto criminoso ovviamente suscita
riprovazione e provoca un certo risentimento (dai connotati e dai
risvolti anche un po' razzisti, mi pare) nella stragrande maggioranza
dei catalani, tutta gente con una discreta sensibilità
ambientalista e alquanto rispettosi del territorio, della "terra".
Naturalmente lo sviluppo di una coscienza "ecologica" è
direttamente proporzionale al tasso di inquinamento quotidianamente
subito.
Per quanto riguarda i "coloni"
andalusi incriminati è probabile che queste mini-proprietà
forniscano anche un ancoraggio psicologico a ex contadini e
braccianti sradicati (oltre alla sensazione di "possedere"
qualcosa a chi da sempre viene espropriato, così della terra
come del frutto del proprio lavoro...) .
Un altro motivo (pretestuoso?) per cui
questi orti sono malvisti dagli "indigeni" risiede nella
loro potenziale pericolosità in caso di piene invernali.
Infatti le infinità di steccati, tramezzi, recinzioni in cui
vengono divisi si trasformano in altrettanti sbarramenti quando le
piogge riempiono completamente gli alvei, decuplicando la portata
distruttiva delle piene stesse.
Qualche altra considerazione: pur non essendo ancora quotati in borsa
un orticello del genere vale, al mercato nero, attorno alle 100.000
pesetas. Infatti rendono bene visto che le verdure vengono rivendute
nei vari mercatini (pensando al grado di inquinamento dell'acqua
utilizzata per irrigare mi vengono sudori freddi...). Come sempre lo
spirito d'iniziativa genera emulazione e provoca concorrenza, per
contagio: faccio conoscenza con un vecchio contadino, catalano
purosangue, che ha occupato un paio di campi (di non meglio precisata
proprietà statale) non lontano dai suoi. Senza problemi costui
mi confessa di praticarvi abusivamente colture intensive con
l'impiego sfrenato di ogni possibile mezzo chimico (dai concimi ai
diserbanti più "efficaci"), pur sapendo che sono
nocivi per la salute e deleteri per i terreni, tanto "non è
terra sua".
Sul PrePireneo andata e ritorno
Arrivato (faticosamente) oltre Berga
(sul PrePireneo, Sierra del Cadì) sto valutando, del tutto
seriamente, la rilevanza storica di una lapide in "català"
posta sul muro di una baita-rifugio. Il mio interessamento nasce dal
fatto che in questi paraggi si svolsero gli ultimi scontri di una
certa consistenza tra repubblicani e franchisti (alla fine della
Guerra Civile, nel '39) nonché alcune delle imprese del gruppo
di Sabaté (el Quico) e di quello di Salvador Puig Antich (il
cosidetto M.I.L.). Vengo subitamente "smontato" da due
escursionisti i quali, molto gentilmente, mi spiegano trattarsi
soltanto di una targa ricordo di alcune gare di sci (le prime
svoltesi sui Pirenei): i nomi riportati sono quelli degli atleti e
non di guerriglieri caduti. Per salvare la faccia fotografo lo stesso
dichiarandomi interessatissimo.
(Per chi volesse saperne di più
aggiungo che la località è denominata "Rasos de
Paguera" e che nelle immediate vicinanze scorre il "Torrent
dols porxos").
L'episodio in sé banale mi
ricorda che, allo stato attuale, il catalano è quantomeno una
lingua assestata, non più solo la "lingua della
Resistenza" come durante il franchismo.
Nei boschi e prati circostanti molti
gruppi famigliari in "pellegrinaggio" al "Pi de les
tres brancas" approfittano della bella giornata per un picnic.
Il Pino (l'equivalente del basco "Albero di Guernica")
simboleggia l'unità dei tre paesi catalani e rappresenta uno
dei simboli più amati da questo popolo (assieme al famoso
"Fossar de les moreres" di Barcellona).
Niente rifiuti intorno al "Pi":
le uniche "cartacce" sparse tra l'erba ad un esame più
attento risultano volantini di "Terra Lliure"
(l'organizzazione indipendentista che pratica forme di lotta armata;
numericamente è poco consistente anche perché i
Catalani in genere privilegiano la "lotta di massa" e il
confronto culturale e politico).
Mi "emoziona" pensare che la
zona in cui sto vagando (in cerca di un fantomatico "Myogale
pyrenaica") si trova proprio tra la parte superiore del corso
del Rio Cardoner e quella del Llobregat dove (come purtroppo NON è
abbastanza noto) nel 1932 si svolsero eventi tra i più
"radicali" (qualitativamente paragonabili alla Comune di
Parigi o a quella di Kronstadt) di questo secolo (e visto l'attuale
andazzo temo anche di parecchi a venire).
Anche se, come ebbe a dire Federica
Montseny: "Cinque giorni di Anarchia non durano più
della vita di un fiore" la rivolta dei comunardi di Berga,
Fígolo, Cardone, Gironella, Sallent e Suria, dove venne
instaurato il comunismo libertario con l'abolizione della proprietà
privata e del denaro (e scusate se è poco), resta esemplare e
insuperata (dal mio modesto punto di vista, si capisce).
Invasi ed occupati
Angel e Maria Ferranda, una tipica
famiglia moderatamente "nazionalista", trascorrono
abitualmente i loro week-end nei dintorni del Pino illustre.
Non ricordano con esattezza quale sia
la data canonica delle celebrazioni e discutono animatamente se si
tratti del 24 o del 21 (ma potrebbe essere anche il 26) di giugno.
Comunque coincide con quella in cui tradizionalmente vengono accesi
falò notturni in tutta la Catalogna, al di qua e al di la dei
Pirenei.
Anche per loro comunque la ricorrenza
più importante resta la "Diada", festa nazionale
catalana dell'11 settembre, in ricordo della caduta di Barcellona nel
1714 (dopo tredici mesi d'assedio da parte delle armate di Filippo
V).
Queste vallate costituiscono quella che
i leader socialisti definiscono ironicamente la "Catalogna
profonda" da dove prese inizio la "reconquesta" contro gli
Arabi.
Questi ultimi, servendosi dell'ancor
ottimo tracciato delle strade romane, erano giunti fino a Barcellona
e Girona, ma non quassù. Non posso fare a meno di rilevare
che, con l'attuale ritmo febbrile di costruzione di nuove autostrade
(oltre al Governo madrileno sembra aver ormai contagiato anche la
stessa Generalitat, il Governo "autonomo" catalano), la
prossima eventuale invasione si porterebbe sicuramente molto più
in profondità. Mi rispondono che dal canto loro si
sentono "già invasi e occupati". Persa definitivamente ogni speranza di
riuscire a fotografare un esemplare del rarissimo (a detta dei
naturalisti) DESMAN pirenaico (a scopo di lucro, s'intende) abbandono
le plaghe silvestri e torno alle lunghe strade risalite con baldanza
qualche giorno prima.
A Berga il "català"
regna sovrano su targhe, manifesti, cartelli stradali, ecc... Sullo
stesso muro, senza soluzione di continuità, convivono un
murale della C.N.T. (Confederación Nacional del Trabajo,
anarcosindacalista, nata in Catalunya e poi estesasi a tutta la
penisola) e un altro del F.N.C. (Front Nacional de Catalunya). Il
primo ricorda ai viandanti che qui se non altro si tentò
l'assalto al cielo (Berga, come ho detto fu uno dei centri principali
della Comune del '32). Noto che in quello del "Front"
la bandiera catalana vi è raffigurata con la stella bianca in
campo azzurro, variante della più diffusa stella rossa in
campo giallo.
Ovviamente rimangono inalterati i
"QUATRE RIUS DE SANG", rossi su sfondo giallo.
Ma la storia si ripete
Tornando verso sud, in direzione di
Manresa, appena superato Sallent, ritrovo gli impianti della
"Esplosivi Rio Tinto", la nota multinazionale che opera
proficuamente anche in Sudafrica. Sfilano per circa due-trecento
metri sia a destra che a sinistra: evidentemente i locali depositi di
potassio vengono sfruttati con metodo.
Sui muri chiari della fabbrica
rispuntano le scritte di "Terra Lliure", già
intraviste numerose dalle parti di Balsareny e Navas.
Smonto e proseguo un po' a piedi lungo
lo stradone stranamente deserto (colpa dell'ora e del caldo torrido,
presumo).
Sui lunghi steli rinsecchiti ai bordi
della statale si accalcano file e grappoli di chiocciole minuscole in
letargo estivo.
L'accorgimento permette la
sopravvivenza durante quella che in alcune zone dell'area
mediterranea è senz'altro la stagione più ostile (come
è noto l'"estivazione" di gruppo viene praticata
anche dalle coccinelle, sotto le pietre, da alcuni lepidotteri come
la "Autia Caja" di Rodi ecc.). La cosa sarebbe normale e
comprensibile nel Nordafrica o nelle isole dell'Egeo ma non mi
risulta che sia stata osservata (almeno non in maniera così
consistente) a queste latitudini: avrà a che fare con qualche
mutazione climatica indotta dall'inquinamento e dal disboscamento?
Quien sabe?
Conservo l'ultimo scatto fotografico
per una scritta vista all'andata che qui riporto testuale: HAN
ASESINADO A UN OBRER EN UN PAIS DEMOCRATICO Y BAJA UN GOBIERNO
"SOCIALISTA" (firmata dal M.E.N. "Moviment d'Esquerra
Nacionalista" un gruppo molto attivo quanto non organizzato e
strutturato, con spiccate tendenze "antistataliste" in cui
convivono antinucleari, femministe, punk, "vecchi"
antifranchisti e roba del genere....).
Il polemico epitaffio si riferisce ad
un fatto di sangue accaduto nell'87, a Reinosa. La Guardia Civil
sparò contro un picchetto di operai che protestavano per una
serie di licenziamenti da "riconversione". La forte sottoesposizione metterà
poi in evidenza sulla diapositiva un'altra scritta di cui
probabilmente non avrei mai sospettato l'esistenza, ricoperta com'era
da svariate "man de bianco". Pure questa la riporto
testuale: JAVIER VEDEJO, UN ASESINATO MAS DE LA MONARQUIA (firmato
C.N.T.).
Anche Javier era stato ammazzato dalla
Guardia Civil durante uno sciopero, dodici anni prima, nel 1975.
Sarà scontato dirlo ma voglio
dirlo ugualmente: Niente di nuovo sotto il sole cocente . La storia
si ripete...SENZA FINE.
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