Rivista Anarchica Online
A nous la libertè diario a cura di Felice Accame
Critica della ragione turistica
"Nella vita, sii sempre turista",
soleva dirmi il mio vecchio Maestro, intendendo dissuadermi da un
"impegno" in cose e persone che a più che
frustrazioni e delusioni non mi avrebbe portato. Non avendogli mai
dato ascolto, mi son ritrovato a mio agio, dunque, ne Il turista
per caso di Lawrence Kasdan: film dall'architettura sobria e
rigorosa, ben giocato da interpreti conniventi (William Hurt, già
diretto da Kasdan sia in Brivido caldo, 1981, che in Il
grande freddo, 1983; Kathleen Turner, partner di Hurt in Brivido
caldo; e Geena Davis, per citare solo i più noti) e
impreziosito tanto dall'intelligenza dell'argomentazione quanto dal
tono mesto e riflessivo dei dialoghi.
Del turismo se ne può parlare,
metaforicamente, come di un atteggiamento autoproduttivo: girando di
qua e di là, cambiando spesso, il gradiente della
partecipazione non giungerà mai oltre soglie pericolose. Il
turista guarda, capisce (se capisce), forse ammira, forse depreca, ma
non gli è dato il tempo per esprimersi appieno e per rendere
propri entusiasmi e travagli altrui.
Ed è a questa natura pavida e
guardinga del turista che pensa Kasdan per disegnarci il suo
protagonista: un uomo in difesa, cui il caso - quello stesso che lo
ha reso turista - porta via irrimediabilmente il figlio ed il
matrimonio da cui era nato: uno scrittore di manuali turistici per
gente che ama più la propria poltrona degli imprevisti dietro
l'angolo; forse l'eterno indeciso che subisce gli eventi e non
sceglie mai, almeno fino a quando non si accorgerà che "la
vita non si può pianificare come un viaggio d'affari",
perché "le cose capitano". E, fra queste cose che "capitano"
c'è l'amore: quello per il quale una scelta va finalmente
fatta, quello per il quale si sacrifica la propria comoda meschinità
e si decide - in piena coscienza di una volontà comune - di
partecipare. Ad un tratto, allora, via il distacco ed ecco cose e
persone come prosecuzione di sé. Chi ama, non è più
turista: al caso si sostituisce la scelta, alla maschera protettiva
si sostituisce la spontaneità nonostante possa lasciar
trasparire i segni del tempo; e Kasdan ha la finezza di chiudere il
film sul primo sorriso aperto e gioioso del suo protagonista.
Narratore commosso e tuttavia equilibrato nell'analisi, Kasdan sa qui
approfondire i temi della sua ispirazione che già con Il
grande freddo - l'amicizia al vaglio della maturità, la
sterilita dei luoghi comuni e delle convenienze sociali, l'angoscia
sotto la chiacchiera, il vuoto sotto l'ideologia - l'hanno segnalato
alla nostra affettuosa attenzione come uno dei pochi registi
americani che ha qualcosa da dire e sa come dirlo. Lo stesso
Silverado (1985), formalmente western e dunque stretto dalla
logica del film di genere, gli va ascritto a merito insigne come
variazione divertita e spettacolare nel tramonto di una mitologia
cinematografica; come il Brivido caldo del suo debutto che, in
bilico sul "nero", evidenzia la sagacia dell'investigatore
d'anime ad ogni sequenza: le rade tappe di un percorso mai scontato e
mai banale, un percorso che, se ha condotto fino a questo Turista
per caso, può promettere altri appuntamenti cui non
mancare.
Dirlo oggi - quando registi appena
dichiarati "abili" si svendono alla prima richiesta del
mercato e quando si moltiplicano i "remake" per insipienza
narrativa-, dirlo di più di una dozzina di registi non è
facile.
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