Rivista Anarchica Online
Teatro ed emergenzaa
di Cristina Valenti
Al 2° convegno sul
tema "Teatro ed emergenza" (Bologna,16-17
aprile), si è molto parlato e discusso: del ruolo del teatro
oggi, di artisti e funzionari, dell'infelice epilogo del festival di
Santarcangelo di Romagna, ecc... Il problema delle lottizzazioni.
Il territorio del teatro è un
territorio occupato, spiegava Ferdinando Taviani, lo storico che ha
posto in tutti questi anni la propria militanza intellettuale a
fianco dell'esperienza e del lavoro creativo del teatro di gruppo. Le
burocrazie partitiche che vanno decidendo, con sempre maggiore
invadenza, delle sorti del teatro, barattando posti e persone, realtà
ed esperienze consolidate in nome di logiche politiche, costituiscono
un esercito di occupazione estraneo alla cultura del teatro, al suo
linguaggio e ai suoi valori. Così al ruolo deleterio del
mercato culturale, per cui le ragioni commerciali prevalgono su
quelle dell'espressione artistica, si assomma l'azione manovriera del
mercato politico, disinteressata alle ragioni dell'arte e non
orientata neppure da quelle del commercio, ma tutta interna al gioco
delle spartizioni di potere, ai patteggiamenti fra funzionari e
correnti di partito, ai balletti delle tessere. La provincia del
teatro interessa i vari proconsoli lottizzati non certo per i suoi
valori di cultura, ma come base di potere di cui rafforzare il
comando partitico.
A questi temi di riflessione
riconducono alcuni episodi recentemente verificatisi nel panorama
teatrale italiano e in particolare quello del cambiamento di
direzione artistica imposto al festival di Santarcangelo, inquietante
e tormentata vicenda attorno alla quale si è convocato a
Bologna, il 16 e 17 aprile scorsi, il secondo convegno "Teatro e
Emergenza".
In tutt'altra direzione
Un anno fa era stata la rottura forzata
di Leo De Berardinis con Nuova Scena, e quindi la liquidazione di una
delle esperienze più significative del teatro italiano -
voluta dalla Cooperativa in nome di una logica "razionalizzatrice"
di tipo aziendale e non artistico - a far riunire attori,
organizzatori, storici e intellettuali del teatro attorno alla
questione dell'emergenza (di spazi e possibilità) in cui versa
oggi il teatro non burocratizzato. Promotori del nuovo incontro sono
stati alcuni storici, critici e organizzatori teatrali, fra cui il
direttore uscente del Festival, Roberto Bacci, che è anche
regista e direttore del Centro di Sperimentazione Teatrale di
Pontedera.
Il documento con cui Leo aveva
convocato il primo incontro (vedi riquadro seguente) è stato
riproposto in apertura come ancora attuale e pertinente ad avviare il
dibattito. Leo aveva posto al centro l'esperienza dell'attore,
l'essenzialità e radicalità del suo lavoro, come argine
contro la "riduzione al silenzio" di un teatro che è
stato luogo di comunicazione ed esperienza alternativa per le
generazioni di teatranti che, a partire dagli anni Sessanta, hanno
scelto di essere minoranza in nome delle ragioni dell'essere opposte
a quelle dell'avere: in nome cioè delle ragioni profonde,
individuali e collettive, del fare teatro, piuttosto che delle
prospettive omologanti del successo.
Ma quale può essere oggi lo
spazio per un teatro praticato come luogo di socializzazione
alternativa, e per l'esperienza artistica intesa come possibilità
di scambio culturale ed umano fondato sull'autenticità e
l'irriducibilità delle ragioni originarie? Anche a teatro il
mondo sembra andare in tutt'altra direzione. Il convegno ha giudicato inquietanti
certi episodi: l'allontanamento di Renato Borsoni dal Centro Teatrale
Bresciano, la decapitazione delle Carmelitane di Ronconi,
spettacolo pluripremiato e certamente fra i più significativi
della stagione passata, l'avvento di Baudo, Siciliano e Proietti alla
guida di tre importanti teatri pubblici. Episodi tutti non dettati da
ragioni di ordine artistico-culturale ma da motivi di affiliazioni
partitiche (nel caso del regista che andrà a sostituire
Borsoni), di patteggiamenti e rese dei conti all'interno
dell'equilibrio delle lottizzazioni aziendali (nella vicenda Ronconi
Ater) e infine di pura politica di sotto-cultura clientelar-mafiosa
(la vergognosa triade direttiva dei teatri "d'Arte"). Accanto a questi si pone il caso di
Santarcangelo, che è ugualmente frutto della pretesa di
egemonia della politica sulla cultura. Questi in breve i fatti.
Il Festival di Santarcangelo, nato come
festival del teatro in piazza circa vent'anni fa, e trasformatosi in
festival del teatro di gruppo a partire dal '77 , con la prima
direzione artistica di Roberto Bacci, è stato per più
di un decennio luogo di incontro e sperimentazione di modi "diversi"
di produrre, organizzare e anche fruire il teatro. L'anomalia del
Festival si è realizzata negli anni attraverso una serie di
incontri eccezionali: fra oriente ed occidente, fra dimensioni
esistenziali e produttive dei teatri di nuova professionalità,
fra teatranti e studiosi, fra conflittualità sociale e
desiderio di trasformazione artistica, fra teatro e politica. Dal
1986 Santarcangelo ospitava la giornata del "Teatro Vivente",
gestita dalla Fondazione Beck, e dedicata ogni anno a un'interazione
significativa fra teatro e politica: Julian Beck nel 1986, le Madri
di Plaza De Mayo nel 1987, gli emigrati di colore nel 1988; l'89
avrebbe forse dovuto ospitare una giornata a sostegno degli obiettori
di coscienza. Nella Cittadella del Teatro si attivava per dieci
giorni all'anno una sorta di laboratorio delle menti, impegnate in
visioni laterali rispetto alla pratica culturale accademica e agli
automatismi del pensiero. E a Santarcangelo è stato possibile
incontrare i grandi maestri del teatro orientale e occidentale:
Judith Malina e Sanjukta Panigrahi, Eugenio Barba e Jerzy Grotowskj.
Così questo piccolo grande
Festival, che viveva e continuava a crescere con un budget artistico
bloccato da quattro anni a meno di 300 milioni, ma che era diventato
un punto di riferimento importante internazionalmente per il nuovo
teatro, questo piccolo grande festival ha acquistato valore di
scambio in termini politici ed ha visto minacciata la propria
indipendenza. E come merce di scambio è stato barattato
sottobanco da funzionari politici che non avevano lavorato a farlo
essere e non lo capivano. Il PSI ha chiesto il controllo della
direzione artistica del Festival in cambio dell'impegno contratto col
PCI a sanare il deficit dell'Ater; e il Consorzio del Festival, di
presidenza comunista, ha accettato il patteggiamento "scaricando"
la direzione artistica precedente. Basta un incendiario insensato, è
stato detto a "Teatro e Emergenza" per distruggere in un
momento un edificio costruito nel tempo dai migliori architetti. Così
la linea lottizzatrice del Consorzio del Festival ha liquidato quella
che è stata un'esperienza storica, anomala e irriproducibile
nel teatro italiano, e l'ha fatto senza avere nessun progetto
sostitutivo, e non potendosi neppure appellare a ragioni di utilità
commerciale (avendo il Festival della gestione precedente sempre e
ampiamente raccolto i consensi del pubblico e l'attenzione della
critica ben al di sopra dei propri limitatissimi mezzi).
Ora non è neppure il caso di
giudicare le qualità di chi ha risposto all'offerta di
direzione, dopo che molti (critici e uomini di teatro) che erano
stati interpellati (o di cui era stato fatto il nome a loro insaputa)
avevano rifiutato l'incarico. È
la qualità del suo gesto a qualificarlo come
collaborazionista: se si fosse lasciato il PSI, come si trovava, in
braghe di tela e costretto probabilmente ad affidare la carica a un
proprio funzionario senza qualità (teatrali) il brutto
pasticcio di Santarcangelo sarebbe risultato senza ambiguità.
E non è neppure il caso di fare
previsioni e giudizi sugli orientamenti e le scelte della nuova
direzione. Lo scandalo (come andrebbe chiamato se non corrispondesse
invece, come si è visto, alla regola dell'amministrazione
della cultura) è che si interrompa un'esperienza ricca e
vitale in campo artistico solo per farla propria nel momento in cui
questa ha acquistato valore grazie al lavoro di altri (credo che non
si sia falsi profeti nel ritenere che Santarcangelo non desterà
più altrettanti appetiti fra qualche edizione).
Funzionario o artista
Quali considerazioni di ordine generale
trarre dall'insieme di questi episodi. Innanzitutto che essi aprono
nel loro insieme un baratro fra momento organizzativo-gestionale e
momento creativo nella vita del teatro. Un baratro che è
culturale nella misura in cui tende ad allontanare dalla
consapevolezza storica del teatro la stretta e necessaria pertinenza
reciproca di creazione e organizzazione, I più grandi
organizzatori del teatro non sono certo stati funzionari di partito o
amministratori pubblici, ma sono stati artisti che hanno cercato di
creare le condizioni per far esistere il proprio teatro: condizioni
trovate sempre al di fuori dei luoghi istituzionali e contro le
abitudini del mercato cultural-commerciale. Si pensi a Jerzy
Grotowskj , alla sua scelta di lavorare nel teatro senza fare teatro,
e a come si è inventato il modo per farlo; e si pensi al
nomadismo di certe esperienze, da Peter Brook a Eugenio Barba al
Living Theatre: esperienze che hanno dovuto di volta in volta e di
paese in paese costruirsi le relazioni umane e teatrali che
consentissero loro di esistere. Ma si pensi anche alle strutture
realizzate stabilmente dagli uomini di teatro: il Nordiske
Laboratorium dell'Odin Teatret a Holstebro, o il centro del Bread and
Puppet nel Vermont. Strutture senza precedenti perché
costruite e inventate per rispondere alle necessità specifiche
del proprio modo di fare teatro.
La passata anomalia di Santarcangelo
aveva molto a che fare con queste esperienze storiche del teatro,
mentre la sua recente normalizzazione rientra nel quadro assai noto e
ben più misero della gestione politica della cultura. La differenza fra un funzionario e un
artista che organizza un festival è la seguente. Un artista lo
organizza con lo stesso spirito con cui ogni teatrante, almeno
all'inizio, fa teatro: perché non gli piace quello che conosce
e prova a costruire il proprio. Un funzionario lo fa per dare spazio
a quello che conosce. Così un artista crea, in realtà,
la regia del proprio festival, mentre un funzionario si limita a
farne esistere uno. Sono tutte queste considerazioni che devono far
considerare la lottizzazione di Santarcangelo ben più dolorosa
degli altri casi cui si accennava. Da un lato è anch'essa
espressione dello stesso malessere che affligge tutto il teatro, e
anche quello di nuova professionalità, e che consiste nel
definitivo arenarsi della gloriosa idea di teatro-servizio pubblico
nelle secche asfittiche delle gestioni lottizzatrici della cosa
pubblica. D'altro canto però il caso Santarcangelo rappresenta
una disillusione in più rispetto alla possibilità di
dar corpo a progetti alternativi all'interno del teatro statualmente
regolamentato. L'extraterritorialità dell'utopia può
trovar casa nel territorio istituzionale solo in momenti
straordinari, di particolare forza del movimento di opposizione. Poi
quando la logica eversiva crolla come valore di fondo del teatro è
quella del potere a rioccupare inevitabilmente il territorio.
Una possibilità
E' diventato sempre più difficile, quasi
impossibile, praticare un teatro al di fuori di speculazioni, siano
esse commerciali, partitiche o burocratiche, per cui un teatro
seriamente impegnato nella ricerca di se stesso e del suo vero
pubblico è di fatto ridotto al silenzio. Per far fronte a
questa situazione d'immobilità, forse bisogna ricorrere
all'entità essenziale e più mobile del teatro:
l'attore. Senza supporti tecnologici, senza veri e propri teatri, che
al momento gli sono negati, egli dovrebbe essere in ogni modo in
grado di far circolare le proprie idee, non rinunciando comunque a
lavorare su altri piani affinché la situazione muti. Ma anche
l'arte scenica dell'attore è in pericolo, se non morta e
sepolta, e l'attore sembra essere lo specchio fedele di questa
"riduzione" al silenzio. Si tratterrebbe allora di approfondire questa
analisi dei fatti e di creare una iniziativa comune perché
l'esperienza degli attori "diversi" non venga vanificata ma
anzi potenziata e trasmessa, con la collaborazione di tutte le forze
artistiche e culturali interessate al teatro vivente. Naturalmente questo "teatro d'emergenza"
è considerato un passaggio. Passaggio non ad un teatro di consenso, di
maggioranza, ma ad un teatro consapevole d'essere "minoranza
permanente", che deve diventare forte, non discriminata, cui
venga riconosciuto pienamente il diritto d'opposizione non soltanto
in termini formali.
Leo De Berardinis
(dal
documento di convocazione del 1° Convegno "Teatro
ed emergenza")
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