Rivista Anarchica Online
Né stato né privati
di Gruppo di lavoro su Ecologia Sociale e Bioregionalismo
della Commissione ecologia interfacoltà di Roma
Ci sembra inutile ripetere punti su
cui nel Movimento siamo tutti d'accordo: nel nostro intervento
presenteremo alcune idee che devono ancora essere discusse. Non
vogliamo forzare i tempi del dibattito ma solo favorirne
l'articolazione, proporre nuovi indirizzi di lavoro per chi sarà
interessato. 1. Il Movimento non può limitarsi a difendere le
ultime vestigia dello statalismo dagli assalti dell'economia privata.
Il modello burocratico-statalista è in crisi nell'Europa
dell'Est come in quella dell'Ovest, non si è differenziato
dalla logica di crescita della produzione e dei consumi, di monopolio
verticistico delle decisioni proprie del potere economico privato. A
chi ci accusa di non volere il rapporto dell'Università con la
realtà sociale, dobbiamo rispondere che autonomia non
significa aggiungere Fininvest e Ferruzzi allo Stato ma costruire
rapporti con quelle realtà economiche e sociali alternative
che stanno crescendo in Europa e anche in Italia: l'agricoltura
biologica, le tecnologie appropriate, il commercio paritario con il
Terzo mondo, le esperienze di lavoro cooperativo e autogestito, le
organizzazioni di base di lavoratori, l'ecologismo dell'autogestione
del territorio, i centri sociali, le comunità e i villaggi.
Certo, non si può pretendere
dalle alternative appena nate la stessa solidità di modelli
cresciuti nel corso dei secoli: ma l'incompatibilità dei
vecchi modelli con le esigenze nostre e della vita sul pianeta, ci
impone di usare la produzione culturale della nostra università
a sostegno di una rete sociale alternativa, e di orientare verso di
essa le nostre prospettive di inserimento occupazionale. I
partecipanti ai movimenti studenteschi che ci hanno preceduto sono
rifluiti nell'emarginazione o nell'integrazione in un sistema ai cui
valori ci si contrapponeva: ciò che di essi è durato,
oltre alla memoria delle loro istanze, sono proprio le esperienze
impegnate a concretizzare i valori alternativi in un diverso modo di
produrre, di consumare, di organizzare la vita sociale, di intendere
i rapporti tra i sessi, di vivere la cultura.
2. Questa impostazione potrà
favorire una maggiore sintonia con gli altri movimenti europei, con
quelli dell'Ovest che hanno già vissuto la crisi della
socialdemocrazia, e con quelli dell'Est, che non intendono certo
riproporre contro la dittatura delle merci e la svendita dei loro
Paesi al capitale occidentale, il ritorno alla pianificazione dei
Ministeri.
3. Il movimento deve andare oltre
l'obiettivo del ritiro della Legge Ruberti: neanche una "legge
buona" potrà oggi garantire qualcosa di più che
"limiti" agli interessi delle imprese e potere decisionale
per nuove burocrazie studentesche.
L'occupazione invece consente di
diffondere ciò che nessuna legge potrà mai garantire:
l'autogestione dei contenuti, dei metodi e delle finalità
della didattica e della ricerca. Il lavoro critico e propositivo
delle commissioni, il consolidarsi di canali di comunicazione
orizzontale in una istituzione dominata dalla comunicazione
verticale, sono le realizzazioni più importanti del Movimento.
A chi si preoccupa per l'agibilità
delle facoltà per quelli che vogliono studiare e fare lezione,
chiediamo se si è mai posto il problema dell'esclusione
dall'università "normale" dei 9/10 dei nostri
coetanei, quelli appartenenti alle fasce sociali e culturali più
deboli.
4. E' ora di mettere all'ordine del
giorno il problema di aumentare e dare continuità agli attuali
livelli di partecipazione: le commissioni dovrebbero considerarsi
strutture permanenti di un movimento che potrà mutare le
proprie forme di lotta, ma che non ha intenzione di abbandonare mai
più il campo alla normalità della didattica
istituzionale e dei gruppetti più o meno partitici.
All'interno, la continuità della partecipazione dipende dalla
sua ripartizione paritaria: metodi come il training non violento
possono servire ad aumentare il grado di coinvolgimento e di
comunicazione reale di tutti all'esterno, non dobbiamo indulgere in
alcuna autocelebrazione della radicalità dei nostri contenuti:
questa non deve significare rigidità formali e incapacità
di comunicare con tutti coloro che ancora non ci conoscono e non ci
capiscono.
5. Rigidità ideologiche
impediscono al Movimento di cercare la piena sintonia con movimenti e
problematiche diverse, di cui invece un approccio libertario
permetterebbe di cogliere la specificità e le affinità
sostanziali.
Si pensi al ritardo con cui si arriva
ad un confronto con i Movimenti alternativi dell'Est, e alla realtà
odierna di una sinistra occidentale che all'Est vede soltanto
socialdemocratici o stalinisti.
Si pensi al superficiale atteggiamento
di rimozione con cui si liquidano gli anni 80.
Il seminario "Vecchi e Nuovi
Movimenti" organizzato a Scienze Politiche non ci è parso
una ricostruzione obiettiva del nostro passato, e non certo per i
motivi pretestuosi addotti dalla stampa. Solo i paraocchi
dell'ideologia possono impedirci di vedere che gli anni 80, oltre che
anni di ristrutturazione e crescita del neo-capitalismo, hanno visto
anche la nascita di movimenti che del neo-capitalismo contribuiscono
a minare le basi.
L'ecologismo e il pacifismo hanno
comportato una critica radicale delle stesse ideologie di sinistra, e
come tali fanno parte del nostro patrimonio, al pari del femminismo e
delle componenti antiautoritarie del 68 e del 77.
6. Il legame con il Movimento
ecologista e con la sua cultura è inevitabile in un quadro di
trasformazione radicale e globale delle strutture e della cultura
della civiltà capital-industriale.
Non ci riferiamo all'"occupazione"
delle tematiche verdi che è stata fatta dai burocrati rampanti
di liste, partiti e associazioni, da giornalisti, scienziati,
magistrati e imprenditori.
I1 frutto di questa conversione
all'ambientalismo di "immagine" di settori sociali e
politici organici a questo modello di sviluppo, può solo
essere la riforma e la razionalizzazione di quest'ultimo e non
l'instaurazione di un rapporto stabile tra esseri umani e ambiente.
Iniziative come l'Ecoateneo, che pure
ci vedono oggi impegnati, non possono bastare: il contributo dei
docenti è importante per l'occupazione ma ne vanno tenuti
presenti i limiti. Per molti ambientalisti accademici l'ambiente è
una tematica che si sovrappone ad un impianto culturale che conserva
i dogmi dello sviluppo, della separazione tra sapere scientifico e
umanistico , tra possessori del sapere e il resto della società.
Vgliamo preparare un seminario su Ecologia sociale e
Bioregionalismo, cioè su quell'ecologismo cresciuto
sull'iniziativa diretta delle persone e su un ripensamento delle
fondamenta stesse di questo modello sociale, un tipo di ecologismo
che attualmente non ha alcuno spazio nelle università.
La cultura occidentale nelle sue varie
forme, che l'università ci impone come l'unica possibile,
dalla colonizzazione dell'America a oggi ha cercato di imporsi
sull'intero pianeta. Eppure oggi proprio quelle culture che il Nord
industriale ha cercato di annullare , da quelle degli Indios
dell'Amazzonia alle tradizioni rurali europee (che erano minacciate
in Transilvania dal potere burocratico statalista, così come
sono minacciate nel Meridione italiano dal Mercato Unico Europeo)
possono fornirci elementi per costruire nuovi rapporti degli esseri
umani tra loro e con la Terra.
7 . La nonviolenza del Movimento è
un contenuto molto dichiarato e poco approfondito. Non dovremmo
intenderla come accettazione di limiti di legalitarismo e di rinuncia
al conflitto, impostaci da un sistema che è strutturalmente
più violento di qualunque violenza degli oppressi. La
nonviolenza è nata tra gli oppressi ed è per noi
rivendicazione del diritto a ribellarci senza dover somigliare in
alcun modo agli oppressori; è l'autoappropriazione della
coerenza tra fini e mezzi; è riconoscere i metodi come parte
dei contenuti; è procedere verso una crescente maturità della
pratica eversiva contro ogni elemento violento della realtà.
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