Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 174
giugno 1990


Rivista Anarchica Online

Né stato né privati
di Gruppo di lavoro su Ecologia Sociale e Bioregionalismo della Commissione ecologia interfacoltà di Roma

Ci sembra inutile ripetere punti su cui nel Movimento siamo tutti d'accordo: nel nostro intervento presenteremo alcune idee che devono ancora essere discusse. Non vogliamo forzare i tempi del dibattito ma solo favorirne l'articolazione, proporre nuovi indirizzi di lavoro per chi sarà interessato.
1. Il Movimento non può limitarsi a difendere le ultime vestigia dello statalismo dagli assalti dell'economia privata. Il modello burocratico-statalista è in crisi nell'Europa dell'Est come in quella dell'Ovest, non si è differenziato dalla logica di crescita della produzione e dei consumi, di monopolio verticistico delle decisioni proprie del potere economico privato. A chi ci accusa di non volere il rapporto dell'Università con la realtà sociale, dobbiamo rispondere che autonomia non significa aggiungere Fininvest e Ferruzzi allo Stato ma costruire rapporti con quelle realtà economiche e sociali alternative che stanno crescendo in Europa e anche in Italia: l'agricoltura biologica, le tecnologie appropriate, il commercio paritario con il Terzo mondo, le esperienze di lavoro cooperativo e autogestito, le organizzazioni di base di lavoratori, l'ecologismo dell'autogestione del territorio, i centri sociali, le comunità e i villaggi. Certo, non si può pretendere dalle alternative appena nate la stessa solidità di modelli cresciuti nel corso dei secoli: ma l'incompatibilità dei vecchi modelli con le esigenze nostre e della vita sul pianeta, ci impone di usare la produzione culturale della nostra università a sostegno di una rete sociale alternativa, e di orientare verso di essa le nostre prospettive di inserimento occupazionale. I partecipanti ai movimenti studenteschi che ci hanno preceduto sono rifluiti nell'emarginazione o nell'integrazione in un sistema ai cui valori ci si contrapponeva: ciò che di essi è durato, oltre alla memoria delle loro istanze, sono proprio le esperienze impegnate a concretizzare i valori alternativi in un diverso modo di produrre, di consumare, di organizzare la vita sociale, di intendere i rapporti tra i sessi, di vivere la cultura.
2. Questa impostazione potrà favorire una maggiore sintonia con gli altri movimenti europei, con quelli dell'Ovest che hanno già vissuto la crisi della socialdemocrazia, e con quelli dell'Est, che non intendono certo riproporre contro la dittatura delle merci e la svendita dei loro Paesi al capitale occidentale, il ritorno alla pianificazione dei Ministeri.
3. Il movimento deve andare oltre l'obiettivo del ritiro della Legge Ruberti: neanche una "legge buona" potrà oggi garantire qualcosa di più che "limiti" agli interessi delle imprese e potere decisionale per nuove burocrazie studentesche. L'occupazione invece consente di diffondere ciò che nessuna legge potrà mai garantire: l'autogestione dei contenuti, dei metodi e delle finalità della didattica e della ricerca. Il lavoro critico e propositivo delle commissioni, il consolidarsi di canali di comunicazione orizzontale in una istituzione dominata dalla comunicazione verticale, sono le realizzazioni più importanti del Movimento. A chi si preoccupa per l'agibilità delle facoltà per quelli che vogliono studiare e fare lezione, chiediamo se si è mai posto il problema dell'esclusione dall'università "normale" dei 9/10 dei nostri coetanei, quelli appartenenti alle fasce sociali e culturali più deboli.
4. E' ora di mettere all'ordine del giorno il problema di aumentare e dare continuità agli attuali livelli di partecipazione: le commissioni dovrebbero considerarsi strutture permanenti di un movimento che potrà mutare le proprie forme di lotta, ma che non ha intenzione di abbandonare mai più il campo alla normalità della didattica istituzionale e dei gruppetti più o meno partitici. All'interno, la continuità della partecipazione dipende dalla sua ripartizione paritaria: metodi come il training non violento possono servire ad aumentare il grado di coinvolgimento e di comunicazione reale di tutti all'esterno, non dobbiamo indulgere in alcuna autocelebrazione della radicalità dei nostri contenuti: questa non deve significare rigidità formali e incapacità di comunicare con tutti coloro che ancora non ci conoscono e non ci capiscono.
5. Rigidità ideologiche impediscono al Movimento di cercare la piena sintonia con movimenti e problematiche diverse, di cui invece un approccio libertario permetterebbe di cogliere la specificità e le affinità sostanziali. Si pensi al ritardo con cui si arriva ad un confronto con i Movimenti alternativi dell'Est, e alla realtà odierna di una sinistra occidentale che all'Est vede soltanto socialdemocratici o stalinisti. Si pensi al superficiale atteggiamento di rimozione con cui si liquidano gli anni 80. Il seminario "Vecchi e Nuovi Movimenti" organizzato a Scienze Politiche non ci è parso una ricostruzione obiettiva del nostro passato, e non certo per i motivi pretestuosi addotti dalla stampa. Solo i paraocchi dell'ideologia possono impedirci di vedere che gli anni 80, oltre che anni di ristrutturazione e crescita del neo-capitalismo, hanno visto anche la nascita di movimenti che del neo-capitalismo contribuiscono a minare le basi. L'ecologismo e il pacifismo hanno comportato una critica radicale delle stesse ideologie di sinistra, e come tali fanno parte del nostro patrimonio, al pari del femminismo e delle componenti antiautoritarie del 68 e del 77.
6. Il legame con il Movimento ecologista e con la sua cultura è inevitabile in un quadro di trasformazione radicale e globale delle strutture e della cultura della civiltà capital-industriale. Non ci riferiamo all'"occupazione" delle tematiche verdi che è stata fatta dai burocrati rampanti di liste, partiti e associazioni, da giornalisti, scienziati, magistrati e imprenditori. I1 frutto di questa conversione all'ambientalismo di "immagine" di settori sociali e politici organici a questo modello di sviluppo, può solo essere la riforma e la razionalizzazione di quest'ultimo e non l'instaurazione di un rapporto stabile tra esseri umani e ambiente. Iniziative come l'Ecoateneo, che pure ci vedono oggi impegnati, non possono bastare: il contributo dei docenti è importante per l'occupazione ma ne vanno tenuti presenti i limiti. Per molti ambientalisti accademici l'ambiente è una tematica che si sovrappone ad un impianto culturale che conserva i dogmi dello sviluppo, della separazione tra sapere scientifico e umanistico , tra possessori del sapere e il resto della società. Vgliamo preparare un seminario su Ecologia sociale e Bioregionalismo, cioè su quell'ecologismo cresciuto sull'iniziativa diretta delle persone e su un ripensamento delle fondamenta stesse di questo modello sociale, un tipo di ecologismo che attualmente non ha alcuno spazio nelle università. La cultura occidentale nelle sue varie forme, che l'università ci impone come l'unica possibile, dalla colonizzazione dell'America a oggi ha cercato di imporsi sull'intero pianeta. Eppure oggi proprio quelle culture che il Nord industriale ha cercato di annullare , da quelle degli Indios dell'Amazzonia alle tradizioni rurali europee (che erano minacciate in Transilvania dal potere burocratico statalista, così come sono minacciate nel Meridione italiano dal Mercato Unico Europeo) possono fornirci elementi per costruire nuovi rapporti degli esseri umani tra loro e con la Terra.
7 . La nonviolenza del Movimento è un contenuto molto dichiarato e poco approfondito. Non dovremmo intenderla come accettazione di limiti di legalitarismo e di rinuncia al conflitto, impostaci da un sistema che è strutturalmente più violento di qualunque violenza degli oppressi. La nonviolenza è nata tra gli oppressi ed è per noi rivendicazione del diritto a ribellarci senza dover somigliare in alcun modo agli oppressori; è l'autoappropriazione della coerenza tra fini e mezzi; è riconoscere i metodi come parte dei contenuti; è procedere verso una crescente maturità della pratica eversiva contro ogni elemento violento della realtà.