Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 20 nr. 174
giugno 1990


Rivista Anarchica Online

Lettera a miei coetanei (e oltre)
di Gianni Buganza

Pubblichiamo in queste pagine alcuni stralci di una lunga lettera inviataci da Gianni Buganza quando ancora si trovava rinchiuso nel carcere militare di Peschiera del Garda, condannato a dieci mesi di carcere per aver rifiutato sia il servizio militare sia quello civile. Successivamente è stato scarcerato grazie all'amnistia. Nei riquadri pubblichiamo le dichiarazioni di due nuovi obiettori totali.

Cari amici,
vi scrivo nell'intento di puntualizzare un paio di questioni che pure, per la verità, mi sembravano alquanto scontate. Mi rivolgo a voi anche perché, dopo aver scritto mesi or sono al ministro della difesa per chiarire bene le mie responsabilità, mi sono presto reso conto che forse l'interlocutore vero, quello che veramente fa finta di non vedere e di non sentire, no, non è tanto il ministro, ma siete voi, miei cari.
Ricevo e continuo a ricevere lettere che accanto ad una doverosa risposta privata, mi hanno fornito motivi e stimoli utili al fine di abbozzare una qualche prima riflessione. Il fatto stesso, poi, che una persona che pacatamente decida, senza menzogne nei confronti di se stessa e in pratica, di scegliere di aver rispetto della propria dignità di uomo libero e pacifico (comportamento, almeno per come vedo io le cose, del tutto scontato e persino banale), diventi oggetto di tante sperticate attestazioni di stima, mi lascia perplesso ai limiti dello scandalo. Che in talune di queste attestazioni ci siano evidenti tracce di pubblica e privata ipocrisia è fuori di dubbio, ed è evidenziato da molte cose tra cui alcune non troppo velate "accuse" di "masochismo" che pur scandalizzandomi un po' meno (vista la loro palese assurdità), mi lasciano ugualmente perplesso sul grado di elementare comprensione che determinate scelte, una volta caratterizzate dal giocarsi in prima persona e dal prevalere del pragmatismo e della concretezza sull'istrionismo parolaio e ideologico, possono avere sui miei coetanei.
Ho ritenuto per questo utile rivisitare (con meno distacco del necessario probabilmente, ma come mi è possibile nella situazione in cui mi trovo ad essere) gli ambiti di questa scelta d'obiezione nella quale, pur sforzandomi, non ho trovato particolari motivi che inducono a ritenerla come qualcosa di straordinario né, tanto meno, come qualcosa di vagamente autolesionistico, anzi.

Non so voi ma io...
Già descrissi per esteso e in modo particolareggiato alcune delle principali motivazioni che stavano alla base del mio no all'esercito nella lettera che inviai al ministro nell'agosto '89 (ed essendo ora diventata pubblica, a quella mi permetto di rimandare); ora è bene piuttosto soffermarsi sulla dinamica stessa del fatto.
Perché se è vero che sono ed ero un antimilitarista, per quanto pacato e tranquillo (gli esagitati mi hanno sempre lasciato istintivamente un po' interdetto, francamente), è altrettanto vero che sono prima di tutto un individuo pensante e non un automa, perbacco. Certo: quella cartolina-precetto ha avuto la ventura di essere recapitata ad un antimilitarista ma, mi chiedo, quale persona può accettare una imposizione che, comunque sia, si presenti in tali termini? Non so voi, cari amici, ma io ho ricevuto una cartolina dal ministero sedicente della difesa nella quale mi intimava- si, mi intimava- di presentarmi, ad una tal data ed entro una tal ora (!) in una caserma militare al fine di addestrarmi alla sacra arte della macellazione di Patria - E tutto così , senza la pur minima spiegazione, anzi minacciandomi, due righe sotto, non so con quale diritto, di denunciarmi all'autorità giudiziaria se non avessi prontamente obbedito. Né dico:.. scherziamo? Non ho intenzione alcuna, la pur minima, come tutti credo, e su queste basi per giunta, di permettere a chicchessia - ripeto: a chicchessia! - di ingiungermi con tale arroganza e con l'ausilio per di più di minacce, di fare alcunché, per la miseria ! Figuriamoci poi se si tratta di usare un anno e più della mia vita e addirittura di diventare niente di meno che un militare, e il tutto - è incredibile! - senza neppure consultarmi...!
Io sono un antimilitarista d'accordo, ma mi avessero ingiunto in questi termini anche di andare a raccogliere le mele, li avrei mandati a quel paese allo stesso modo. Ma questa gente per chi mi ha preso, per un albero da spiantare qui e ripiantare più in là? Ma che cos'è, mi chiedo, quale nullità è un individuo, un uomo, la vita di un ragazzo, por questa gente?!
No, mi dispiace, non ci siamo. Rifiuto in tutta la sua estensione l'idea militare (quella dell'uomo-mezzo, dell'uomo-strumento) e rifiuto imposizioni di questo genere da qualunque parte provengano e che abbiano per di più a che vedere con la negazione del mio inalienabile diritto di considerarmi a tutti gli effetti un individuo pensante (per quanto destabilizzante sia quest'affermazione) capacissimo di fare o non fare le proprie scelte in sintonia con l'idea che ha o non ha di se stesso e del mondo che lo circonda. (Diritto che il democratico stato italiano e il suo eroico esercito si è preso le responsabilità di non riconoscermi considerando la mia fattiva e inerme opzione di pace come criminosa e relegandomi dove sono ora: in carcere).
Va da sé, cari amici, che il carattere di questo impegno di pratica affermazione della mia libertà di pensiero diventa allora una scelta di dignità contro chi me la nega, di elementare rispetto di me stesso contro chi me lo irride, ed è perciò - perché altro non può che essere almeno in prima e fondamentale istanza - una scelta fortemente, fortissimamente individuale.
Io permetto a chiunque di considerarsi un oggetto se lo vuole, lo desidera e gli piace, ma nessuno deve permettersi di considerare il sottoscritto qualcosa d'altro rispetto a quello che di giorno in giorno scelgo, pacificamente e senza sparare a nessuno, di essere. (Lo so, lo so: lo stato preferirebbe che io affermassi tutto questo sparando possibilmente a qualcuno. Mi spiace ma non lo posso accontentare. La violenza non fa parte né dei miei gusti né delle mie idee né - se mi permette - del mio stile. Per cui, faccia pazienza, dovrà accontentarsi di reprimermi così come sono).
E non volevo, non voglio (in carcere poi men che mai) essere un militare, così come consideravo altrettanto e più umiliante e illegittima l'assurda pretesa dello stato di sindacare sui travagli della mia coscienza, costringendomi "a scegliere" - apoteosi dell'ipocrisia - una finta alternativa legittimista, collaborazionista, falsa, strumentale e, per di più (come poteva mancare!) imposta.
Non avrei mai accettato tutta questa aberrante logica. Ecco infatti che detto questo, l'apparentemente sonnolento meccanismo, ben conscio e perfettamente oliato, è balzato fragorosamente in avanti: ecco infatti le manette, neanche fossi una pericolosa belva allo sbando tra le persone civili, ecco le camionette dei carabinieri, il carcere preventivo, il processo e, infine, l'immancabile condanna alla galera. E che galera poi: militare, a me, che mai lo sono stato, nemmeno per un attimo.
Che Alfredo Rocco, fine teorico e grande legislatore dello stato schiacciasassi mi perdoni e un giorno chissà m'illumini: ma io, specie innanzi a cose del genere, non intendo rinunciare a nemmeno un microgrammo della mia persona, della mia individualità e della mia più assoluta libertà di pensiero e di azione pacifica, per nulla al mondo.
No. Tanto meno per questo Stato, surrogato dolciastro d'onnipotenza, dio e balia, che si permette - dico: si permette! - di volermi "rieducare" (così recitano infatti - li si vada a vedere una buona volta i suoi tristi regolamenti) nelle sue galere militari, in una struttura che addirittura osa - e ripeto: osa! - accingersi alla "osservazione scientifica della personalità" del sottoscritto..., ma dico: stiamo scherzando?! Cos'è, un film sulla psichiatria agli inizi del secolo? Chi osa fare cosa?! Nei confronti di chi?!
... Ma io su questo Stato "rieducativo" ci defeco dallo - a questo punto - stratosfericamente alto della mia schifosa cella, per dio!
Su questa ridicola simil-gente in divisa che pretende di "osservare scientificamente" la mia personalità rovescio tutto il mio quotidiano sberleffo, che invero neanche più indignazione merita ormai.
(E se io mi so difendere da solo e bene da questa triste e grottesca marmaglia e da queste logiche allucinanti, cercando di sopravvivere qui in modo minimamente avvertito e disincantato, ricordate, cari amici che siete lì fuori, che il vostro silenzio condanna a tutto questo tanti ragazzi costretti a vivere nelle mani di gente - cappellano militare ben compreso - il cui compito tra ordini, regolamenti, ricatti, minacce e punizioni, è di cercare di convincerli che questa galera se la sono meritata e guai se fiatano. Qui dentro insomma la "rieducazione" funziona a pieno ritmo, non dimenticateli questi ragazzi, non lasciateli soli a loro stessi, non possiedono il terribile privilegio del disincanto, lo scudo dell'ironia spesso gli è ignoto e, prima o poi, mesi ed anni di questa "normalizzazione" potrebbe anche spezzargli la schiena).
Ma questi graduati da giostra meritano assai poco interesse, se non antropologico, il mandante e il mio attuale antagonista ha il loro volto ma ben altra sostanza, più seria e abbacinante, ed è Sua Potenza lo Stato, che io accuso di violenza sugli inermi, di arroganza, di infantilismo, e non riconosco - e mai riconoscerò - come il plenipotenziario della coscienza degli individui.
(Sua Potenza crede d'esserne l'incarnazione, in realtà è il frutto della loro debolezza e della loro volontaria mancanza di autoresponsabilità, ma sono cose vecchie e note).
È anche per questo non-riconoscimento che ho fatto questa scelta di obiezione, cari amici che insistete a stupirvene, una scelta che continuo a definire di ostinazione e di moderazione, fatta il più possibile ad occhi aperti, una scelta concepita e vissuta come profondamente personale in difesa della mia dignità e del mio certo confuso ma di sicuro non militarizzato e gerarchico ideale di convivenza civile (...).

Uno, nessuno centomila
Quanto al fatto di essermi dichiarato obiettore di coscienza e non violento, oltre a quello di non aver - come al solito - inteso con questo mio impegno aderire a movimenti, organizzazioni o "chiese" di sorta, forse è bene sprecar qualche altra chiacchiera, che invero ne ho già sentite delle belle in proposito.
L'antimilitarismo solitario non va da nessuna parte, mi è stato detto. E francamente questa non l'ho capita. Individuale, almeno in prima istanza, non può che esserlo. Quanto al fatto che sia solo, ebbene, per la verità non dipende da me...cari amici. Dove porti poi, è nell'etimologia del termine stesso. E a livello personale rifiutare in pratica l'esercito è parte dell'essere in sintonia con me stesso e col mio concreto ideale di pace, e se per qualcuno è poco, è cosa su cui si può facilmente soprassedere, abbia la cortesia di scusarmi, per me è tutto. E' evidente inoltre che chi così si sollazza non è, per sua fortuna, mai stato in carcere e non può capire l'importanza per i detenuti e per i militari (la cui occupazione precipua è di non far sapere all'esterno, o di minimizzarlo il più possibile, tutto lo "schifo"che c'è qui). Tutto l'infantilismo, l'arroganza, la cattiva coscienza, il non-fare come punizione, le provocazioni, l'insipienza, le logiche punitive, la stupidità "graduata": questa quotidiana oscena carneficina di dignità e di effettivo rispetto - oltre alle chiacchiere e alle ipocrisie ufficiali dei diritti umani) in misura opposta, che qui ci sia un antimilitarista e quanta irritazione e rabbia rechi se riesce a far sentire la propria voce, e quella di altri, fuori di qui (ma anche questo non dipende solo dal sottoscritto).
Che poi io sia solo o in centomila, credetemi, per me non c'è differenza alcuna. Quello che, con moderazione e con riflessione, ritengo giusto lo faccio lo stesso, dritto per la mia strada, tranquillo come non mai. E questa ossessione da numero, questa contabilizzazione aritmetica applicata alle idee, al loro successo volgare, evidente, numerico (senza il quale, per carità!, "non sei nessuno"), ritengo che sia uno dei soliti innumerevoli cavalli di frisia che presidiano le ampie zone deboli del nostro decidere.
Non accetto e non accetterò mai di essere un soldato, anche senza divisa come gli obiettori di convenienza: questo importa, e che sia solo o in mille che conta? In questa galera non ci volevo certo venire (!), ma visto che mi ci hanno relegato con la forza, starci a testa alta è per me importante, dato che non ho proprio nulla di cui vergognarmi. Non sono però (o almeno credo) fanatico né stupido: so perfettamente - la cosa può certo preoccuparmi ma non mi distoglie un attimo dal mio proposito - che dell'antimilitarismo messo in pratica di persona non importa ovviamente niente a nessuno o quasi (troppi rischi personali, scherziamo?!). Appartengo a quello sfigatissimo gruppo di Cassandre a cui viene dato regolarmente e facilmente ragione subito dopo le tragedie, davanti ai propri morti, agli scomparsi, ai torturati, trent'anni dopo averlo detto. Le cose stanno così, che fare. Attualmente sono l'unico antimilitarista incarcerato in tutta Italia, e quarantamila persone, proprio durante l'apertura dell'immondezzaio di Ustica vanno ad Istrena ad applaudire il capo di stato maggiore dell'aeronautica militare che inaugura qualche suo nuovo aereo strumento di morte (anzi, pardon, "di difesa"). Che volete, da fare c'è quello che ognuno ha o non ha dentro. Chi lo capisce lo capisce insomma: lo sente. Chi non vuole star a sentire, specie se gli fa comodo farlo, evita.
Puoi fare i salti mortali, vestirti da clown, gridarlo in continuazione, non c'è molto da fare (se non informare, come sto facendo ora, ma anche qui gli spazi sono ristretti, le strumentalizzazioni un rischio continuo, e i giornali se la fanno addosso a darti la parola). L'indignazione non è più di moda, le infamie militari hanno coperture patinate, i carri armati sono interpretati come fossero innocui soprammobili, e la gente ormai è assuefatta a tutto.
Per cui io, piccolo piccolo, tranquillo e in compagnia di me stesso, un passo dietro l'altro, anche all'interno di questa maledetta gabbia, faccio quello che ritengo giusto e continuo per la mia strada. Di seguiti, anche minimi, non ne cerco e non ne voglio, e mi fanno orrore in genere. Delle solidarietà a chiacchiere me ne infischio altamente (le conosco troppo bene) -, faccio come sempre quello che credo come posso senza - soprattutto!-- demandare nessun altro a farlo al posto mio, e più di scrivervi privatamente e pubblicamente le mie ragioni e le mie opinioni, visto che me le chiedete pressantemente , cari amici, altro non posso fare.

Pacatezza dei toni
Ho sempre cercato , tra errori indicibili, di abbattere quel magico cerchio di debolezza dell'istinto subordinativo di delegare e chissà chi la libertà - che è libertà straordinaria - di dissentire o di assentire ad alta voce, di persona, direttamente, rivendicando il diritto di non essere per questo repressi o messi a tacere; ho sempre cercato con accanimento di recidere questo nodo gordiano per schiudermi, in modo magari un po' sbandato, all'occidente e all'oriente di me stesso. Che volete che m'importi del numero di quanti ho a fianco o davanti? Dovrei per questo arretrare o avanzare? Ma figuriamoci. Non lo credo proprio, non lo credo affatto. Uno degli aspetti più interessanti della cosiddetta società democratica era che nello sforzo (onesto, disonesto?) di farci diventare "tutti uguali" (di fronte a chi e a che cosa dovremmo ormai averlo capito), ci ha fatto diventare un bel gregge di gregari. E, per inciso, la presenza della coscrizione obbligatoria è, nelle contingenze politiche evolute, una pietra miliare di questo infantile disegno, gregari di qualcosa, di qualcuno, delle nostre ambizioni ad ogni costo, delle nostre paure: ecco il peggior tipo di eguaglianza possibile, l'eguaglianza dei gregari. E invece no, nel mio piccolo ritengo che bisogna riprendere gusto ai grandi passi, alle grandi sfide , senza enfatizzarsi in esse ma senza sminuirsi nemmeno. Cercando la moderazione, la pacatezza dei toni, non il compromesso più laido e gli accordi politici contro natura. E non basta più - ecco l'altra faccia - dire quello che si pensa sia giusto, bisogna darsi coraggio e ricominciare a farlo.
Con misura, senza violenze, io credo, ma anche con decisione, con convinzione, senza farsi intimorire (ed ora, per esempio, vivo in una struttura atta all'intimorirmi, come funzione ed assenza). Il rischio di far la pipì fuori dal vaso c'è, è lì, evidente, ma perché terrorizzarci per questo? Al cuore del problema voglio andarci con i piedi miei. E la costante predisposizione a mettersi in dubbio non deve impedirmi di fare e di dire, sempre e comunque, ad alta voce e con chiarezza, senza infingimenti, quello che penso. Senza prendersi mai troppo sul serio, certo, ma anche senza annichilirsi per questo. Di graduati, guardatevi attorno, ce ne sono più li fuori che qui dentro. E troppi di noi evitano di guardarli dritti negli occhi, troppi di noi a vent'anni già chinano la schiena e leccano, speranzosi, tristi e oscene pappe.
Riappropriamoci di noi stessi e piantiamola con certi alibi da numero, da delega, da potere e da consenso a tutti i costi: ecco tutto quello che cerco di dire. Sbagliamoci pure, ma in prima persona, in modo aperto, chiaro, visibile, assumendoci le nostre responsabilità , alla luce del sole, e andandocene a casa, se necessario. Il tanto declamato rispetto dei diritti umani, dei diritti sociali, la correttezza, la tolleranza, la lealtà, la chiarezza bisogna imparare ad esigerli da noi stessi, invece di star qui - eterne vittime - sempre a urlare e a piagnucolare chiedendolo agli altri per noi, che sia l'istituzione, la società, il politichetto di turno, dio onnipotente o la compagna di letto di cui ti sei stancato a non sai come dirglielo.
A fare i ribelli e i disobbedienti a chiacchiere siamo buoni tutti (e in certi ambiti politici serve anche a far carriera alla grande...). Nella mia incapacità ho scelto di reagire a tutto questo: tutto troppo assurdo.
Nei primi tre giorni di galera in isolamento a Forte Boccea, una sola e unica, retorica, infastidita, arrabbiata, continua domanda mi veniva indirizzata dagli ufficiali: "perché non ha fatto il servizio civile? Perché?!" Signornò! Ancora una volta e ancora più forte! Per chi mi avete preso, per un imboscato? Nossignori, sono qui: lo avete voluto ingabbiare e ora ve lo beccate questo antimilitarista, tranquillo sì, per indole, ma inflessibile come una sbarra sulle questioni di principio, e sono affari vostri, adesso, militari (...). Lo stesso - controprova ennesima - quando ad un mese dalla chiamata mi sono guardato attorno, non ho trovato nessuno. Proprio nessuno. Non che mi interessasse minimamente trovare qualcuno, ben inteso, n‚, avendo chiaro il passo, mi chiedevo come fosse semplicemente possibile essere l'unico antimilitarista non a chiacchiere in circolazione.

Tanto intriso di dubbi
Era desolante - gli unici che mi hanno indicato - e alla fine me ne sono persino stupito - erano una coppia di simpaticissimi ragazzi che però, e del tutto legittimamente per i loro ideali, inquadravano la concretezza di un impegno antimilitarista diretto in una logica più ampiamente antistatale definendosi politicamente come anarchici. Francamente degli anarchici non se sapevo proprio nulla. Non sapevo neanche ne esistessero ancora di organizzati. Di loro avevo solo una sbiadita immagine storica e di filosofia politica simpaticamente velleitaria e, per la verità, un po' bombarola.
In questo brevissimo periodo li ho conosciuti meglio e me ne sono fatto una buona ragione, ben più nobile, devo dire, ben più alta. E quando si sono offerti di aiutarmi non mi hanno chiesto nessuna patente e nessun documento politico d'identità: per quanto riguardava l'impegno antimilitarista fatto in modo concreto avevamo semplicemente identità di vedute: di che altro c'era bisogno?! Io non sono l'ho detto e lo ripeto - anarchico e nel frattempo non lo sono diventato, naturalmente. Sono troppo intriso di dubbi (che in genere complico invece di risolvere) e ancora in piena, costante ricerca per essere comunque parte di qualcosa che non sia me stesso, nel suo disordine, nel suo caos, nella sua eccessivamente ostentata, e dunque un po' patetica, indipendenza. Ma per quanto riguarda il fronte antimilitarista sono orgoglioso di averli conosciuti e di avere alcuni di loro accanto (e li ringrazio per tutto l'aiuto, la solidarietà concreta e l'affetto con cui mi hanno sostenuto). Fino a questo momento sono stati con me dei sinceri e dei generosi senza contropartite: cosa rara, quasi unica di questi tempi (con certi squali che incrociamo sempre dappresso). Ed è in generale gente, poi, che sa giocarsi in prima persona, concretamente, senza farsela sotto: una boccata d'aria, per la miseria! (In verità per questo sono stato anche severamente redarguito, e la cosa mi ha divertito moltissimo. Qualche simpatica amica - di "sinistra", ovviamente, con quella ormai caratteristica puzza sotto il naso dei "sinistri" - mi ha scritto scandalizzata, dopo avermi omaggiato di molti immeritati apprezzamenti, si è stupita che "una persona" come te, Gianni, avesse a che fare con "questi'". - Che cosa mi era successo? Ero impazzito? L'arditezza della prova mi aveva così scosso da portarmi a chissà quali conversioni? Avevo forse bisogno di aiuto, di sostegno "politico"? Ebbene: che lo chiedessi ! Che mi rivolgessi a loro, avrebbero scomodato amici, potentoni e potentini, intellettualini e intellettualoni, tutti insomma per aiutare il Gianni, quel simpatico scavezzacollo velleitario in uno dei suoi colpi di testa. Dire che questa corrispondenza mi ha divertito, è dir poco. Sarò ordunque solenne: vi assicuro che gli anarchici, ancorché purtroppo pochi assai, sono persone ottime, mediamente intelligenti, anche colte..., non dicono male parole (se non quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza quotidiana), sono persone pulite, lavate, ben educate, ben vestite e qualcuna persino... alla nostra altezza, care amiche. Lo so, vi sembrerà incredibile, ma è così, ve lo assicuro, ne ho conosciuti e sembrano persone in tutto e per tutto uguali a noi, mie care e premurose amiche.
E anche alcuni di loro (non tutti) avevano capito che, al punto in cui si è, l'obiezione di convenienza non aveva più nulla a che fare con l'antimilitarismo e con le scelte di coscienza. E la stessa ribellione della coscienza di fronte alle brutture militariste, ribellione senza padrini politici, partitici o religiosi, era stata soffocata nell'ipocrisia del cosiddetto servizio civile, nell'obiezione di coscienza di Stato (a cui, del tutto opportunamente, la stessa corte costituzionale nella sua ultima sentenza in materia ha giustamente cassato il "di coscienza").
Ed è molto bello avere di fianco alcuni cari amici che dopo avere fatto questo assurdo "servizio civile" e dopo averci pensato sopra, ora ritornano sui loro passi e si schierano vicini a questo impegno. Questa loro riflessione silenziosa, solitaria, e se sincera certo sofferta, vale ben più di tutte queste mie vane chiacchiere.

Meglio non sapere?
Per come la penso io, i veri obiettori di coscienza in Italia - di cui nessuno parla, nessuno si occupa, di cui tutti i vari movimentini fanno opportunamente finta di non accorgersi - sono quelle decine di ragazzi, disertori, insubordinati istintuali, ribelli e basta (senza tante analisi e tanti intellettualismi), che chiusi nel silenzio delle otto galere militari italiane, sepolti negli ospedali militari, "fatti fuori" con gli articoli di seminfermità mentale (e deve essere proprio curioso essere dichiarati folli da dei militari...), sono dimenticati in odissee carcerarie lunghe tre, cinque, sette, diec'anni, sacrificati sui prestigiosi altari della follia di patria, rovinati per questo orrido catafalco che è la vergogna militare, per questo simbolo stantio, trattati come nullità, scartoffie, intralci, numeri, fastidi. Qualcuno prima o poi dovrà avere il coraggio di far pagare il conto ai responsabili e gli indifferenti per queste vite disperse, rovinate, pestate, segregate, dimenticate in questi lager dai balconi esterni fioriti, in balia d'avvocati d'ufficio e di imbecilli in divisa privi del più tenue umano sentire.
La maggioranza di questi ragazzi non sa quasi scrivere, leggere (per quanto mi sia doloroso rimarcarlo, essere costretto a dirlo, a metterlo in evidenza quasi fosse chissà cosa), non hanno costruito chissà quali altisonanti strutture teoriche per sublimare il loro disobbedire, non hanno nessuna voce per farsi udire ("ma poi chi è che li vuole ascoltare, questi !"), e forse non hanno neanche più nulla da dire se non vivere in silenzio e solitudine la loro disperazione e la quotidianità dell'oltraggio che subiscono.
Sono qui, in galera, perché non hanno semplicemente capito perché mai dovevano ossequiare un bastardo in gradi e divisa che gli riversava addosso quotidianamente una quantità assurda di insulti e di urli, non hanno capito che motivo c'era di imparare a guidare un cingolato, di stare sull'attenti per ore con un fucile in mano, o di sparare a qualche sagoma umana, non hanno capito chi era il nemico e se c'era dov'era, non hanno capito perché erano rinchiusi "a far niente" in una caserma lontana centinaia di chilometri da casa e dai loro affetti, non hanno capito perché dovevano assaporare e subire il gusto dell'offesa e del sopruso (quale vertigine, il potere!) volutamente gratuito (e per questo educativo, formativo) del più forte sul più debole, del graduato sul sottoposto, sul più solo, più diverso, dal dialetto più strano, più lontano, e non hanno capito, infine, le manette dei carabinieri e tutte quelle urlate e fisiche minacce al loro avvio, naturale, umano rifiuto di tutto questo. E adesso sono qui che continuano a non capire perché da due , tre, cinque anni li hanno rinchiusi in galera; perché se si rifiutano anche qui di farsi umiliare come in caserma si beccano altre punizioni, altre umiliazioni, altri processi, altri anni, gli si prospetta l'infermità mentale ("ma sono io, che rifiuto questo schifo, il matto?") ; perché i loro parenti a casa si vergognano di loro; perché la propria madre è piegata dal dolore quando viene a trovarli; perché la segregazione e la costrizione in galera diventa sempre e comunque coazione.
Sono loro i veri obiettori di coscienza. Tutto questo mio impegno, nella sua determinazione, è ridicolo e non vale una cicca davanti al loro dramma, al loro coraggio, alla loro vita, al loro "basta!", al loro represso istinto di non sottomissione. Io sono solo uno spocchioso privilegiato, uno snob. Sono loro gli obiettori di coscienza, gli unici che questo testimone da due soldi del sottoscritto rispetta davvero. Ecco quello che voi, cari amici, non volete né sentire né vedere. Mi scrivete così, per cortesia, per scrupolo, per sincero affetto personale, anche, ma, per carità, non vogliamo sapere, non vogliano sentire, e soprattutto non vogliamo capire. Certe realtà, è vero, dan fastidio, costringono i più sensibili a prendere una posizione, e allora è meglio evitare, meglio non sapere. Questo è uno dei tanti, innumerevoli cannocchiali di Galileo ai quali ci rifiutiamo di porre l'occhio, non perché ci potrebbe essere veramente qualcosa da vedere lassù, no, ma per il dubbio stesso che possa esserci (...).

 

 

Il mio NO contro il servilismo

Io sottoscritto Alpi Stefano, nato a Imola il 10/2/1971, residente a Fontanelice, dichiaro la mia insubordinazione e la conseguente assoluta indisponibilità verso il servizio militare e verso il servizio civile sostitutivo.
Per immediatezza di comprensione chiarisco subito che, per la mia interpretazione del mondo e dell'uomo, mi definisco anarchico.
Il diventare parte integrante di una di queste forme di coercizione significherebbe, per me, l'andar incontro a tutti i miei principi libertari.
Considero la chiamata alle armi un attentato spudoratamente dichiarato contro la mia dignità, un crimine legalizzato che continua ad alimentarsi grazie all'ignoranza e alla rassegnazione creata dal ciclo educativo standardizzato del potere, un ciclo educativo che inizia a pochi giorni dalla nascita, con il battesimo, che continua negli asili, nelle scuole, e arriva al culmine con il più potente lavaggio del cervello mai creato, il servizio militare. Così ogni anno circa 200.000 giovani vengono sequestrati dalle loro vite, dalle loro famiglie, dai loro amici, dai loro amori, per essere scaraventati in questo lugubre e insanguinato rito di iniziazione (insanguinato perché nei soli 3 anni antecedenti a questo i "morti per la patria" sono stati 1260 tra suicidi e incidenti). Gli vengono trasmessi quelli che reputo i peggio valori che questo sistema ha prodotto per la sua autoconservazione: il servilismo, il culto della forza, l'eroismo.
Il fine di tutto questo è quello di sfornare individui consenzienti e rassegnati che (dopo essere stati indottrinati, filtrati e catalizzati) verranno introdotti nell'universo di sfruttamento, dell'uomo sull'uomo, su cui si basa questa società.
Per quanto riguarda il servizio civile le mie considerazioni non cambiano di molto, in quanto, il concetto stesso di obbligatorietà sostitutiva è contrario a qualsiasi concezione e pratica di libertà e di rispetto della coscienza individuale, e diventa (soprattutto) un comodo alibi per procacciarsi manodopera a paga simbolica, ha lo stesso potere di coercizione, riduce ad uno stato di schiavitù e sottopone alle stesse gerarchie militarizzanti.
Altre mie motivazioni e considerazioni verranno propagandate sugli opportuni organi di stampa.

Stefano Alpi

Dopo 5 mesi di servizio civile non posso più tacere

Al Ministro della Difesa – Roma
p.c. Distretto Militare Principale di Chieti – CH
Comando Compagnia CC – Chieti
Consiglio Direttivo A.N.F.F.A.S. - Chieti
A.N.F.F.A.S Sede Nazionale – Roma
pubblicazioni antimilitariste anarchiche e/o nonviolente

Ma è sufficiente che una sola goccia riesca a filtrare attraverso una diga, o che da un enorme edificio si stacchi un solo mattone, o che nella più salda delle reti si sciolga una sola maglia, perché la diga si rompa e l'edificio crolli, e la rete si disfi.

(L. Tolstoj – L'avvicinarsi della fine)

Io, Stefano Fosco, nato a Mar del Plata (Argentina) il 28.12.1962 e residente a Ari (Chieti), riconosciuto obiettore di coscienza a norma di legge 772 del 15.12.1972 e regolarmente in servizio presso l'ente A.N.F.F.A.S Sezione Provinciale di Chieti dal 12.12.1989, dichiaro la mia ferma ed irremovibile indisponibilità a continuare, per un solo giorno in più, detto servizio.
Tale mia decisione non è da collegare in alcun modo a dissensi o contrasti coi responsabili dell'Ente cui sono stato assegnato (ed in vero, non credo di aver neanche offerto le occasioni per simili contrasti).
La mia non è una richiesta di trasferimento presso altro Ente convenzionato, ove poter completare il Servizio Civile; così come non vuole essere una autoriduzione, azione già intrapresa da altri obiettori di coscienza.
Semplicemente chiedo di essere lasciato in pace e di non aver più nulla a che fare col suo Ministero e con i suddetti "sacri doveri" del cittadino. "Ciò che debbo fare, comunque, è di procurare di non prestarmi all'ingiustizia che condanno". (H.D. Thoureau – Saggio sulla disobbedienza civile).
E per me, è divenuto impossibile conciliare il mio antimilitarismo libertario e nonviolento con un servizio di difesa della sua o di qualsiasi altra Patria.
Di seguito cercherò di spiegarle come il servizio civile sia divenuto incompatibile con il mio modo di essere; ma prima credo sia doveroso un cenno al mio rifiuto allo stesso servizio militare.
Purtroppo, quando, nel dicembre '88, presentai la domanda per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza, ritenni superfluo motivare in maniera estesa il rifiuto all'esercito e, di certo, quello fu un grave errore. Infatti la seguente motivazione – "(il sottoscritto) dichiara inoltre di motivare la sopracitata richiesta in relazione ad una personale concezione etica basata sul rifiuto di ogni forma di violenza, sia essa individuale o di gruppo, come metodo per la risoluzione di qualsiasi contrasto". - è stata considerata, dai suoi militari, così innocua che non ho avuto nemmeno la "gradita" visita dei carabinieri. Ciò è dovuto sicuramente alla perdita, pressoché totale, della carica sovversiva e rivoluzionaria della nonviolenza in Italia, infangata sul nascere da parrocchie, partitini e financo dal servizio civile.
Comunque sia, tengo a precisare che non sono mai stato affascinato dall'idea di poter divenire un soldato, tanto profondo è il disprezzo che provo verso questa "professione". Il totale annullamento dell'individualità, la distruzione della propria coscienza, il continuo lavaggio del cervello ed altre assurde imposizioni che i giovani subiscono durante il periodo della leva, sono stati motivi sufficienti per allontanarmi dall'esercito. In merito, condivido pienamente quanto affermò Tolstoj in "Promemoria dell'ufficiale": "Non si può cancellare da un uomo tutto ciò che egli ha di umano e ridurlo ad una condizione di una macchina, se non torturandolo, e non soltanto torturandolo, ma facendogli patire, nel modo più raffinato e crudele, insieme alle torture, anche tutta una serie di inganni".
Certo, dai tempi di Tolstoj, molte cose sono cambiate ed i soldati non subiscono più, o quasi, torture fisiche; ma allora vorrei proprio capire il perché di tanti suicidi o casi di autolesionismo fra i giovani militari. Ma è soprattutto attraverso gli inganni, esercitati su inermi ragazzi, che i militari riescono a conservare intatto il loro potere. "Sotto la varie forme con cui si è ammantato, l'esercito, nell'evoluzione dell'umanità rappresenta la casta che, fra le prime, impose la sua autorità agli altri individui per divenire oggi una forza autoritaria messa al servizio dei plutocrati dell'industria, della finanza e della politica". (Hem Day – Dall'antiautoritarismo all'anarchia).
È proprio questa la vera funzione sociale dell'esercito, violento o nonviolento che sia; e non quanto ho trovato in un delirante messaggio pubblicitario dell'esercito italiano: "Quinta potenza economica del mondo, l'Italia è oggi un paese in corsa lungo la strada del progresso e del benessere di tutti i cittadini. E garantire la pace, oggi, significa creare le reali condizioni di sicurezza perché tutti possano vivere e lavorare serenamente costruendo il proprio futuro in piena libertà. Questa è la prima missione dell'Esercito".
Simili messaggi sono così falsi da sembrare credibili e certamente i suoi generali, in una società in cui i "veri uomini" sono in forte diminuzione, devono cercare sempre più nuove strade per incastrare i giovani.
Fra queste c'è il sicuramente il servizio civile; quello stesso servizio che io ho prestato per ben 5 mesi, illudendomi di lavorare al contempo per una società senza eserciti, senza Istituzioni liberticide, senza oppressione dell'uomo sull'uomo, e dell'uomo sugli altri esseri viventi. Ed invece sono stato semplicemente una sua pedina, un insignificante numero di matricola relegato a svolgere un lavoro in apparenza utile, ma che, inserito nel perverso meccanismo della 772, ha avuto il solo scopo di legittimare l'esistenza delle odiose istituzioni repressive. Infatti, non credo che l'obiezione di coscienza istituzionalizzata abbia ancora un qualsivoglia legame con l'antimilitarismo, con quelle durissime lotte che tanti miei fratelli stanno portando avanti nei luoghi più disparati del pianeta, ma tutte tese all'abolizione degli eserciti, alla distruzione degli armamenti ed alla creazione di una società diversa.
Lo riconosco, il mio è stato un errore di valutazione. Infatti ancora pochi mesi prima di iniziare a servire la sua Patria, mi illudevo nel "trovare le condizioni per svolgere un servizio civile veramente alternativo" (XII Incontro – Dibattito "Anarchia e nonviolenza").
Ma io queste condizioni non sono riuscito proprio a trovarle, e non credo si tratti soltanto dei miei limiti personali.
In realtà è l'istituto servizio civile stesso ad impedire la concreta maturazione di valide alternative al militarismo. Non spiega altrimenti la paradossale situazione italiana dove ad un numero sempre crescente di obiettori in servizio civile (oltre 13.000 nell'89) corrisponde un costante calo dell'impegno antimilitarista.
A conferma di tale stato di cose c'è l'assoluto silenzio di migliaia di obiettori "contrari ad ogni circostanza all'uso personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza! (art. 1, legge 772), nel momento in cui il suo governo decide di militarizzare il territorio italiano per difenderci (!) dai tossicodipendenti e dagli immigrati.
Ho letto, in proposito, i suoi distinguo tra forze armate e forze di pubblica sicurezza; ma io queste differenze non riesco proprio a comprenderle: si tratta pur sempre di "uomini con un identico abito variopinto pronti a rispondere, inconsciamente, con i debiti movimenti a determinati gridi del proprio superiore" (Tolstoj). L'obiezione di coscienza al servizio militare, alle armi, all'uso della violenza non può e non potrà mai essere una delega ad altri, militari o poliziotti che siano, per la difesa da presunti invasori o malfattori. Questa obiezione di coscienza, e non quella istituzionalizzata, non deve avere alcun rapporto di sudditanza col suo Ministero o con gli stessi Enti. In realtà sono proprio questi ultimi che, in non pochi casi, (costretti come sono dal ricatto economico di avere manodopera da sfruttare a costo zero) aiutano in maniera esemplare i suoi generali all'opera di addomesticamento dello spirito ribelle ed anticonformista di quei pochi giovani che ancora riescono a gestire la loro propria individualità; nonostante la famiglia, la scuola, la religione, ecc..
Ed allora per quelli che, come me, continuano a credere nell'obiezione di coscienza alla coscrizione obbligatoria come metodo di lotta antimilitarista, non resta altra via che quella del rifiuto, netto e senza compromessi, del servizio militare e dello stesso servizio civile.
Ecco perché non posso violentare oltremodo la mia coscienza.
Ecco perché non posso più tacere. Saluti.

Stefano Fosco (Ari)