Rivista Anarchica Online
Lettera a miei coetanei (e oltre)
di Gianni Buganza
Pubblichiamo in queste pagine
alcuni stralci di una lunga lettera inviataci da Gianni Buganza
quando ancora si trovava rinchiuso nel carcere militare di Peschiera
del Garda, condannato a dieci mesi di carcere per aver rifiutato sia
il servizio militare sia quello civile. Successivamente è stato
scarcerato grazie all'amnistia. Nei riquadri pubblichiamo le
dichiarazioni di due nuovi obiettori totali.
Cari amici,
vi scrivo nell'intento di puntualizzare
un paio di questioni che pure, per la verità, mi sembravano
alquanto scontate. Mi rivolgo a voi anche perché, dopo aver
scritto mesi or sono al ministro della difesa per chiarire bene le
mie responsabilità, mi sono presto reso conto che forse
l'interlocutore vero, quello che veramente fa finta di non vedere e
di non sentire, no, non è tanto il ministro, ma siete voi,
miei cari.
Ricevo e continuo a ricevere lettere
che accanto ad una doverosa risposta privata, mi hanno fornito motivi
e stimoli utili al fine di abbozzare una qualche prima riflessione.
Il fatto stesso, poi, che una persona che pacatamente decida, senza
menzogne nei confronti di se stessa e in pratica, di scegliere di
aver rispetto della propria dignità di uomo libero e pacifico
(comportamento, almeno per come vedo io le cose, del tutto scontato e
persino banale), diventi oggetto di tante sperticate attestazioni di
stima, mi lascia perplesso ai limiti dello scandalo. Che in talune di
queste attestazioni ci siano evidenti tracce di pubblica e privata
ipocrisia è fuori di dubbio, ed è evidenziato da molte
cose tra cui alcune non troppo velate "accuse" di
"masochismo" che pur scandalizzandomi un po' meno (vista la
loro palese assurdità), mi lasciano ugualmente perplesso sul
grado di elementare comprensione che determinate scelte, una volta
caratterizzate dal giocarsi in prima persona e dal prevalere del
pragmatismo e della concretezza sull'istrionismo parolaio e
ideologico, possono avere sui miei coetanei.
Ho ritenuto per questo utile rivisitare
(con meno distacco del necessario probabilmente, ma come mi è
possibile nella situazione in cui mi trovo ad essere) gli ambiti di
questa scelta d'obiezione nella quale, pur sforzandomi, non ho
trovato particolari motivi che inducono a ritenerla come qualcosa di
straordinario né, tanto meno, come qualcosa di vagamente
autolesionistico, anzi.
Non so voi ma io...
Già descrissi per esteso e in
modo particolareggiato alcune delle principali motivazioni che
stavano alla base del mio no all'esercito nella lettera che inviai al
ministro nell'agosto '89 (ed essendo ora diventata pubblica, a quella
mi permetto di rimandare); ora è bene piuttosto soffermarsi
sulla dinamica stessa del fatto.
Perché se è vero che sono
ed ero un antimilitarista, per quanto pacato e tranquillo (gli
esagitati mi hanno sempre lasciato istintivamente un po' interdetto,
francamente), è altrettanto vero che sono prima di tutto un
individuo pensante e non un automa, perbacco. Certo: quella
cartolina-precetto ha avuto la ventura di essere recapitata ad un
antimilitarista ma, mi chiedo, quale persona può accettare una
imposizione che, comunque sia, si presenti in tali termini? Non so
voi, cari amici, ma io ho ricevuto una cartolina dal ministero
sedicente della difesa nella quale mi intimava- si, mi intimava- di
presentarmi, ad una tal data ed entro una tal ora (!) in una caserma
militare al fine di addestrarmi alla sacra arte della macellazione di
Patria - E tutto così , senza la pur minima spiegazione, anzi
minacciandomi, due righe sotto, non so con quale diritto, di
denunciarmi all'autorità giudiziaria se non avessi prontamente
obbedito. Né dico:.. scherziamo? Non ho intenzione alcuna, la
pur minima, come tutti credo, e su queste basi per giunta, di
permettere a chicchessia - ripeto: a chicchessia! - di ingiungermi
con tale arroganza e con l'ausilio per di più di minacce, di
fare alcunché, per la miseria ! Figuriamoci poi se si tratta
di usare un anno e più della mia vita e addirittura di
diventare niente di meno che un militare, e il tutto - è
incredibile! - senza neppure consultarmi...!
Io sono un antimilitarista d'accordo,
ma mi avessero ingiunto in questi termini anche di andare a
raccogliere le mele, li avrei mandati a quel paese allo stesso modo.
Ma questa gente per chi mi ha preso, per un albero da spiantare qui e
ripiantare più in là? Ma che cos'è, mi chiedo,
quale nullità è un individuo, un uomo, la vita di un
ragazzo, por questa gente?! No, mi dispiace, non ci siamo. Rifiuto
in tutta la sua estensione l'idea militare (quella dell'uomo-mezzo,
dell'uomo-strumento) e rifiuto imposizioni di questo genere da
qualunque parte provengano e che abbiano per di più a che
vedere con la negazione del mio inalienabile diritto di considerarmi
a tutti gli effetti un individuo pensante (per quanto
destabilizzante sia quest'affermazione) capacissimo di fare o non
fare le proprie scelte in sintonia con l'idea che ha o non ha di se
stesso e del mondo che lo circonda. (Diritto che il democratico stato
italiano e il suo eroico esercito si è preso le responsabilità
di non riconoscermi considerando la mia fattiva e inerme opzione di
pace come criminosa e relegandomi dove sono ora: in carcere).
Va da sé, cari amici, che il
carattere di questo impegno di pratica affermazione della mia
libertà di pensiero diventa allora una scelta di dignità
contro chi me la nega, di elementare rispetto di me stesso contro chi
me lo irride, ed è perciò - perché altro non può
che essere almeno in prima e fondamentale istanza - una scelta
fortemente, fortissimamente individuale.
Io permetto a chiunque di considerarsi
un oggetto se lo vuole, lo desidera e gli piace, ma nessuno deve
permettersi di considerare il sottoscritto qualcosa d'altro rispetto
a quello che di giorno in giorno scelgo, pacificamente e senza
sparare a nessuno, di essere. (Lo so, lo so: lo stato preferirebbe
che io affermassi tutto questo sparando possibilmente a qualcuno. Mi
spiace ma non lo posso accontentare. La violenza non fa parte né
dei miei gusti né delle mie idee né - se mi permette -
del mio stile. Per cui, faccia pazienza, dovrà accontentarsi
di reprimermi così come sono).
E non volevo, non voglio (in carcere
poi men che mai) essere un militare, così come consideravo
altrettanto e più umiliante e illegittima l'assurda pretesa
dello stato di sindacare sui travagli della mia coscienza,
costringendomi "a scegliere" - apoteosi dell'ipocrisia -
una finta alternativa legittimista, collaborazionista, falsa,
strumentale e, per di più (come poteva mancare!) imposta.
Non avrei mai accettato tutta questa
aberrante logica. Ecco infatti che detto questo, l'apparentemente
sonnolento meccanismo, ben conscio e perfettamente oliato, è
balzato fragorosamente in avanti: ecco infatti le manette, neanche
fossi una pericolosa belva allo sbando tra le persone civili, ecco le
camionette dei carabinieri, il carcere preventivo, il processo e,
infine, l'immancabile condanna alla galera. E che galera poi:
militare, a me, che mai lo sono stato, nemmeno per un attimo.
Che Alfredo Rocco, fine teorico e
grande legislatore dello stato schiacciasassi mi perdoni e un giorno
chissà m'illumini: ma io, specie innanzi a cose del genere,
non intendo rinunciare a nemmeno un microgrammo della mia persona,
della mia individualità e della mia più assoluta
libertà di pensiero e di azione pacifica, per nulla al mondo.
No. Tanto meno per questo Stato,
surrogato dolciastro d'onnipotenza, dio e balia, che si permette -
dico: si permette! - di volermi "rieducare" (così
recitano infatti - li si vada a vedere una buona volta i suoi tristi
regolamenti) nelle sue galere militari, in una struttura che
addirittura osa - e ripeto: osa! - accingersi alla "osservazione
scientifica della personalità" del sottoscritto..., ma
dico: stiamo scherzando?! Cos'è, un film sulla psichiatria
agli inizi del secolo? Chi osa fare cosa?! Nei confronti di chi?! ... Ma io su questo Stato
"rieducativo"
ci defeco dallo - a questo punto - stratosfericamente alto della mia
schifosa cella, per dio!
Su questa ridicola simil-gente in
divisa che pretende di "osservare scientificamente" la mia
personalità rovescio tutto il mio quotidiano sberleffo, che
invero neanche più indignazione merita ormai.
(E se io mi so difendere da solo e bene
da questa triste e grottesca marmaglia e da queste logiche
allucinanti, cercando di sopravvivere qui in modo minimamente
avvertito e disincantato, ricordate, cari amici che siete lì
fuori, che il vostro silenzio condanna a tutto questo tanti ragazzi
costretti a vivere nelle mani di gente - cappellano militare ben
compreso - il cui compito tra ordini, regolamenti, ricatti, minacce e
punizioni, è di cercare di convincerli che questa galera se la
sono meritata e guai se fiatano. Qui dentro insomma la "rieducazione"
funziona a pieno ritmo, non dimenticateli questi ragazzi, non
lasciateli soli a loro stessi, non possiedono il terribile privilegio
del disincanto, lo scudo dell'ironia spesso gli è ignoto e,
prima o poi, mesi ed anni di questa "normalizzazione"
potrebbe anche spezzargli la schiena). Ma questi graduati da giostra meritano
assai poco interesse, se non antropologico, il mandante e il mio
attuale antagonista ha il loro volto ma ben altra sostanza, più
seria e abbacinante, ed è Sua Potenza lo Stato, che io accuso
di violenza sugli inermi, di arroganza, di infantilismo, e non
riconosco - e mai riconoscerò - come il plenipotenziario della
coscienza degli individui. (Sua Potenza crede d'esserne
l'incarnazione, in realtà è il frutto della loro
debolezza e della loro volontaria mancanza di autoresponsabilità,
ma sono cose vecchie e note).
È anche per questo
non-riconoscimento che ho fatto questa scelta di obiezione, cari
amici che insistete a stupirvene, una scelta che continuo a definire
di ostinazione e di moderazione, fatta il più possibile ad
occhi aperti, una scelta concepita e vissuta come profondamente
personale in difesa della mia dignità e del mio certo confuso
ma di sicuro non militarizzato e gerarchico ideale di convivenza
civile (...).
Uno, nessuno centomila
Quanto al fatto di essermi dichiarato
obiettore di coscienza e non violento, oltre a quello di non
aver - come al solito - inteso con questo mio impegno aderire a
movimenti, organizzazioni o "chiese" di sorta, forse è
bene sprecar qualche altra chiacchiera, che invero ne ho già
sentite delle belle in proposito.
L'antimilitarismo solitario non va da
nessuna parte, mi è stato detto. E francamente questa non l'ho
capita. Individuale, almeno in prima istanza, non può che
esserlo. Quanto al fatto che sia solo, ebbene, per la verità
non dipende da me...cari amici. Dove porti poi, è
nell'etimologia del termine stesso. E a livello personale rifiutare
in pratica l'esercito è parte dell'essere in sintonia con me
stesso e col mio concreto ideale di pace, e se per qualcuno è
poco, è cosa su cui si può facilmente soprassedere,
abbia la cortesia di scusarmi, per me è tutto. E' evidente
inoltre che chi così si sollazza non è, per sua
fortuna, mai stato in carcere e non può capire l'importanza
per i detenuti e per i militari (la cui occupazione precipua è
di non far sapere all'esterno, o di minimizzarlo il più
possibile, tutto lo "schifo"che c'è qui). Tutto
l'infantilismo, l'arroganza, la cattiva coscienza, il non-fare come
punizione, le provocazioni, l'insipienza, le logiche punitive, la
stupidità "graduata": questa quotidiana oscena
carneficina di dignità e di effettivo rispetto - oltre alle
chiacchiere e alle ipocrisie ufficiali dei diritti umani) in misura
opposta, che qui ci sia un antimilitarista e quanta irritazione e
rabbia rechi se riesce a far sentire la propria voce, e quella di
altri, fuori di qui (ma anche questo non dipende solo dal
sottoscritto).
Che poi io sia solo o in centomila,
credetemi, per me non c'è differenza alcuna. Quello che, con
moderazione e con riflessione, ritengo giusto lo faccio lo stesso,
dritto per la mia strada, tranquillo come non mai. E questa
ossessione da numero, questa contabilizzazione aritmetica applicata
alle idee, al loro successo volgare, evidente, numerico (senza il
quale, per carità!, "non sei nessuno"), ritengo che
sia uno dei soliti innumerevoli cavalli di frisia che presidiano le
ampie zone deboli del nostro decidere.
Non accetto e non accetterò mai
di essere un soldato, anche senza divisa come gli obiettori di
convenienza: questo importa, e che sia solo o in mille che conta? In
questa galera non ci volevo certo venire (!), ma visto che mi ci
hanno relegato con la forza, starci a testa alta è per
me importante, dato che non ho proprio nulla di cui vergognarmi. Non
sono però (o almeno credo) fanatico né stupido: so
perfettamente - la cosa può certo preoccuparmi ma non mi
distoglie un attimo dal mio proposito - che dell'antimilitarismo
messo in pratica di persona non importa ovviamente niente a
nessuno o quasi (troppi rischi personali, scherziamo?!). Appartengo a
quello sfigatissimo gruppo di Cassandre a cui viene dato regolarmente
e facilmente ragione subito dopo le tragedie, davanti ai propri
morti, agli scomparsi, ai torturati, trent'anni dopo averlo detto. Le
cose stanno così, che fare. Attualmente sono l'unico
antimilitarista incarcerato in tutta Italia, e quarantamila persone,
proprio durante l'apertura dell'immondezzaio di Ustica vanno ad
Istrena ad applaudire il capo di stato maggiore dell'aeronautica
militare che inaugura qualche suo nuovo aereo strumento di morte
(anzi, pardon, "di difesa"). Che volete, da fare c'è
quello che ognuno ha o non ha dentro. Chi lo capisce lo capisce
insomma: lo sente. Chi non vuole star a sentire, specie se gli fa
comodo farlo, evita. Puoi fare i salti mortali, vestirti da
clown, gridarlo in continuazione, non c'è molto da fare (se
non informare, come sto facendo ora, ma anche qui gli spazi sono
ristretti, le strumentalizzazioni un rischio continuo, e i giornali
se la fanno addosso a darti la parola). L'indignazione non è
più di moda, le infamie militari hanno coperture patinate, i
carri armati sono interpretati come fossero innocui soprammobili, e
la gente ormai è assuefatta a tutto.
Per cui io, piccolo piccolo, tranquillo
e in compagnia di me stesso, un passo dietro l'altro, anche
all'interno di questa maledetta gabbia, faccio quello che ritengo
giusto e continuo per la mia strada. Di seguiti, anche minimi, non ne
cerco e non ne voglio, e mi fanno orrore in genere. Delle solidarietà
a chiacchiere me ne infischio altamente (le conosco troppo bene) -,
faccio come sempre quello che credo come posso senza - soprattutto!--
demandare nessun altro a farlo al posto mio, e più di
scrivervi privatamente e pubblicamente le mie ragioni e le mie
opinioni, visto che me le chiedete pressantemente , cari amici, altro
non posso fare.
Pacatezza dei toni
Ho sempre cercato , tra errori
indicibili, di abbattere quel magico cerchio di debolezza
dell'istinto subordinativo di delegare e chissà chi la libertà
- che è libertà straordinaria - di dissentire o di
assentire ad alta voce, di persona, direttamente, rivendicando il
diritto di non essere per questo repressi o messi a tacere; ho sempre
cercato con accanimento di recidere questo nodo gordiano per
schiudermi, in modo magari un po' sbandato, all'occidente e
all'oriente di me stesso. Che volete che m'importi del numero di
quanti ho a fianco o davanti? Dovrei per questo arretrare o avanzare?
Ma figuriamoci. Non lo credo proprio, non lo credo affatto. Uno degli
aspetti più interessanti della cosiddetta società
democratica era che nello sforzo (onesto, disonesto?) di farci
diventare "tutti uguali" (di fronte a chi e a che cosa
dovremmo ormai averlo capito), ci ha fatto diventare un bel gregge di
gregari. E, per inciso, la presenza della coscrizione obbligatoria è,
nelle contingenze politiche evolute, una pietra miliare di questo
infantile disegno, gregari di qualcosa, di qualcuno, delle nostre
ambizioni ad ogni costo, delle nostre paure: ecco il peggior tipo di
eguaglianza possibile, l'eguaglianza dei gregari. E invece no, nel
mio piccolo ritengo che bisogna riprendere gusto ai grandi passi,
alle grandi sfide , senza enfatizzarsi in esse ma senza sminuirsi
nemmeno. Cercando la moderazione, la pacatezza dei toni, non il
compromesso più laido e gli accordi politici contro natura. E
non basta più - ecco l'altra faccia - dire quello che
si pensa sia giusto, bisogna darsi coraggio e ricominciare a
farlo. Con misura, senza violenze, io credo,
ma anche con decisione, con convinzione, senza farsi intimorire (ed
ora, per esempio, vivo in una struttura atta all'intimorirmi, come
funzione ed assenza). Il rischio di far la pipì fuori dal vaso
c'è, è lì, evidente, ma perché
terrorizzarci per questo? Al cuore del problema voglio andarci con i
piedi miei. E la costante predisposizione a mettersi in dubbio non
deve impedirmi di fare e di dire, sempre e comunque, ad alta voce e
con chiarezza, senza infingimenti, quello che penso. Senza prendersi
mai troppo sul serio, certo, ma anche senza annichilirsi per questo.
Di graduati, guardatevi attorno, ce ne sono più li fuori che
qui dentro. E troppi di noi evitano di guardarli dritti negli occhi,
troppi di noi a vent'anni già chinano la schiena e leccano,
speranzosi, tristi e oscene pappe.
Riappropriamoci di noi stessi e
piantiamola con certi alibi da numero, da delega, da potere e da
consenso a tutti i costi: ecco tutto quello che cerco di dire.
Sbagliamoci pure, ma in prima persona, in modo aperto, chiaro,
visibile, assumendoci le nostre responsabilità , alla luce del
sole, e andandocene a casa, se necessario. Il tanto declamato
rispetto dei diritti umani, dei diritti sociali, la correttezza, la
tolleranza, la lealtà, la chiarezza bisogna imparare ad
esigerli da noi stessi, invece di star qui - eterne vittime - sempre
a urlare e a piagnucolare chiedendolo agli altri per noi, che sia
l'istituzione, la società, il politichetto di turno, dio
onnipotente o la compagna di letto di cui ti sei stancato a non sai
come dirglielo.
A fare i ribelli e i disobbedienti a
chiacchiere siamo buoni tutti (e in certi ambiti politici serve anche
a far carriera alla grande...). Nella mia incapacità ho scelto
di reagire a tutto questo: tutto troppo assurdo.
Nei primi tre giorni di galera in
isolamento a Forte Boccea, una sola e unica, retorica, infastidita,
arrabbiata, continua domanda mi veniva indirizzata dagli ufficiali:
"perché non ha fatto il servizio civile? Perché?!"
Signornò! Ancora una volta e ancora più forte! Per chi
mi avete preso, per un imboscato? Nossignori, sono qui: lo avete
voluto ingabbiare e ora ve lo beccate questo antimilitarista,
tranquillo sì, per indole, ma inflessibile come una sbarra
sulle questioni di principio, e sono affari vostri, adesso, militari
(...). Lo stesso - controprova ennesima - quando ad un mese dalla
chiamata mi sono guardato attorno, non ho trovato nessuno. Proprio
nessuno. Non che mi interessasse minimamente trovare qualcuno, ben
inteso, n, avendo chiaro il passo, mi chiedevo come fosse
semplicemente possibile essere l'unico antimilitarista non a
chiacchiere in circolazione.
Tanto intriso di dubbi
Era desolante - gli unici che mi hanno
indicato - e alla fine me ne sono persino stupito - erano una coppia
di simpaticissimi ragazzi che però, e del tutto legittimamente
per i loro ideali, inquadravano la concretezza di un impegno
antimilitarista diretto in una logica più ampiamente
antistatale definendosi politicamente come anarchici. Francamente
degli anarchici non se sapevo proprio nulla. Non sapevo neanche ne
esistessero ancora di organizzati. Di loro avevo solo una sbiadita
immagine storica e di filosofia politica simpaticamente velleitaria
e, per la verità, un po' bombarola. In questo brevissimo periodo li ho
conosciuti meglio e me ne sono fatto una buona ragione, ben più
nobile, devo dire, ben più alta. E quando si sono offerti di
aiutarmi non mi hanno chiesto nessuna patente e nessun documento
politico d'identità: per quanto riguardava l'impegno
antimilitarista fatto in modo concreto avevamo semplicemente identità
di vedute: di che altro c'era bisogno?! Io non sono l'ho detto e lo
ripeto - anarchico e nel frattempo non lo sono diventato,
naturalmente. Sono troppo intriso di dubbi (che in genere complico
invece di risolvere) e ancora in piena, costante ricerca per essere
comunque parte di qualcosa che non sia me stesso, nel suo disordine,
nel suo caos, nella sua eccessivamente ostentata, e dunque un po'
patetica, indipendenza. Ma per quanto riguarda il fronte
antimilitarista sono orgoglioso di averli conosciuti e di avere
alcuni di loro accanto (e li ringrazio per tutto l'aiuto, la
solidarietà concreta e l'affetto con cui mi hanno
sostenuto). Fino a questo momento sono stati con me dei sinceri e dei
generosi senza contropartite: cosa rara, quasi unica di questi tempi
(con certi squali che incrociamo sempre dappresso). Ed è in
generale gente, poi, che sa giocarsi in prima persona, concretamente,
senza farsela sotto: una boccata d'aria, per la miseria! (In verità
per questo sono stato anche severamente redarguito, e la cosa mi ha
divertito moltissimo. Qualche simpatica amica - di "sinistra",
ovviamente, con quella ormai caratteristica puzza sotto il naso dei
"sinistri" - mi ha scritto scandalizzata, dopo avermi
omaggiato di molti immeritati apprezzamenti, si è stupita che
"una persona" come te, Gianni, avesse a che fare con
"questi'". - Che cosa mi era successo? Ero impazzito?
L'arditezza della prova mi aveva così scosso da portarmi a
chissà quali conversioni? Avevo forse bisogno di aiuto, di
sostegno "politico"? Ebbene: che lo chiedessi ! Che mi
rivolgessi a loro, avrebbero scomodato amici, potentoni e potentini,
intellettualini e intellettualoni, tutti insomma per aiutare il
Gianni, quel simpatico scavezzacollo velleitario in uno dei suoi
colpi di testa. Dire che questa corrispondenza mi ha divertito, è
dir poco. Sarò ordunque solenne: vi assicuro che gli
anarchici, ancorché purtroppo pochi assai, sono persone
ottime, mediamente intelligenti, anche colte..., non dicono male
parole (se non quelle strettamente necessarie alla sopravvivenza
quotidiana), sono persone pulite, lavate, ben educate, ben vestite e
qualcuna persino... alla nostra altezza, care amiche. Lo so, vi
sembrerà incredibile, ma è così, ve lo assicuro,
ne ho conosciuti e sembrano persone in tutto e per tutto uguali a
noi, mie care e premurose amiche.
E anche alcuni di loro (non tutti)
avevano capito che, al punto in cui si è, l'obiezione di
convenienza non aveva più nulla a che fare con
l'antimilitarismo e con le scelte di coscienza. E la stessa
ribellione della coscienza di fronte alle brutture militariste,
ribellione senza padrini politici, partitici o religiosi, era stata
soffocata nell'ipocrisia del cosiddetto servizio civile,
nell'obiezione di coscienza di Stato (a cui, del tutto
opportunamente, la stessa corte costituzionale nella sua ultima
sentenza in materia ha giustamente cassato il "di coscienza"). Ed è molto bello avere di
fianco
alcuni cari amici che dopo avere fatto questo assurdo "servizio
civile" e dopo averci pensato sopra, ora ritornano sui loro
passi e si schierano vicini a questo impegno. Questa loro riflessione
silenziosa, solitaria, e se sincera certo sofferta, vale ben più
di tutte queste mie vane chiacchiere.
Meglio non sapere?
Per come la penso io, i veri obiettori
di coscienza in Italia - di cui nessuno parla, nessuno si occupa,
di cui tutti i vari movimentini fanno opportunamente finta di non
accorgersi - sono quelle decine di ragazzi, disertori, insubordinati
istintuali, ribelli e basta (senza tante analisi e tanti
intellettualismi), che chiusi nel silenzio delle otto galere militari
italiane, sepolti negli ospedali militari, "fatti fuori"
con gli articoli di seminfermità mentale (e deve essere
proprio curioso essere dichiarati folli da dei militari...), sono
dimenticati in odissee carcerarie lunghe tre, cinque, sette,
diec'anni, sacrificati sui prestigiosi altari della follia di patria,
rovinati per questo orrido catafalco che è la vergogna
militare, per questo simbolo stantio, trattati come nullità,
scartoffie, intralci, numeri, fastidi. Qualcuno prima o poi dovrà
avere il coraggio di far pagare il conto ai responsabili e gli
indifferenti per queste vite disperse, rovinate, pestate, segregate,
dimenticate in questi lager dai balconi esterni fioriti, in balia
d'avvocati d'ufficio e di imbecilli in divisa privi del più
tenue umano sentire.
La maggioranza di questi ragazzi non sa
quasi scrivere, leggere (per quanto mi sia doloroso rimarcarlo,
essere costretto a dirlo, a metterlo in evidenza quasi fosse chissà
cosa), non hanno costruito chissà quali altisonanti strutture
teoriche per sublimare il loro disobbedire, non hanno nessuna voce
per farsi udire ("ma poi chi è che li vuole ascoltare,
questi !"), e forse non hanno neanche più nulla da dire
se non vivere in silenzio e solitudine la loro disperazione e la
quotidianità dell'oltraggio che subiscono.
Sono qui, in galera, perché non
hanno semplicemente capito perché mai dovevano ossequiare un
bastardo in gradi e divisa che gli riversava addosso quotidianamente
una quantità assurda di insulti e di urli, non hanno capito
che motivo c'era di imparare a guidare un cingolato, di stare
sull'attenti per ore con un fucile in mano, o di sparare a qualche
sagoma umana, non hanno capito chi era il nemico e se c'era dov'era,
non hanno capito perché erano rinchiusi "a far niente"
in una caserma lontana centinaia di chilometri da casa e dai loro
affetti, non hanno capito perché dovevano assaporare e subire
il gusto dell'offesa e del sopruso (quale vertigine, il potere!)
volutamente gratuito (e per questo educativo, formativo) del
più forte sul più debole, del graduato sul sottoposto,
sul più solo, più diverso, dal dialetto più
strano, più lontano, e non hanno capito, infine, le manette
dei carabinieri e tutte quelle urlate e fisiche minacce al loro
avvio, naturale, umano rifiuto di tutto questo. E adesso sono qui che
continuano a non capire perché da due , tre, cinque anni li
hanno rinchiusi in galera; perché se si rifiutano anche qui di
farsi umiliare come in caserma si beccano altre punizioni, altre
umiliazioni, altri processi, altri anni, gli si prospetta l'infermità
mentale ("ma sono io, che rifiuto questo schifo, il matto?")
; perché i loro parenti a casa si vergognano di loro; perché
la propria madre è piegata dal dolore quando viene a trovarli;
perché la segregazione e la costrizione in galera diventa
sempre e comunque coazione.
Sono loro i veri obiettori di
coscienza. Tutto questo mio impegno, nella sua determinazione, è
ridicolo e non vale una cicca davanti al loro dramma, al loro
coraggio, alla loro vita, al loro "basta!", al loro
represso istinto di non sottomissione. Io sono solo uno spocchioso
privilegiato, uno snob. Sono loro gli obiettori di coscienza, gli
unici che questo testimone da due soldi del sottoscritto rispetta
davvero. Ecco quello che voi, cari amici, non volete né
sentire né vedere. Mi scrivete così, per cortesia, per
scrupolo, per sincero affetto personale, anche, ma, per carità,
non vogliamo sapere, non vogliano sentire, e soprattutto non vogliamo
capire. Certe realtà, è vero, dan fastidio, costringono
i più sensibili a prendere una posizione, e allora è
meglio evitare, meglio non sapere. Questo è uno dei tanti,
innumerevoli cannocchiali di Galileo ai quali ci rifiutiamo di porre
l'occhio, non perché ci potrebbe essere veramente qualcosa da
vedere lassù, no, ma per il dubbio stesso che possa esserci
(...).
Il mio NO contro il servilismo
Io sottoscritto Alpi Stefano, nato
a Imola il 10/2/1971, residente a Fontanelice, dichiaro la mia
insubordinazione e la conseguente assoluta indisponibilità
verso il servizio militare e verso il servizio civile sostitutivo. Per
immediatezza di comprensione chiarisco subito che, per la mia
interpretazione del mondo e dell'uomo, mi definisco anarchico. Il
diventare parte integrante di una di queste forme di coercizione
significherebbe, per me, l'andar incontro a tutti i miei principi
libertari. Considero
la chiamata alle armi un attentato spudoratamente dichiarato contro
la mia dignità, un crimine legalizzato che continua ad
alimentarsi grazie all'ignoranza e alla rassegnazione creata dal
ciclo educativo standardizzato del potere, un ciclo educativo che
inizia a pochi giorni dalla nascita, con il battesimo, che continua
negli asili, nelle scuole, e arriva al culmine con il più
potente lavaggio del cervello mai creato, il servizio militare. Così
ogni anno circa 200.000 giovani vengono sequestrati dalle loro vite,
dalle loro famiglie, dai loro amici, dai loro amori, per essere
scaraventati in questo lugubre e insanguinato rito di iniziazione
(insanguinato perché nei soli 3 anni antecedenti a questo i
"morti per la patria" sono stati 1260 tra suicidi e
incidenti). Gli vengono trasmessi quelli che reputo i peggio valori che
questo sistema ha prodotto per la sua autoconservazione: il
servilismo, il culto della forza, l'eroismo. Il
fine di tutto questo è quello di sfornare individui
consenzienti e rassegnati che (dopo essere stati indottrinati,
filtrati e catalizzati) verranno introdotti nell'universo di
sfruttamento, dell'uomo sull'uomo, su cui si basa questa società. Per
quanto riguarda il servizio civile le mie considerazioni non cambiano
di molto, in quanto, il concetto stesso di obbligatorietà
sostitutiva è contrario a qualsiasi concezione e pratica di
libertà e di rispetto della coscienza individuale, e diventa
(soprattutto) un comodo alibi per procacciarsi manodopera a paga
simbolica, ha lo stesso potere di coercizione, riduce ad uno stato di
schiavitù e sottopone alle stesse gerarchie militarizzanti. Altre
mie motivazioni e considerazioni verranno propagandate sugli
opportuni organi di stampa. Stefano
Alpi
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Dopo 5 mesi di servizio civile non
posso più tacere
Al Ministro della Difesa – Roma p.c. Distretto Militare Principale di
Chieti – CH Comando Compagnia CC –
Chieti Consiglio Direttivo A.N.F.F.A.S. -
Chieti A.N.F.F.A.S Sede Nazionale –
Roma pubblicazioni antimilitariste
anarchiche e/o nonviolente
Ma è sufficiente che una sola
goccia riesca a filtrare attraverso una diga, o che da un enorme
edificio si stacchi un solo mattone, o che nella più salda
delle reti si sciolga una sola maglia, perché la diga si rompa
e l'edificio crolli, e la rete si disfi.
(L.
Tolstoj – L'avvicinarsi della fine)
Io,
Stefano Fosco, nato a Mar del Plata (Argentina) il 28.12.1962 e
residente a Ari (Chieti), riconosciuto obiettore di coscienza a norma
di legge 772 del 15.12.1972 e regolarmente in servizio presso l'ente
A.N.F.F.A.S Sezione Provinciale di Chieti dal 12.12.1989, dichiaro la
mia ferma ed irremovibile indisponibilità a continuare, per un
solo giorno in più, detto servizio. Tale mia
decisione non è da collegare in alcun modo a dissensi o
contrasti coi responsabili dell'Ente cui sono stato assegnato (ed in
vero, non credo di aver neanche offerto le occasioni per simili
contrasti). La mia
non è una richiesta di trasferimento presso altro Ente
convenzionato, ove poter completare il Servizio Civile; così
come non vuole essere una autoriduzione, azione già intrapresa
da altri obiettori di coscienza. Semplicemente
chiedo di essere lasciato in pace e di non aver più nulla a
che fare col suo Ministero e con i suddetti "sacri doveri"
del cittadino. "Ciò che debbo fare, comunque, è di
procurare di non prestarmi all'ingiustizia che condanno". (H.D.
Thoureau – Saggio sulla disobbedienza civile).
E per
me, è divenuto impossibile conciliare il mio antimilitarismo
libertario e nonviolento con un servizio di difesa della sua o di
qualsiasi altra Patria. Di
seguito cercherò di spiegarle come il servizio civile sia
divenuto incompatibile con il mio modo di essere; ma prima credo sia
doveroso un cenno al mio rifiuto allo stesso servizio militare. Purtroppo,
quando, nel dicembre '88, presentai la domanda per il riconoscimento
dell'obiezione di coscienza, ritenni superfluo motivare in maniera
estesa il rifiuto all'esercito e, di certo, quello fu un grave
errore. Infatti la seguente motivazione – "(il
sottoscritto) dichiara inoltre di motivare la sopracitata richiesta
in relazione ad una personale concezione etica basata sul rifiuto di
ogni forma di violenza, sia essa individuale o di gruppo, come metodo
per la risoluzione di qualsiasi contrasto". - è stata
considerata, dai suoi militari, così innocua che non ho avuto
nemmeno la "gradita" visita dei carabinieri. Ciò è
dovuto sicuramente alla perdita, pressoché totale, della
carica sovversiva e rivoluzionaria della nonviolenza in Italia,
infangata sul nascere da parrocchie, partitini e financo dal servizio
civile. Comunque
sia, tengo a precisare che non sono mai stato affascinato dall'idea
di poter divenire un soldato, tanto profondo è il disprezzo
che provo verso questa "professione". Il totale
annullamento dell'individualità, la distruzione della propria
coscienza, il continuo lavaggio del cervello ed altre assurde
imposizioni che i giovani subiscono durante il periodo della leva,
sono stati motivi sufficienti per allontanarmi dall'esercito. In
merito, condivido pienamente quanto affermò Tolstoj in
"Promemoria dell'ufficiale": "Non si può
cancellare da un uomo tutto ciò che egli ha di umano e ridurlo
ad una condizione di una macchina, se non torturandolo, e non
soltanto torturandolo, ma facendogli patire, nel modo più
raffinato e crudele, insieme alle torture, anche tutta una serie di
inganni". Certo,
dai tempi di Tolstoj, molte cose sono cambiate ed i soldati non
subiscono più, o quasi, torture fisiche; ma allora vorrei
proprio capire il perché di tanti suicidi o casi di
autolesionismo fra i giovani militari. Ma è soprattutto
attraverso gli inganni, esercitati su inermi ragazzi, che i militari
riescono a conservare intatto il loro potere. "Sotto la varie
forme con cui si è ammantato, l'esercito, nell'evoluzione
dell'umanità rappresenta la casta che, fra le prime, impose la
sua autorità agli altri individui per divenire oggi una forza
autoritaria messa al servizio dei plutocrati dell'industria, della
finanza e della politica". (Hem Day –
Dall'antiautoritarismo all'anarchia). È
proprio questa la vera funzione sociale dell'esercito, violento o
nonviolento che sia; e non quanto ho trovato in un delirante
messaggio pubblicitario dell'esercito italiano: "Quinta potenza
economica del mondo, l'Italia è oggi un paese in corsa lungo
la strada del progresso e del benessere di tutti i cittadini. E
garantire la pace, oggi, significa creare le reali condizioni di
sicurezza perché tutti possano vivere e lavorare serenamente
costruendo il proprio futuro in piena libertà. Questa è
la prima missione dell'Esercito".
Simili
messaggi sono così falsi da sembrare credibili e certamente i
suoi generali, in una società in cui i "veri uomini"
sono in forte diminuzione, devono cercare sempre più nuove
strade per incastrare i giovani. Fra
queste c'è il sicuramente il servizio civile; quello stesso
servizio che io ho prestato per ben 5 mesi, illudendomi di lavorare
al contempo per una società senza eserciti, senza Istituzioni
liberticide, senza oppressione dell'uomo sull'uomo, e dell'uomo
sugli altri esseri viventi. Ed invece sono stato semplicemente una
sua pedina, un insignificante numero di matricola relegato a svolgere
un lavoro in apparenza utile, ma che, inserito nel perverso
meccanismo della 772, ha avuto il solo scopo di legittimare
l'esistenza delle odiose istituzioni repressive. Infatti, non credo
che l'obiezione di coscienza istituzionalizzata abbia ancora un
qualsivoglia legame con l'antimilitarismo, con quelle durissime lotte
che tanti miei fratelli stanno portando avanti nei luoghi più
disparati del pianeta, ma tutte tese all'abolizione degli eserciti,
alla distruzione degli armamenti ed alla creazione di una società
diversa. Lo
riconosco, il mio è stato un errore di valutazione. Infatti
ancora pochi mesi prima di iniziare a servire la sua Patria, mi
illudevo nel "trovare le condizioni per svolgere un servizio
civile veramente alternativo" (XII Incontro – Dibattito
"Anarchia e nonviolenza").
Ma io
queste condizioni non sono riuscito proprio a trovarle, e non credo
si tratti soltanto dei miei limiti personali. In
realtà è l'istituto servizio civile stesso ad impedire
la concreta maturazione di valide alternative al militarismo. Non
spiega altrimenti la paradossale situazione italiana dove ad un
numero sempre crescente di obiettori in servizio civile (oltre 13.000
nell'89) corrisponde un costante calo dell'impegno antimilitarista. A
conferma di tale stato di cose c'è l'assoluto silenzio di
migliaia di obiettori "contrari ad ogni circostanza all'uso
personale delle armi per imprescindibili motivi di coscienza! (art.
1, legge 772), nel momento in cui il suo governo decide di
militarizzare il territorio italiano per difenderci (!) dai
tossicodipendenti e dagli immigrati. Ho
letto, in proposito, i suoi distinguo tra forze armate e forze di
pubblica sicurezza; ma io queste differenze non riesco proprio a
comprenderle: si tratta pur sempre di "uomini con un identico
abito variopinto pronti a rispondere, inconsciamente, con i debiti
movimenti a determinati gridi del proprio superiore" (Tolstoj).
L'obiezione di coscienza al servizio militare, alle armi, all'uso
della violenza non può e non potrà mai essere una
delega ad altri, militari o poliziotti che siano, per la difesa da
presunti invasori o malfattori. Questa obiezione di coscienza, e non
quella istituzionalizzata, non deve avere alcun rapporto di
sudditanza col suo Ministero o con gli stessi Enti. In realtà
sono proprio questi ultimi che, in non pochi casi, (costretti come
sono dal ricatto economico di avere manodopera da sfruttare a costo
zero) aiutano in maniera esemplare i suoi generali all'opera di
addomesticamento dello spirito ribelle ed anticonformista di quei
pochi giovani che ancora riescono a gestire la loro propria
individualità; nonostante la famiglia, la scuola, la
religione, ecc..
Ed
allora per quelli che, come me, continuano a credere nell'obiezione
di coscienza alla coscrizione obbligatoria come metodo di lotta
antimilitarista, non resta altra via che quella del rifiuto, netto e
senza compromessi, del servizio militare e dello stesso servizio
civile. Ecco
perché non posso violentare oltremodo la mia coscienza. Ecco
perché non posso più tacere. Saluti. Stefano
Fosco (Ari)
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