Rivista Anarchica Online
Tienanmen un anno dopo
di Zheng Chenggong
I giovani sono da temersi, chissà
che nel futuro non siano migliori di noi oggi? (Confucio)
Una poesia, tra le
mille scritte durante la Primavera Cinese, esprimeva, più di
molte delle voci da allora levatesi, e delle pochissime di oggi, la
natura di quanto stava accadendo. Una strofa, in particolare
diceva:"mamma, ho fame, ma non mangio". Voleva dire:
rifiuto di cedere al bisogno che affolla di genti le sudice bettole e
i grandi ristoranti della mia città e mi lascio morire per
spiegare che esiste la JINGSHEN WENHUA, "cultura dello spirito",
al di sopra di questo quotidiano affannarsi per un guadagno materiale
– che è tutto quello che volete dall'occidente! - per
una felicità che è solo il nome di una moto. E per
nutrire la nostra cultura dello spirito, vogliamo libertà e
democrazia, quella vera, DE XIANSHENG, mister democracy, quella di
cui si parlava prima che il comunismo utilizzasse un termine diverso
per denominarla e sostituisse l'ideogramma DE, che indica pure la
nostra virtù tradizionale. Ma con ciò
mostriamo solo uno dei tasselli che hanno composto il complesso
mosaico della Primavera Cinese, e di questo una sola faccia. L'altra
faccia è – paradossalmente – la stessa propaganda
comunista che in 40 anni di potere ha creato il senso dell'unità
nazionale, i valori di patria e popolo e soprattutto la forme di
coesione sociale che hanno consentito l'organizzarsi della
sentimentalità collettiva attorno a comuni obiettivi e in
forme di lotta così incisive sul piano sociale e politico da
spingere ad una risposta violenta delle dimensioni che sappiamo.
Così, possiamo dire che gli studenti di Beida e i loro
coetanei di tutta la Cina, cresciuti nel mito vuoto della
partecipazione sociale e dell'impegno politico, abbiano trovato negli
involucri della retorica di potere le forme attraverso le quali
veicolare contenuti non più imposti dall'ideologia dominante,
espressione di una cultura dogmatica e inaridita, ma scaturiti dal
passato pre-comunista del 4 maggio, forse l'ultimo movimento di
grandi e autentiche promesse pluralistiche. Nel regime comunista, che
pure continua ad appropriarsi dei valori che animarono questo
movimento, gli studenti hanno individuato invece una odiosa replica
della vecchia società feudale contro la quale si erano
mobilitate le forze del 4 maggio e il lontanissimo comunismo delle
origini. Oggi, a distanza
di un anno, mi sembra di poter dire che il movimento degli studenti,
strumentalizzato e travolto da giochi di potere, fosse una protesta
all'interno di una protesta, e forse il cuore più profondo e
vivo di un disagio socio-economico la cui scorza più dura e
amara era costituita da quelle forze economiche che premevano per una
svolta in senso capitalista della politica governativa. Questo cuore
batteva per farsi sentire, o spezzare l'involucro, affermando un'idea
di libertà "politica" nel senso più autentico
del termine, soffocata dal relativo liberismo economico della
politica denghista. Nel turbine di
forze ed istanze scatenatosi in quei giorni nelle piazze delle città
e dei palazzi del potere, l'esperienza pacifista di quelle migliaia
di giovani che commuovevano la nazione ha costituito un momento a
parte, se considerato nel suo valore e nel suo significato, rispetto
alle realtà che concorrevano a sostenerlo o ad utilizzarlo. Forse, ancor prima
dei carri armati di Yang Shangkun, il movimento è stato
schiacciato proprio da quella "scorza" di realtà
sociali ed economiche che si muovevano per ragioni differenti da
quella drammatica e sacrificale richiesta di libertà, che
solidarizzavano con qualcosa che non erano in grado di capire nella
sua essenza, che dunque travisavano, o peggio, strumentalizzavano. Il tessuto
socio-politico dell'immenso paese ha dimostrato una capacità
di ricomposizione interna che pochi avrebbero prevista all'indomani
del lacerante esito della protesta popolare, e questa è
senz'altro una riflessione dovuta, a un anno di distanza.
La società
cinese ha riassorbito le molteplici tensioni al suo interno e
potremmo chiederci a lungo come questo sia potuto accadere; certo, il
movimento della primavera scorsa è stato davvero un attimo,
difficile dire che traccia possa lasciare in coscienze storiche
millenarie.
Ma chiudendosi in
sé, nella pesante potenza delle sue forme sociali, il grande
paese continua forse a nutrire al suo interno i temi ideologici e i
valori collettivi che per la prima volta hanno negato i fondamenti
stessi dell'ideologia e dei miti del potere, delineando le forme
della caduta della "dinastia comunista". E' nata l'alterità
dal grembo del paese di mezzo.
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