Rivista Anarchica Online
Un immaginario diverso
di Maddalena Sternai / Mauro Decortes
A colloquio con Pietro Bonadonna, 24 anni, militante del Circolo anarchico "Ponte della Ghisolfa" di Milano,
obiettore totale in attesa del processo d'appello
Quando hai scelto di essere obiettore totale?
A 17 anni, nel 1985; allora c'era il movimento degli studenti e la scelta di obiezione totale aveva un forte
valore
simbolico di rottura radicale con il reale estendibile a tutto il movimento.
Quali i motivi della tua scelta?
La mia è stata ed è una scelta etica. L'individuo non deve subire il quotidiano
né cercare di risolvere i problemi sociali affidandosi a figure forti ma
autodeterminarsi per vivere meglio. Questo in qualsiasi situazione: a scuola, in famiglia, sul lavoro; il
singolo deve essere parte attiva, non subire
le trasformazioni in atto e le decisioni degli altri. Inoltre a livello collettivo la scelta dell'obiezione totale
rappresenta un rifiuto da parte di realtà che vogliono autodeterminarsi dal presente imposto.
Dunque il punto fondamentale della tua decisione non è l'antimilitarismo?
No, non e stato il militarismo, tra l'altro allora non pubblicamente esaltato come oggi, a spingermi a fare
una
scelta di questo genere, ma una necessità di coerenza.
Cosa intendi per coerenza?
Essere coerente vuol dire che il mio agire quotidiano è determinato dal fatto che io non voglio
essere positivo
per questa società, ma per una società futura, diversa. Il mio immaginario, cresciuto su
quello degli anni '70 dello scontro di piazza, è un immaginario di antagonismo
e d'odio per chi gestisce il presente ed impone limiti quali il servizio militare, la scuola "borghese", le leggi di
mercato, allo sviluppo autonomo della vita di ciascun individuo; un immaginario d'amore per una
società futura
dove i limiti non siano più esterni ma quelli propri di ogni persona. Io tendo al massimo possibile per
un
rivoluzionario e l'obiezione totale è il frutto, forse più evidente di altri, di un pensiero e di un
agire politico che
non cerca scappatoie ai percorsi coercitivi propinati da questa società, pur consapevole delle
conseguenze
repressive.
Come vivi il processo?
Il processo è un sorta di "spada di Damocle" perché su qualsiasi progetto, sopratutto a
livello lavorativo, pende
l'incognita della mia incarcerazione. Sono consapevole della volontà da parte loro di farmi pagare al
massimo
le mie scelte perché queste li colpiscono al cuore. La lunga durata di questo processo non ne è
che un esempio.
Questo a livello personale, quale è invece il rapporto tra movimento anarchico ed obiezione
totale?
Il movimento anarchico dalla metà degli anni '80 si è caratterizzato per la lotta in favore
degli obiettori totali
ed è stato in grado di far conoscere e diffondere la pratica dell'obiezione totale. Grazie a questa lotta
il movimento, che andava sfaldandosi, è riuscito a riaggregare compagni in tutta Italia e
numerose e positive sono state le iniziative. È mancata però là capacità di
analisi nuove, di progettualità. In
realtà negli anni '80 non c'è stato un nuovo movimento anarchico ma esso è esistito
grazie ad alcuni attivisti.
È venuta meno una identità propria,un soggetto politico; ci sono solo state persone che in
momenti diversi di
conflittualità (es. adolescenza, licenziamento) si sono avvicinate al movimento anarchico. È
rimasto il problema delle prospettive future, di costruire nuove analisi perché nuovo e diverso è
lo scenario
in cui ci muoviamo.
Una situazione simile a quella dei centri sociali?
Si anche se a questi va, senza dubbio, riconosciuta una maggiore capacità di aggregazione politica
dell'estrema
sinistra e sono stati, in qualche misura, una realtà con la quale il potere ha dovuto fare i conti. Anch'essi,
tuttavia, non sono stati in grado di andare oltre l'espressione della legittima ribellione, di costruire
percorsi. Oggi i limiti di queste aggregazioni, che consumano e non vivono politicamente i centri sociali,
vengono
prepotentemente a galla tanto da spingere alcuni militanti dei centri ad allontanarsene per costruire
realtà più
precisamente politiche. Si impone quindi, a tutte le realtà di movimento, la necessità di
ricostruire un pensiero ed un sapere politico.
Stai rivendicando il ruolo degli intellettuali?
No, tutt'altro, se per intellettuali e presunti tali, si intendono quei tecnocrati che vomitano dalle loro
"cattedre"
fiumi di parole incomprensibili. Sto rivendicando il ruolo di una cultura di movimento che con parole
semplici, pur esprimendo concetti difficili,
si rivolga agli emarginati ed alle classi più deboli e metta a disposizione di questi le proprie conoscenze
ed i
propri strumenti d'analisi. Una cultura che interpretando il malcontento della gente sappia creare un
percorso di trasformazione globale. Oggi alcuni libertari, alcuni "intellettuali", disdegnano il movimento
e vogliono solo "fare cultura"; ma questa
scissione tra movimento e cultura è assurda. Costruire un movimento, infatti, significa fare cultura dove
per
cultura si intende creare un pensiero diverso e, attraverso la pratica quotidiana di questo, trasformare la
società
attuale.
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