Rivista Anarchica Online
Morire di amianto
di Elisabetta Minini
Impiegato per decenni nella produzione di migliaia di manufatti, l'amianto è il responsabile di temibili
malattie
Ironia della sorte. Quando nei primi anni venti la parola "amianto" (asbestos) fece
la sua comparsa a caratteri
cubitali sul sipario dei teatri americani, qualcuno volle decifrarla come "benvenuto" in latino. E in effetti la
scritta era intesa a celebrare l'utilizzo del materiale su larga scala, anche per le tende a prova di fuoco del
palcoscenico. L'amianto, già conosciuto dai greci e dai romani, entra nell'industria alla fine del
1870, quando nel Quebec viene
aperta la prima miniera per estrarre circa 300 tonnellate annue di minerale. Da allora la crescita è stata
esponenziale: 30.000 tonnellate nel 1910, 500.000 a metà degli anni '30, oltre cinque milioni di
tonnellate alla
fine degli anni '70. L'etichetta che lo caratterizzava negli anni '60 come "il minerale dai mille usi" è
diventata
presto obsoleta perché ora l'amianto è impiegato in oltre tremila prodotti industriali, soprattutto
nell'edilizia:
rivestimenti antincendio, isolanti termo-acustici, condutture, tubi per il trasporto dell'acqua, tetti,
pavimentazioni, soffittature pannelli e inoltre nell'industria navale, centrali elettriche, trasporti (in particolare
carrozze ferroviarie), nell'industria tessile, della plastica, chimica, cartaria, orafa e in odontoiatria. L'enorme
produzione di manufatti di amianto sicuramente supera le nostre aspettative di trovarlo in pochi
oggetti di uso quotidiano come i guanti da forno, il copri-asse-da-stiro o i famosi tetti ondulati Eternit.
(Probabilmente anche questa vecchia macchina per scrivere ne sa qualcosa). L'utilizzo massiccio degli anni
'60-'70 1o ha portato nelle case, negli ospedali, nelle scuole, sui treni; in alcuni
casi, nei luoghi vicini alle miniere di estrazione, si può dire che sono sorte intere città di
amianto, presente
ovunque negli edifici, per le strade, nei campi da bocce, nelle aie dei contadini. Un esempio è
Casale Monferrato (AL) e, nel Canada, la cittadina di Asbestos, omonima. Questa triste ricognizione diventa
tragica perché, come molti sanno, l'amianto è un "materiale imputato". E' una
causa certa di vari tipi di tumore: polmonare, gastro-intestinale, laringe, pleura e peritoneo (mesotelioma) e della
malattia che provoca irrigidimento del tessuto polmonare e perdita della capacità respiratoria
(asbestosi). Da
tempo sono noti gli effetti dell'esposizione ad amianto: nel 1924 il fisico inglese Cooke diagnosticò la
prima
morte per asbestosi su una ex-operaia tessile e da allora gli studi sulle malattie del lavoro hanno sempre
riscontrato una altissima incidenza della mortalità per tumore ai polmoni presso i lavoratori a contatto
con
l'amianto, estesa ai loro familiari. Ad esempio, la ricerca condotta nel 1962-63 a New York da un gruppo
di medici della scuola "Monte Sinai"
su 1117 lavoratori nel settore "materiale isolante" rivela che una buona metà di questi soffriva di
asbestosi,
mentre tra quelli esposti per più di vent'anni, la percentuale sale all'87 percento. Anche Casale
Monferrato è stata al centro di indagini sulla salute visto che qui si è lavorato e utilizzato
l'amianto per ottant'anni. Non mi addentro qui nei dettagli di dati e statistiche; basti sapere che le morti per
tumore hanno superato di molto la media nazionale (su 3367 persone, 164 decessi in più rispetto alla
cifra
"attesa" di 190). Questa altissima incidenza riguarda non solo la popolazione considerata esposta in fabbrica,
ma anche quella comune abitante nei paraggi o lungo il percorso di trasporto del materiale dalla miniera di
Balangero (TO) fino al posto di lavorazione. L'amianto entra nell'organismo soprattutto per inalazione,
sotto-forma di polvere, oppure più raramente per
ingestione, nell'acqua e nel cibo. E' la sua struttura fisica a renderlo così pericoloso, perché le
sue fibre lunghe
e sottili si introducono nei tessuti e alterano il funzionamento delle cellule. Una volta entrate negli organi, le
fibre di amianto sono molto difficili da eliminare e possono sfaldarsi in senso longitudinale, generando
così fibre
di diametro più piccolo. In natura l'amianto si trova all'interno della roccia-madre, da cui va
asportato. Ce ne sono diversi tipi,
suddivisibili comunque in due categorie: serpentino (silicato di magnesio) e anfiboli (silicato di calcio e
magnesio). Il primo, detto anche asbesto bianco, è quello più usato e ritenuto meno dannoso;
del secondo tipo
sono invece l'asbesto blu e quello bruno, ora strettamente limitati. Dove si produce amianto: 50% in URSS,
30% Canada ,5% Zimbabwe, 5% Sud Africa ,3% Cina, 2,5% Italia,
2% USA, Brasile. Questa mappa, aggiornata alla fine degli anni '70, è destinata a trasformarsi per
l'ingresso
nella produzione dei paesi in via di sviluppo, una vera ancora di salvezza per le nazioni industrializzate che
hanno così compensato alle cadute di mercato degli ultimi dieci anni. Da quanto detto finora circa
i rischi della lavorazione e uso dell'amianto, è evidente che la produzione si è
dovuta imporre qualche limite o precauzione, nonostante le scandalose campagne di copertura del pericolo
commissionate dalle industrie produttrici in collaborazione con equipes di medici professionisti e pubblici
funzionari. Spesso il problema è stato così sapientemente spostato dall'asse della salute pubblica
e sicurezza,
da apparire solo come una scaramuccia accademica fra rivali di categoria medici, avvocati,
amministratori. Dagli anni '30 ai '70 le due maggiori industrie manifatturiere americane la Johns-Menville,
di New York e la
Raybestos-Manhattan di Bridgeport, colpite da denunce dei lavoratori per aver loro nascosto i rischi cui
sottoposti, hanno risposto con una pervasiva campagna di occultamento e contraffazione dei dati.
Migliaia di persone Si è spesso invocata la formula dell'"uso
controllato dell'amianto", necessaria per poter rendere accettabile una
pratica rivelatasi commercialmente vantaggiosissima ma socialmente deleteria. Questo nei paesi
industrializzati ha significato l'introduzione di una normativa di maggiore sicurezza, senza
peraltro pretendere di eliminare del tutto il rischio perché evidentemente ciò richiederebbe la
fine di questo tipo
di industria. Dunque, ammesso che la legge esistente risulti, diciamo così, "adeguata", è
evidente che la sua
mancata applicazione e consapevolezza da parte degli interessati la vanifica immediatamente. Comunque, i
riferimenti legislativi in Italia sono questi : DPR 303/56 art. 15 sulla pulizia dei locali, art. 48 sull'obbligo di
notificare alla USL la costruzione o modifica di locali; DPR 1124/65 art. 157 sull'obbligo della visita medica
e assicurazioni; DL 277/91, il più recente, sui limiti delle sostanze nocive (approccio capzioso, questo
dei limiti,
come si è visto spesso), sulle misure di emergenza, controlli sanitari, sanzioni, informazioni etc.
Sul decreto 277/91, che vorrebbe essere il più avanzato in materia di amianto, i sindacati non sono
completamente soddisfatti: non si applica al settore della navigazione marittima e aerea, nega il principio
dell'impiego della tecnologia più avanzata per salvaguardare la salute, stabilisce pene troppo blande,
è vago sui
valori limite. L'unica vera battaglia contro i rischi dell'amianto mira alla sua progressiva eliminazione da ogni
ciclo di produzione. Esistono dei sostituti come le fibre di vetro o di legno - quanto alle altre fibre di roccia,
scoria, ceramica, non è comprovata la loro sicurezza. Per oltre un secolo la produzione di amianto
è stata un consapevole attentato, riuscito, alla salute e alla vita
pubblica: lo testimoniano, prima ancora che le imponenti cifre, le vicende particolari di migliaia di persone, le
loro comuni inaudite sofferenze nel nome di un profitto industriale senza dubbio al di sopra di loro. Ora, oltre
a tentare di rimediare ai danni di un utilizzo così sconsiderato di un materiale nocivo, cosa niente affatto
facile,
si è disposti a bandirlo dalla circolazione e a resistere nel contempo alla tentazione di venderlo o
svenderlo ai
paesi poveri?
LEGGERE L'AMIANTO Due libri molto diversi tra loro, ma in qualche
modo complementari sull'argomento, sono:
"Breath Taken: Landscape and biograpy of asbestos", catalogo di una mostra
realizzata in 7 anni di lavoro
del fotografo Bill Ravanesi. La parte fotografica è innanzitutto una testimonianza in senso
diacronico di persone che si sono ammalate per
esposizione all'amianto, Più qualche immagine da paesaggio industriale "disumanizzato". Il resto
comprende
interventi scritti di giornalisti, medici "esperti" sul tema. Trattandosi di una Pubblicazione americana (1991)
non è facile da reperire. Chi fosse interessato ad averla può contattare l'editore: Centez for
Visual Arts in the Public Interest Inc., 348 Congress St., Boston, Ma. 0221O,
USA.
"No all'amianto - Manuale di difesa e di iniziativa contro i rischi e l'uso di
amianto". È uscito come supplemento al n.° 79 (nov-dic. '91) della rivista di Medicina
Democratica, a cura di questa
associazione e della CGIL-commissione amianto. E' una sorta di prontuario, diviso in due parti: una introduttiva
e una di specifica applicazione al mondo del lavoro. Presenta la normativa vigente, integrata da spiegazioni e
commenti, e i provvedimenti immediati ad uso dei lavoratori per tutelarsi di fronte a un atteggiamento
irresponsabile del datore di lavoro.
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UN CASO EMBLEMATICO: il nuovo mercato del Canada nel terzo
mondo
Il Canada è il primo esportatore di amianto. Nel passato, gli acquirenti erano soprattutto gli USA
e in genere
i paesi industrializzati. Con il riconoscimento dei rischi, con oltre centomila persone morte negli Stati Uniti,
questo flusso è calato. Il Canada ha cominciato a guardare ai paesi in via di sviluppo, in particolare
Asia, Africa
e America Latina, dove l'ignoranza dei rischi, dovuta ad una ancora scarsa applicazione, può risultare
vantaggiosa. E' il caso tipico di una tecnologia screditata nel primo mondo, che viene trapiantata nei paesi
più poveri, con
la scusa appunto che sono in via di sviluppo, quindi se non li aiutiamo noi... L'incremento dell'uso
dell'amianto nei paesi del terzo mondo, sollecitato dai paesi estrattori, non è stato
accompagnato da un sistema di sicurezza per i lavoratori. In Brasile ad esempio non ci sono nelle fabbriche
strumenti di ventilazione e i valori limite sono venti volte più alti di quelli nordamericani. I brasiliani
impiegati
in questo settore sono circa 30mila e in condizioni così nocive che qui l'asbestosi viene diagnosticata
appena
dopo 10 anni di lavoro. Non è ancora stato vietato l'amianto a spruzzo. In Egitto i lavoratori
lo maneggiano senza protezione. Insomma, l'uso incontrollato dell'amianto è stata la norma in molti
paesi del terzo mondo; qualcosa fa pensare
che il rischio si appresta ad essere ridotto? Il compito sarebbe dei produttori, ma come possiamo aspettarci che
questi si sobbarchino i costi di misure di controllo straordinarie, quando neppure esiste una qualche pressione
da parte dell'industria o delle autorità governative? Dunque anche qui risulta chiaro che la
produzione dell'amianto è in declino, perché non può assicurare
condizioni di sicurezza accettabili. L'unico modo per renderlo sicuro è di bandirlo.
(da Barry I. Castleman, Canada's growth market: asbestos cancer in third
world)
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