Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 195
novembre 1992


Rivista Anarchica Online

A nous la libertè
diario a cura di Felice Accame

Il racconto e la legge

Quando mi son chiesto, a proposito dei contenuti di una narrazione, si può parlare di una precisa volontà di generalizzazione da parte del narratore? Voglio dire: se un regista bianco mi racconta che l'assassino è un negro, posso già per ciò accusarlo di razzismo? Non diversamente, peraltro, potrei accusare di razzismo - più sottile - quei giallisti per i quali l'assassino è il maggiordomo: verrebbe il sospetto che è la condizione di maggiordomo a condurre all'omicidio. E se, nello stesso film, i criminali sono due - ed entrambi neri - ne posso legittimare la convinzione che ivi si tratta di razzismo puro e semplice? In pratica, il problema della generalizzazione può venire formulato nel modo seguente: quando concediamo lo statuto di "regolare" (normale, abituale, voluto, etc.) ad un evento?
Alla riflessione sono stato indotto da Basic instinct e da alcune manifestazioni di protesta che gli si sono accompagnate. Alcuni hanno detto e scritto che il film "insulta deliberatamente la dignità dei gay e delle lesbiche" adducendo a sostegno della propria tesi il fatto che, nel film, dei 38 personaggi che circolano, i due negativi apparterrebbero a quelle categorie (fra le altre, perché ad una viene attribuita una "schizofrenia parricida" all'altra una "potenzialità assassina" e ad entrambe la tossicodipendenza). Ora, in merito alla faccenda, vorrei fare un paio di considerazioni di ordine metodologico, non tanto per dire la mia, quanto perché ciascuno possa rifletterci per conto proprio.
La prima riguarda il fatto che Verhoven non è regista di ispirazione manichea. Raramente nei suoi film ci imbattiamo in personaggi "tutti buoni" o "tutti cattivi". Il quarto uomo e Carne e sangue (1983 e 1985) - film non ancora americanizzati (come i più recenti Robocop e Total recall) - sono un esempio lampante in questo senso: morbosa attrazione della vittima verso il proprio carnefice, il sesso che vince sull'etica e sull' ideologia razionalistica, la Storia rivista senza gli schemi prodotti dai vincitori, l'uomo animale fra gli altri e ben peggio di altri, il subconscio che non risparmia nessuno, etc. sono tutti elementi di un quadro ideologico implicito che pone l'accento più sulla differenza che sull'uguaglianza. E così vanno anche le cose in questo Basic instinct (che, sia detto di passaggio, complessivamente non mi è dispiaciuto, come non mi sono mai dispiaciuti i film di Verhoven mai privi di un'idea e mai accomodanti negli stereotipi del cinema commerciale - anche se poi le leggi della pubblicità riescono a farli diventare tutt'altra cosa) dove non c'è personaggio cruciale che non sia afflitto da qualche magagna della sua personalità più profonda: ci si muove tra poliziotti corrotti, dediti o all'alcol o alla cocaina, piuttosto a mal partito nel tenere a freno le proprie turbe sessuali e psicologhe che, magari bravissime ad occuparsi delle tare psichiche altrui, subiscono le proprie nel disarmo della presunta Scienza che le avrebbe sacralizzate - senza contare quelle casalinghe su cui grava l'ombra di antichi delitti domestici mai espiati del tutto. La seconda concerne il meccanismo stesso della generalizzazione nel suo rapporto con ogni tipo di narrazione. Se io dico "A è B" una volta, non ne concludo quasi mai che "A è B" tutte le volte. Solitamente, per generalizzare, aspetto almeno che il fatto si ripeta.
Certo, a volte bastano un paio di ripetizioni per convincermene, o a volte no. Nessun fisico o nessun biologo formulerebbe una legge sulla base di due sole osservazioni, ma è anche vero che in certi casi - come nelle osservazioni astronomiche di eventi che ricorrono presumibilmente ogni migliaia di anni - non si può fare altrimenti. Una regola non c'è, né ci può essere: dopo una ripetizione posso anche generalizzare, costruirmi un paradigma, - ma debbo anche essere pronto a correggermi non appena individui la prima differenza. Guardo film western per trent'anni e ne posso dedurre solamente che gli indiani erano assassini e ignoranti; guardo qualche altro film successivo e ne posso dedurre che gli americani erano assassini e ignoranti. Similmente, da certe osservazioni deduco che il Sole gira intorno alla Terra, fino a quando da altre osservazioni sono costretto a rettificarmi e a dire che le cose stanno esattamente nel modo opposto. Ci sono ambiti in cui si usa attendere parecchie ripetizioni, prima di generalizzare, e ci sono ambiti ove si usa fare più alla svelta: dipende dall'implicito consenso dei tanti che poi, in seguito alla generalizzazione effettuata, debbono comportarsi in un modo o, piuttosto, in un altro.
Diverso è, ovviamente, il caso in cui si generalizza perché il singolo evento è stato "giustificato", cioè inserito in una teoria esplicita - come se dicessi "A è B" perché in base a questo e a quest'altro tutti gli "A sono B": qui, non è più questione di gusti o di abitudini, perché la teoria, come minimo, deve comporsi di un insieme di leggi fra loro coerenti, e, come massimo, deve essere compatibile con tutte le altre teorie esplicite che si ritengano asseverate fino a quel momento.
Alla luce di ciò, allora, è perfettamente legittimo che le associazioni degli omosessuali protestino (la ripetizione dell'osservazione la riscontrerebbero nei due personaggi), ma sarebbe altrettanto legittima, conseguentemente, la protesta delle donne in genere (contro la generalizzazione che instaurerebbe un rapporto tra l'orgasmo e l'esigenza di ridurre il maschio ad un colabrodo sanguinolento), quella del sindacato di polizia (contro la generalizzazione che vorrebbe i poliziotti pronti a farsi corrompere, dediti agli stupefacenti, particolarmente boccaloni e confusionari nell'esercizio del proprio mestiere) e infine, forse più giustificata di altre, quella degli psicologi (contro la generalizzazione che suggerirebbe il loro urgente bisogno di essere curati prima di poter rivolgere le loro ambigue attenzioni a quei disgraziati dei loro pazienti).
A ciò si dovrebbe anche aggiungere un'ulteriore considerazione. Alle arti in genere - dunque, cinema incluso - si riserva spesso una sorta di autonomia di cui profittare: come se a qualsiasi evento narrato si concedesse implicitamente uno statuto speciale in merito al quale, in quanto evento, lo si confina in un limbo di fatti tutti speciali e sconnessi con quelli della quotidianità. Non è stato il caso, questo, del realismo socialista. Il legittimo, tuttavia - per riprendere e concludere il discorso - non va confuso con l'obbligatorio: vedere il caso o la necessità dipende dallo schema mentale che applichiamo, e, conoscendo e stimando Verhoven e il modo in cui traduce la propria insofferenza in film, io personalmente, soltanto se fossi psicologo mi sentirei in obbligo di adire sia le vie legali che quelle illegali.

P.S. - L'assassina ha problemi di orgasmo o, ahimè, allo spettatore attento è fornita in tal senso una battuta rivelatrice fin dalle prime battute. Qui sì, anche se il caso è unico (figuriamoci, in un film in cui tutti non fanno che avere orgasmi a ripetizione), qui sì che pesa gravemente un assunto ideologico maledettamente infido o, peraltro, perfettamente coerente al paradigma sessual-psicologico americano di questi anni - paradigma che vorrebbe pulsioni sfrenate al cambio fisso della pace sociale (come dire che chi non ce la fa sarebbe per ciò socialmente pericoloso). Ma qui, sulla volontarietà del regista, sarei incerto: irridente censore o vittima di un habitat ideologico che l'ha irrimediabilmente divorato?