Rivista Anarchica Online
Se non ora, quando?
di Zarabazà
Quest'ultimo decennio del '900 pare destinato a riproporre i peggiori spettri del
secolo. Credevamo sepolti ma non
dimenticati l'orrore nazista e l'inferno stalinista, pensavamo di poter relegare nel passato i nazionalismi e le
guerre.
All'alba del nuovo millennio il sogno che la cultura della convivenza e della libertà fosse ormai una
vivida e
feconda realtà pareva sul punto di realizzarsi, almeno in questa nostra vecchia Europa. Inutile dirlo:
ci siamo sbagliati. A due passi da noi, nella ex-Jugoslavia migliaia e migliaia di persone sono state
uccise, straziate, torturate; altre migliaia hanno perso tutto: casa, lavoro, dignità. Serbi, croati e
musulmani
uccidono, distruggono, saccheggiano e definiscono ciò con termini tanto più orrendi quanto
più asettici:
operazione di pulizia etnica. Termini tanto più sinistri quanto più echeggiano la
soluzione finale che nella
Germania nazista segnò lo sterminio di milioni di ebrei, zingari e minoranze. Oggi che la Germania
è un paese
in cui gli ebrei morti sono assai più dei vivi, i nuovi nazisti si accaniscono contro i cimiteri israeliti, ne
profanano
le tombe, riaprendo piaghe che erano ben lungi dall'essere sanate. Nuove vittime si profilano all'orizzonte:
rifugiati ed immigrati, poveracci fuggiti dai loro paesi in cerca di un'opportunità di vita, vengono
aggrediti,
picchiati, terrorizzati. Troppo facile dire che si tratta di poche centinaia di esaltati, quando certi episodi
avvengono sotto gli occhi di
tanta gente perbene che tacitamente approva. Forse è vero che in Germania così come
in Francia e in Italia i
nazisti sono pochi, purché non divenga un alibi, poiché il germe del razzismo attecchisce nei
modi più inaspettati.
La paura del diverso, il disprezzo per chi non è come noi serpeggia ovunque. In queste nostre
società
democratiche libertà, uguaglianza e rispetto della diversità sono valori da sbandierare nelle
manifestazioni ufficiali
di propaganda, che vengono accantonati e vilipesi non appena si spengono i riflettori dei media. Troppo
spesso si vuole che dimentichiamo che in una società basata sul privilegio, le differenze
vere non sono
tra bianchi, neri e gialli ma tra chi opprime e chi è oppresso, tra chi ha troppo e chi non ha nulla, tra chi
decide
e chi no. I sistemi democratici hanno fallito, perché si sono ridotti a mero meccanismo di regolazione
del ricambio
delle élite, cancellando nei fatti ogni sovranità del popolo. Solo il diffondersi di una
cultura della libertà, potrà far sì che la diversità etnica e
non, venga considerata un
valore importante. Il dominio si fonda sull'uniformità e mira ad eliminare ogni differenza,
rendendola simile a
sé o emarginandola. In una cultura che ha nella libertà il suo fulcro, al contrario, la
valorizzazione di ogni diversità
è considerata garanzia di arricchimento culturale e di difesa contro ogni tentativo di appiattimento del
corpo
sociale. Una società libera è tale perché salvaguarda le differenze,
consentendo a ciascuno di avere il proprio spazio: il
termine libertà è facile da pronunciare, difficile da vivere concretamente. Non si possono amare
soltanto le
differenze che ci piacciono, le anomalie divertenti, le simpatiche stranezze: occorre sperimentare la
possibilità
del dialogo, il rischio dell'incontro. La via della libertà e della convivenza è ardua,
poiché richiede un forte
impegno a tutti, un impegno che in quest'oscura fine di secolo non può essere rimandato o delegato ad
altri. Oggi
più che mai occorre chiedersi come i personaggi di un celebre romanzo di Primo Levi: se non ora
quando? Se non
io, chi per me?
Zarabazà, (foglio anarchico torinese)
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