Rivista Anarchica Online
Non solo sindacato
di Maria Matteo
A colloquio con alcuni anarchici impegnati a vario titolo nel mondo del lavoro. Al centro del dibattito la crisi
dei sindacati confederali, il ruolo del sindacalismo di base, la crisi ecologica e la questione del Terzo mondo
L'autunno è stato segnato dal nascere e dallo svilupparsi di un vasto
movimento di lavoratori contro la manovra
economica del governo Amato. Il dato sicuramente più significativo di questa vicenda è stato
l'emergere
prepotente di un'ampia opposizione alle politiche delle tre maggiori organizzazioni sindacali. Un'opposizione
che si è espressa sia a colpi di ortaggi e bulloni contro vari dirigenti di CGIL, CISL e UIL sia nella
discreta
crescita d'influenza del sindacalismo alternativo. All'ombra di questa generica insegna si
collocano peraltro aggregazioni diverse sotto il profilo organizzativo
e politico, che non sempre sanno dar luogo a più vaste convergenze. In quest'area convivono piccoli
comitati
di categoria ed organismi sindacali più allargati. Ci è parso importante capirne di più,
tentando di individuare
senso e prospettive del sindacalismo alternativo anche al di là degli eventi odierni.
Abbiamo perciò intervistato alcuni lavoratori anarchici, direttamente impegnati in
questa esperienza, ed altri
che a questa guardano con occhio più critico. In particolare abbiamo fatto una chiacchierata con
Roberto
Ambrosoli, assistente universitario a Torino e membro del circolo anarchico Berneri; Maurizio Barsella,
manovratore delle ferrovie a Firenze, appartenente al COMAD - coordinamento lavoratori e deviatori; Stefano
D'Errico, insegnante a Roma, coordinatore nazionale della Confederazione Italiana di Base - Unicobas; Andrea
Ferrari, operaio metalmeccanico di Reggio Emilia, della Federazione Lavoratori metalmeccanici Uniti aderente
alla Confederazione Unitaria di Base; Mauro Pappagallo, operaio della Michelin di Torino, aderente all'Unione
Sindacale Italiana; Cosimo Scarinzi, insegnante a Torino, della Federazione Lavoratori della Scuola Uniti
aderente alla CUB; Cosimo Valente, pensionato, del circolo Berneri di Torino. Le aspre
contestazioni di cui sono state oggetto CGIL, CISL e UIL hanno palesato la crisi di rappresentatività
di queste organizzazioni. Quale ruolo può svolgere in questo contesto il sindacalismo alternativo?
La crisi di CGIL, CISL e UIL - esordisce Andrea Ferrari - è sicuramente
irreversibile. Gli accordi di fine luglio
sul blocco della contrattazione e della scala mobile hanno evidenziato che questi sono sindacati di stato, il cui
rapporto con i lavoratori è ormai pregiudicato. Lo dimostrano le contestazioni di piazza ma anche il dato
che la
richiesta di sciopero generale sia stata di fatto disattesa. Mi pare che in questa situazione il sindacalismo
alternativo esca da una dimensione minoritaria per assumere un ruolo decisamente più rilevante. Non
solo in quei
settori del pubblico impiego dove da anni si sono sviluppate esperienze di auto-organizzazione, ma anche
nell'industria. Assistiamo al nascere di strutture di base che si fondano sulla partecipazione diretta e
l'autogestione. Oggi il sindacalismo alternativo è una realtà con cui bisogna fare i conti: lo ha
dimostrato lo
sciopero da noi indetto autonomamente il 2 ottobre che ha visto l'adesione di 800.000 lavoratori e una
manifestazione di 50.000 persone a Roma. Il movimento è in ascesa e sta costruendo nella pratica
un'alternativa
a CGIL, CISL e UIL, che certo non sono più riformabili
Sindacalismo alternativo è una definizione che mi lascia alquanto perplesso - asserisce
Mauro Pappagallo -
Sono convinto che i sindacati alternativi abbiano caratteristiche essenzialmente corporative, poiché si
limitano
a rivendicazioni di carattere meramente salariale. Mi pare che il destino dei sindacalisti alternativi sia quello
di
fare il mestiere che sino a poco prima era di CGIL, CISL e UIL. Altro dovrebbe essere il ruolo del
sindacalismo
libertario, il cui obiettivo è una più generale trasformazione sociale, che si innesti in un
cambiamento culturale
di ampio respiro . A mio avviso - esordisce Stefano D'Errico - il
sindacalismo tradizionale sia quello della triplice sia quello dei
sindacati autonomi è in crisi. Tale crisi è indubbiamente strutturale: dal dopoguerra ad oggi
questi sindacati sono
stati l'espressione di partiti politici o, come spesso accade per i sindacati autonomi, di correnti di partiti politici.
Per cui lo spazio che il sindacalismo tradizionale ha accettato di occupare è uno spazio meramente
vertenziale,
che implica altresì la rinuncia ad un ruolo progettuale rispetto alla società. Si tratta di sindacati
autolimitati ed
autolimitanti, sindacati delle compatibilità, la cui direzione vera è nelle sedi dei partiti, per i
quali la pace sociale
è merce di scambio per l'accesso al governo. Sindacati il cui ruolo è il contenimento e non
l'organizzazione delle istanze sociali. Gli accordi del 31 luglio così
come quelli più recenti sulla privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti non sono
che l'ultima
tappa di un lungo processo. Oggi che, dopo la fine del socialismo cosiddetto reale, il socialismo di stato, il
potere
palesa la convinzione un po' euforica ed arrogante di avere vinto su tutti i fronti, anche il sindacato si cala sino
in fondo in un ruolo che già era il suo. Si arrocca a difesa del corporativismo dei quadri, dei distaccati
sindacali,
dei privilegi del proprio apparato. Senza infingimenti CGIL, CISL e UIL ed autonomi aspirano ad avere sempre
più voce in capitolo sia nel privato, sviluppando momenti di cogestione, sia soprattutto nella sfera
statale. Per cui
sono oggi sindacati di stato a tutti gli effetti. L'idea di sindacato che emerge dal dibattito interno all'Unicobas,
cui aderisco io che sono anarchico ma anche altri che provengono da diverse esperienze, è
completamente
differente. Fare sindacato nella situazione odierna significa uscire da una logica esclusivamente vertenziale
per
tornare allo spirito che animava la prima internazionale o gli atenei libertari e gli atelier
populaires della Spagna
e della Francia degli anni '30. Il sindacato deve porsi come elemento di raccordo tra strutture di categoria e
territorio, rimettendo in discussione la divisione del lavoro, la separazione tra lavoro manuale e lavoro
intellettuale, la proprietà dei mezzi di produzione e la proprietà della cultura.
Io - dice Cosimo Scarinzi - non sono né ciecamente ottimista né
eccessivamente pessimista. Le contestazioni di
cui sono state oggetto CGIL, CISL e UIL non implicano necessariamente una volontà di rottura. Mi
pare che vi
si possa ravvisare un carattere ambiguo: in fondo si contesta e spesso con passione soprattutto coloro cui
comunque si affida o si è affidato o ancora si intende affidare qualcosa. La stessa richiesta di
sciopero generale, che è stato l'obiettivo forte dei contestatori mi pare rifletta una concezione
vecchia dell'azione sindacale, basata sulla convinzione che uno sciopero generale di otto ore bastasse a ribaltare
la politica economica del governo o a far cadere il governo stesso. Chiarito che non esiste a mio parere alcun
passaggio obbligato dalla contestazione a CGIL, CISL e UIL ad un'ipotesi alternativa, ritengo comunque che
si
apra uno spazio per aree già organizzate fuori dai sindacati tradizionali, che possono divenire punto
di riferimento
che eviti il ripiegamento qualunquista, l'andare a casa. E le possibilità ci sono: gruppi di compagni
usciti dalla
CGIL sono entrati nella CUB. In ogni caso la partita è ancora aperta e i suoi esiti sono incerti.
Certo - asserisce Ambrosoli - molta gente si è sentita tradita dai sindacati
tradizionali ed uno spazio non so se
grande o piccolo si è aperto. Credo però che un sindacalismo alternativo che si ponga come
unico obbiettivo il
raccogliere e canalizzare la delusione sia perdente. Sono convinto che elemento qualificante del sindacalismo
alternativo dovrebbe essere l'assunzione di contenuti libertari. Ed è ipotesi tutta da verificare se tali
contenuti
sarebbero recepiti dalla gente che oggi contesta CGIL, CISL e UIL.
Le prospettive - dice Barsella - di sviluppo del sindacalismo alternativo sono oggi
sicuramente buone, purché gli
anarchici, i libertari siano consapevoli che non ci si muove sul terreno della grande trasformazione. Oggi
l'obiettivo principale è sottrarre all'influenza politica e culturale di CGIL, CISL e UIL grandi masse di
lavoratori.
I risultati non sono assicurati: vi sono comunque delle chances che dipenderà da noi saper sfruttare.
L'area del sindacalismo alternativo è estremamente composita, magmatica, frammentata in
mille rivoli, vi pare
possibile la realizzazione di più ampie convergenze?
Il sindacalismo alternativo - afferma Ferrari - potrà essere grande se
saprà tener fuori dai propri ambiti la politica
tradizionale, favorendo la partecipazione diretta dei lavoratori, creando i presupposti per sempre maggiori spazi
di solidarietà ed autogestione.
Il sindacalismo di base - dice D'Errico - è una realtà
estremamente composita e non potrebbe essere altro, poiché
i Cobas nascono e si sviluppano per l'esigenza di rompere la gabbia costruita intorno alla specificità di
ogni
professione. E' un fatto che io non giudico negativamente, poiché è il segno di una
capacità dei lavoratori di
riflettere sulla propria particolare condizione. Tuttavia è fondamentale evitare che su ciò si
innesti la pratica di
un microcorporativismo diffuso. D'altro canto occorre salvaguardare il sindacalismo delle differenze da
chi pretende di inglobarlo in una nuova
super-struttura. L'importante è costruire un percorso in cui lavoratori provenienti da esperienze diverse
possano
riconoscersi. Fondamentale è quindi il metodo su cui si impronta il lavoro sindacale, un metodo che
vede nella
partecipazione diretta, nella democrazia di base e nella rotazione degli incarichi i propri cardini. Mi pare
altresì
che il radicalizzarsi dello scontro con il governo e con gli imprenditori possa favorire il confronto
intercategoriale.
Già da un anno e mezzo l'Unicobas ha fatto alle altre componenti del sindacalismo alternativo la
proposta di
costituire una consulta del lavoro. Oggi che esistono varie strutture intercategoriali - l'USI, la CUB e
l'Unicobas
- ed altre organizzazioni di categoria che non rientrano in un percorso confederale ci pare che l'ipotesi di
consulta
del lavoro torni di attualità. Quel che conta non è tanto giungere ad uno sbocco organizzativo
generale immediato
ma riuscire a realizzare momenti di raccordo e di lavoro comune rispetto alle grandi scadenze di lotta che ci
attendono. Presupposto di ciò è il reciproco rispetto ed il reciproco riconoscimento delle diverse
identità.
La categoria cui appartengo - afferma Barsella - i ferrovieri è divisa al
proprio interno in organizzazioni che
rappresentano le varie professioni che vi si esercitano. Sono organizzazioni che spesso sono state in
concorrenza
tra di loro, per cui ci è parso importante privilegiare un percorso di unità tra di noi rispetto al
confronto
intercategoriale. Il che non ci ha ovviamente impedito di lottare a fianco degli altri lavoratori. Le
organizzazioni
di base dei ferrovieri raccolgono ormai grandi masse di lavoratori. Oggi però vi sono delle
novità, poiché, sotto
la spinta delle mobilitazioni contro la manovra Amato, sta prendendo corpo l'ipotesi di costruire un unico
sindacato dei ferrovieri che sappia raccordarsi con le altre categorie.
Ogni struttura - dice Scarinzi - dovrà mostrare nella pratica la propria
capacità di organizzare i lavoratori ed in
tal modo si separerà il grano dal loglio. Superare la logica dell'orticello non è questione di
buona volontà ma
necessità: nessuna organizzazione di categoria, per quanto localmente forte, può alla lunga
tenere senza una più
ampia solidarietà.
Mi pare - aggiunge Ambrosoli - che l'elemento che accomuna le varie
componenti del sindacalismo alternativo
sia la crisi del sindacalismo tradizionale. Il sindacalismo alternativo è una variabile del tutto dipendente
dal
sindacalismo tradizionale. Io credo che la gente si aspetti che questi sindacati facciano il mestiere che gli altri
non fanno più, impegnandosi nella difesa degli interessi economici dei lavoratori. Se, come
è possibile, non sapranno farlo andranno incontro ad una crisi peggiore di quella che oggi attraversano
CGIL, CISL e UIL. Il sindacalismo alternativo non è stato sinora capace di fare proposte realmente
innovative
sul piano dei contenuti, limitandosi ad asserire che la costruzione di organismi sindacali meno burocratici e
libertari fosse sufficiente a garantire l'alternativa.
In questa situazione quale compito ritenete possa o debba svolgere l'area libertaria?
Io credo - sostiene Scarinzi - che gli anarchici siano portatori di una cultura dalle
grandi possibilità. In particolare
fondamentale è la critica dello statalismo, della stessa tradizione statalista nel movimento operaio, una
critica che
deve trovare spazio all'interno delle strutture del sindacalismo alternativo, facendo leva in modo forte sui
concetti
di autonomia e autogoverno. La democrazia diretta però non deve essere confusa, come purtroppo
spesso accade
nei nostri ambienti, con l'assemblearismo, poiché il casino non è indice di antiburocrazia.
Il contributo degli anarchici - dice Ferrari - è stato ed è decisivo
per lo sviluppo del sindacalismo di azione
diretta. Oggi gli anarchici devono riproporre i contenuti tipici della loro tradizione, che non a caso molti
lavoratori
han fatto propri.
Gli anarchici - dice Pappagallo - non dovrebbero disperdere energie in un'azione
sindacale che appare senza
sbocchi, se non si ha la capacità di elaborare un progetto politico complessivo efficace. Mi pare che
molti di noi
cerchino di fare del proprio meglio ma senza risultato, come chi va in bicicletta per guardare la ruota che gira.
Gli anarchici dovrebbero porsi sul terreno della sperimentazione sociale, sottoponendo a verifica le loro
ipotesi.
Io concepisco l'azione sindacale come strumento di mediazione sociale libertario il cui terreno d'intervento
è ben
più vasto del conflitto nel mondo del lavoro poiché investe i più svariati ambiti della
vita associata.
Io credo - interloquisce Cosimo Valente - che sia importante essere presenti nelle
piazze e confrontarsi con i
lavoratori. Io l'ho fatto e ho visto che la gente era incazzata e non accettava più CGIL, CISL e UIL.
Bisognerebbe elaborare - argomenta Ambrosoli - contenuti per l'azione sindacale
che vadano al di là della mera
indicazione di metodo. Il sindacalismo alternativo, non diversamente da quello tradizionale, non si muove
nell'orizzonte della trasformazione sociale: tutti hanno nello stato l'interlocutore da cui si attendono risposta.
Le
proposte emerse in alcuni settori di costruire reti di mutuo appoggio mi trovano perfettamente concorde,
poiché
possono essere di valido ausilio all'azione sindacale, ma non bastano. Possibile che la richiesta di sottrarre alla
tassazione statale i nostri salari debba farla Bossi?
Il nostro modello di sviluppo ci pone oggi di fronte a questioni nuove, sconosciute al movimento
tradizionale,
volto soprattutto alla lotta contro l'iniquità nella distribuzione delle ricchezze tipica di questo sistema.
Il
baricentro del mondo si è spostato: il più malpagato salariato di questa parte del pianeta
appare un
privilegiato in rapporto alla gran parte degli abitanti del terzo mondo, un terzo mondo che in virtù
dell'immigrazione non è più cosi lontano da noi. Inoltre la critica ecologica ha mostrato in
modo inequivocabile
che il più diffuso concetto di benessere, socialmente riconosciuto ed accettato, implica una
distribuzione e una
rapina di risorse insostenibile sia sotto il profilo materiale che etico. Sono questioni che rischiano di divenire
esplosive: già ci è capitato di vedere i lavoratori delle fabbriche nocive scontrarsi con gli
abitanti delle loro
zone che volevano chiuderle. Non è difficile immaginare uno scenario che veda lavoratori indigeni
opporsi a
lavoratori immigrati deboli, ricattabili e quindi disponibili ad accettare condizioni di lavoro più
sfavorevoli.
Non vi pare che il sindacalismo alternativo dovrebbe tenere in maggior considerazione questi problemi?
Il sindacalismo - afferma D'Errico - deve assumere una dimensione più
globale, una capacità di andare al di là
del mero rivendicazionismo salariale, altrimenti rischia di essere riassorbito in una logica di
compatibilità. A tal
fine occorre che il sindacato sappia moltiplicare i propri centri di ascolto, recuperando un rapporto con il
territorio,
con il quartiere metropolitano che è il luogo ove è possibile costruire un discorso più
generale sulla qualità della
vita. L'asse dell'interesse economico della società civile deve essere portato dalla produzione di
benessere effimero
alla produzione di benessere reale, imponendo un utilizzo delle risorse che, anche in chiave occupazionale e
produttiva, consenta l'impiego dei lavoratori delle fabbriche nocive che devono essere chiuse, per una
riqualificazione del territorio distrutto da queste fabbriche. Deve essere altresì chiaro che solo un
progetto di
società diversa dall'attuale può consentire di pensare il superamento degli egoismi presenti
anche tra gli operai
nei confronti del terzo mondo.
Io credo - dice Barsella - che si debba comunque privilegiare l'intervento
all'interno del mondo del lavoro: altre
tematiche, come quelle ecologiche o di solidarietà con gli immigrati possono essere meglio affrontate
da gruppi
che agiscono sul territorio, come i centri sociali.
Spesso - argomenta Scarinzi - i sindacati confederali si sono serviti dell'ecologia
o del femminismo per negare
le specificità dei lavoratori, per cui oggi molti guardano con diffidenza a chi solleva queste tematiche.
In ogni
caso è innegabile che il modello di sviluppo occidentale è insostenibile e quindi il problema
di forme di
associazione che permettano di produrre beni e servizi senza generare disastri è un problema reale.
D'altro canto
i lavoratori sono tanto più disposti ad accettare produzioni nocive per sé e per l'ambiente,
quanto più sono deboli
sul piano dell'occupazione e del salario, per cui la garanzia di condizioni di vita socialmente considerate decenti
è un passaggio duro ma obbligato. In generale al di là delle dichiarazioni di principio, che ad
esempio sono anche
nello statuto della CUB, sulla questione degli immigrati o sulle produzioni nocive occorrerà misurarsi
con
esperienze concrete che al momento sono carenti.
Bisogna cominciare sin da ora - afferma Pappagallo - a vivere in modo diverso
per sfuggire alle imposizioni
dell'economia ed avere una società più ecologica.
Le rivendicazioni sindacali - sostiene Ambrosoli - anche rispetto a questi
problemi devono essere inserite in una
proposta organizzativa della società. Occorre insomma che ancor prima di porci certi obiettivi culturali
-
salvaguardia dell'ambiente, rapporti equi con il sud - ci si interroghi su qual è il modello di
organizzazione
politica e sociale compatibile con tali obiettivi. Il sindacato deve impostare le proprie rivendicazioni in
riferimento
a tale modello. Occorre chiedersi: vogliamo più stato o meno stato? Infatti se il nostro scopo è
avere meno stato
non possiamo chiedere il ripristino dello stato sociale, ma adoperarci per smantellarlo. Solo così
potremo allargare
la nostra autonomia aprendo la strada ad esperienze di autogestione.
L'internazionalismo - dice Ferrari - la creazione di reti di solidarietà tra
i lavoratori e gli sfruttati è la chiave di
volta per superare tante contraddizioni, per evitare che i poveri dei paesi ricchi facciano la solidarietà
ai ricchi
dei paesi poveri. Nel movimento operaio si deve affermare una cultura non comunistica, di rispetto del diverso,
di valorizzazione delle differenze. Il sindacato deve saper unire la lotta economica, la lotta ecologica, la lotta
politica, la lotta antimilitarista.
CIB-UNICOBAS che cos'è? La
Confederazione di Base - Unicobas, fondata nel gennaio '91, ha tenuto il proprio primo congresso nazionale
il 7 e 8 novembre di quest'anno. L'Unicobas è una confederazione di strutture ad essa preesistenti che
mantengono la loro autonomia sia sul piano vertenziale che su quello della rappresentanza. Ciascuna categoria
elabora i propri obiettivi di lotta e si autorappresenta in sede di trattativa. Ogni sindacato aderente all'Unicobas
nomina i propri rappresentanti nella segreteria nazionale e può esso stesso revocarli in qualsiasi
momento. I
rappresentanti sono sempre 3 per categoria, indipendentemente dal numero degli iscritti, allo scopo di evitare
che
settori strutturalmente più piccoli vengano compressi da altri più vasti. L'Unicobas mira a
costruire un ombrello
per la conquista dei diritti sindacali e si fonda su un progetto di solidarietà volto a superare il
microcorporativismo
diffuso. Vi è peraltro la possibilità di affiliazione diretta all'Unicobas per i lavoratori
appartenenti a categorie che
non vi sono rappresentate. Le scelte complessive della confederazione vengono operate dalla segreteria e dalle
assemblee nazionali. Il coordinatore dell'Unicobas, scelto a rotazione dalle varie organizzazioni che ne fanno
parte, è oggi Stefano D'Errico. Aderiscono all'Unicobas: l'Organizzazione Cobas Scuola, il Cobas
Industria, il
Coordinamento Sindacale di Base Assistenti di Volo, Associazione Nazionale Giudiziari Cobas Giustizia, il
Condafi-Cobas Firenze, il Sicursind, il Sinderc-Cobas dipendenti Regione Campania, Cobas civili Difesa,
Unicobas Ministero del Lavoro, Unicobas Sanità, Unicobas Vigili Urbani. La CIB pubblica un
proprio mensile, "Unicobas".
CUB che cos'è? La Cub,
Confederazione Unitaria di Base, nasce nel gennaio '92 in un'assemblea tenutasi al Liceo Carducci di
Milano. La Cub non è un sindacato, ma un coordinamento di sindacati, che mantengono la loro
autonomia
organizzativa. Ogni sindacato della confederazione nomina due rappresentanti nel coordinamento nazionale,
che
è un organismo che svolge funzioni di raccordo, ma non ha potere decisionale. Le decisioni sulla vita
e il
funzionamento della Cub vengono prese dalle assemblee nazionali, che si riuniscono in occasione delle
più
importanti scadenze di lotta. Coordinatore nazionale della Cub è Piergiorgio Tiboni. Le principali
strutture
sindacali che aderiscono alla Cub sono: FLMU, federazione lavoratori metalmeccanici uniti, con un buon
numero
di aderenti a Milano, Varese; le RdB, Rappresentanze di Base, l'organizzazione più vecchia, presente
soprattutto
nel parastato ed uniformemente diffusa sul territorio nazionale; Sindacato '90, neonata organizzazione di
bancari;
FLSU, federazione lavoratori della scuola uniti, piccola struttura che organizza gli insegnanti, nata da una
scissione dei Cobas torinesi è oggi presente oltre che a Torino anche a Pinerolo; il Fanga aeroportuali
con aderenti
a Roma e Milano; un sindacato edile in Puglia; un'organizzazione di chimici a Castellanza. Sono altresì
federate
alla Cub, l'Unione Inquilini, la Lega handicappati e l'Asia, associazione inquilini assegnatari. Difficile
valutare il numero effettivo di aderenti alla Cub, che comunque da fonti ad essa molto vicine vengono
valutati in circa 40.000. La Cub non possiede un proprio organo di stampa, tuttavia alcune delle organizzazioni
che vi aderiscono pubblicano dei bollettini. Ricordiamo: Noi, quindicinale delle RdB, via Silvio Negro 14,
Roma;
Collegamenti scuola dell'FLSU, via Reggio 14, Torino; una Rivista di diritto del lavoro, V.le Lombardia 27,
Milano.
USI che cos'è? Ricorre quest'anno
l'ottantesimo anniversario della costituzione dell'USI, Unione Sindacale Italiana, che, fondata
a Modena nel 1912, ebbe un ruolo di primo piano negli aspri scontri sociali degli anni '10. Nel secondo
dopoguerra, dopo la lunga parentesi fascista che ne aveva interrotto l'attività, vi furono vari tentativi
di riattivare
l'USI, che furono coronati da successo solo alla fine degli anni '70. Il 1° congresso nazionale della rinata
organizzazione si tenne ad Ancona nel dicembre '83. A questo sono seguiti il congresso di Torino dell''86 e
quello di Roma del maggio '90. Il prossimo congresso si terrà a febbraio a Milano. I congressi, cui
partecipano tutti gli iscritti o loro delegati, sono l'organo decisionale dell'USI e nominano una
Commissione Esecutiva che ha il compito di rendere operative le decisioni congressuali e gli orientamenti del
comitato nazionale dei delegati, che ha funzione di raccordo tra un congresso e l'altro. Tutti gli incarichi
sono a rotazione. Ogni congresso designa un segretario nazionale che rappresenta l'unità
dell'organizzazione, ma non ha altro potere che di firma. L'attuale segretaria è Claudia Santi dell'USI
di Roma.
I congressi nominano anche un gruppo responsabile della cassa, nonché una commissione di relazioni
internazionali che ha il compito di tenere i rapporti con l'AIT, Associazione Internazionale dei Lavoratori, cui
aderiscono la gran parte delle organizzazioni di tendenza anarcosindacalista. Fedele alla propria tradizione
di sindacato libertario e rivoluzionario, l'USI oggi si definisce come sindacato
autogestionario, poiché nell'autogestione individua una modalità organizzativa e una più
generale finalità politica,
capace di attuare una radicale trasformazione sociale. L'USI raccoglie alcune migliaia di iscritti, è
presente in vari settori tra cui: sanità, ricerca, scuola, alcune fabbriche
metalmeccaniche, commercio ed enti locali. E' legata da patto federativo alla Libera Rappresentanza dei
Beni Culturali. L'USI è inoltre punto di riferimento
per varie realtà extra-sindacali, tra cui vari collettivi studenteschi. Organo dell'USI è "Lotta di
Classe" la cui
redazione è a Bari. Vi sono sedi USI a Milano, Roma, Trieste, Udine, Bergamo, Ancona, Pistoia, Bari,
palermo,
Firenze. L'USI è comunque presente in varie altre località in cui non ha sedi proprie.
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