Rivista Anarchica Online
I friulani di Cordoba
di Fernanda Hrelia e Cristina Valenti
L'originale vicenda teatrale e sociale del gruppo "Fra noi", composto da friulani immigrati a Cordoba
Córdoba; seconda città dell'Argentina con una provincia fra le
più grandi del paese (il 4,4% della superficie
totale). L'ufficio turistico del comune distribuisce un opuscolo illustrativo in cui, tra l'altro, si legge che
"fondamentalmente Córdoba è la sua gente, che storicamente si è distinta per il suo
carattere polemico e
dissidente, generatrice di correnti ideologiche rinnovatrici, sempre disponibile ad ogni tipo di confronto e di
rottura con ogni formalismo e convenzionalismo". Al di là degli stereotipi e della retorica, non si
può far a meno di notare una certa vivacità culturale, e qui, in
diversi campi si stanno facendo delle esperienze interessanti. Io, ad esempio, che mi occupo di teatro, ho avuto
modo di seguire il lavoro di un gruppo, che dimostra che il teatro può ancora ricoprire una funzione
sociale
determinante. Sinceramente, quanto ho potuto vedere mi ha scossa dal pessimismo cui una realtà
teatrale come
quella italiana mi aveva abituata; passate (e, sembrerebbe, dimenticate) le felici esperienze degli anni '60 e '70,
oggi in Italia è pressoché negato spazio alla ricerca o a un discorso che non si inserisca nella
logica del mercato. Scopro così che in provincia di Córdoba, ad una cinquantina di km dal
capoluogo, a Colonia Caroya, centro
costituito principalmente da emigrati friulani, lavora una compagnia teatrale, il gruppo "FRA NOI", che dal
1983
si è proposto non solo come forma aggregativa fra la popolazione più giovane (e non) in una
realtà rurale, ma
rappresenta soprattutto la volontà di sviluppare un discorso che ha usato il teatro per raccontare la
propria storia,
i sogni, le illusioni, le disillusioni, alla ricerca di una propria identità culturale, delle proprie radici e
di uno spazio
per la propria poesia. Il "FRA NOI" si forma nel momento in cui l'Argentina esce dalla dittatura; allora in
tutto il paese c'è la necessità
reale ed urgente di esprimersi su quanto è stato vissuto. A Colonia Caroya si crea, col supporto, sia in
termini
logistici che materiali, della "Municipalidad" (il comune), uno spazio per lo studio dell'espressione teatrale; si
potrebbe dire una "scuola" che, però, non ha la funzione di formare professionalmente degli attori, ma
si propone
invece come luogo per quell'espressione, fino ad allora così violentemente negata. Si studia teatro come
per
recuperare una lingua dimenticata per forza. Dopo un anno nasce lo spettacolo "Despertando emociones"
(Risvegliando emozioni); la direzione del gruppo è affidata a Coco Santillano. Il senso del lavoro - un
montaggio
di poesie - è la denuncia; il teatro è il mezzo per riaffermare la dignità umana, il diritto
di esistere, la volontà di
non dimenticare.
Creazione collettiva Ma nel 1985 c'è una
svolta nella linea del gruppo; l'organizzazione di cultura "Actividades para el interior", (una
struttura per il decentramento culturale), propone a Roberto Videla, appena tornato dall'Italia, di tenere un
seminario teatrale a Colonia Caroya. L'attore e regista Roberto Videla ha fatto parte del "Libre Teatro Libre"
(Libero Teatro Libero), gruppo che negli anni '70 ha avuto un ruolo importante nella storia del teatro
latinoamericano, caratterizzandosi per la creazione collettiva dei suoi spettacoli, tutti inseriti in un discorso di
denuncia sulla questione latinoamericana. La formazione di Roberto Videla in Italia si arricchisce; studia
con l'attrice Marisa Fabbri, realizza, tra l'altro lo
spettacolo "L'ombra del lampo" prodotto dal "Centro per la sperimentazione e la ricerca teatrale di Pontedera".
Attualmente è anche impegnato nella conduzione del laboratorio teatrale dell'ospedale psichiatrico
provinciale
di Córdoba, in cui si intende valorizzare lo sviluppo della creatività come fattore di
comunicazione fra il mondo
"malato" della realtà psichiatrica e la comunità. Attraverso il teatro si impara a raccontarsi, si
fa luce sul senso
dell'emarginazione e dello squilibrio mentale e sociale. Con questo progetto, il centro dell'Argentina si
collega con quanto è stato fatto in Europa relativamente alla
"questione psichiatrica". Ma tornando al "FRA NOI" insieme a Roberto Videla, che viene a conoscere la
realtà
di Colonia Caroya, si decide che la storia stessa di questo paese di emigranti può fornire materiale di
studio
teatrale. Dopo un anno di preparazione, nasce lo spettacolo "Años secos" (Anni secchi). Dice lo stesso
regista:
"In quest'anno di lavoro, abbiamo fatto interviste, siamo andati a registrare aneddoti, canzoni, abbiamo raccolto
le vecchie foto di famiglia: ci siamo sommersi nelle storie raccontate dai nostri padri, dai nostri nonni. Quelle
storie che altrimenti avrebbero continuato a vivere solo nella memoria della gente. Abbiamo raccolto
così
un'enorme quantità di materiale 'vivo', che poi abbiamo elaborato teatralmente, rispettando però
testualmente i
documenti che ci erano stati forniti. Come regista, ho cercato di seguire i principi con cui lavorava il 'Libre
Teatro
Libre' del quale ho fatto parte: osservare e studiare la realtà per cercare di riflettere, attraverso il teatro,
il mondo
in cui viviamo, per cercare di cambiarlo, per comprenderlo e comprenderci meglio". Lo spettacolo
"Años secos", creazione collettiva basata sui fatti della vita e della storia degli emigrati italiani di
Colonia Caroya, non è semplicemente una sorta di "documentario teatrale", né un'operazione
celebrativa, o
sentimental-nostalgica sulla terra d'origine lontana e perduta. E' soprattutto lo sforzo di auto-rappresentarsi, di
mettere in scena tutta la comunità di cui si fa parte, di dar voce alle piccole e alle grandi storie
individuali, dove
anche il passaggio linguistico (friulano, italiano, spagnolo) assume valori emozionali, piuttosto che documentare
una ricerca filologica. E la scenografia è quella naturale del paese: l'edificio scelto per la
rappresentazione è quel
convento, fondato dai Gesuiti nel XVII secolo, dove trovarono provvisoriamente alloggio i primi emigrati; vi
si
proiettano anche, in diapositive, le fotografie di famiglia che il pubblico riconosce e commenta ad alta
voce. Dice ancora Roberto Videla: "In origine l'idea era di realizzare su questo tema un solo spettacolo, ma
per la sua
complessità e per l'impossibilità di esaurirlo in una sola opera teatrale, venne a formarsi una
trilogia". Difatti,
dopo "Años secos", rappresentato, oltre che a Córdoba e in provincia, anche alla "Fiesta Nacional
de Teatro"
(Festival di Teatro Nazionale) di Buenos Aires, il gruppo "FRA NOI" debutta un anno dopo, nel 1987 con "La
calle ancha" (La strada larga) che, dagli anni '40, in cui si fermava la narrazione nello spettacolo precedente,
continua a rappresentare la storia del paese fino agli anni '70. Qui, protagoniste sono le nuove generazioni;
è
avvenuto del tutto il distacco con la terra d'origine. Questa distanza culturale non manca di essere rappresentata
anche comicamente, scegliendo una linea autoironica, critica, per riflettere sulla peculiarità di questa
comunità
"ibrida" in modo divertito, per superare le lontananze dopo aver riconosciuto le differenze generazionali, in
questo
caso più marcate che altrove. E nel 1990 segue quindi lo spettacolo "Macadan" (dal nome del tipo
di pavimentazione della strada), che
rappresenta sinteticamente la vita del paese in una giornata-tipo. La genesi di questo spettacolo è
alquanto
singolare: gli attori, provando nello spazio aperto delle strade, si sono visti circondare, giorno dopo giorno, dalla
gente, che non si limitava ad assistere per curiosità, ma si sentiva coinvolta in una situazione che la
riguardava
da vicino e quindi intendeva partecipare, dare il proprio apporto ad uno spettacolo, che si era proposto di
rappresentare la comunità. Alla fine, gli attori erano più di cinquanta, senza contare
automobili, carri e cavalli, cani, o semplici passanti,
attori inconsapevoli, dal momento che tutto il paese era diventato il palcoscenico. Dopo questi lavori, in cui il
teatro è stato quasi un pretesto per l'analisi della storia e del modus vivendi di una
società, che ha deciso di
mettersi in scena, il gruppo "FRA NOI" lavora ad un progetto di spettacolo, che sceglie una dimensione
più
piccola.
In viaggio sul "colectivo" In "Pic nic Blues" - che debutta al Festival
Latinoamericano di Córdoba e che continua ad essere rappresentato
(nello scorso novembre partecipa al Festival di Teatro della città di Mar de Plata) - il tema, sviluppato
collettivamente in improvvisazioni, che hanno scritto successivamente il testo, è quello del viaggio.
L'Argentina
è un paese dalle grandi distanze; il mezzo di trasporto più diffuso (e anche il più
pittoresco) è il "colectivo" (il
pullman). Ecco che da una situazione quotidiana, molto comune, come prendere un pullman, nasce lo spunto
per
uno spettacolo. "L'idea - racconta Roberto Videla - è stata quella del VIAGGIO, sia esso reale che
immaginario. Un gruppo di
persone prende un omnibus, ognuna con la sua piccola o grande storia, ognuna coi suoi tic, con la sua follia
mascherata o nascosta, ognuno con le sue piccole meschinità. Durante il viaggio succede di tutto:
incontri, scontri,
un po' di poesia. Ognuno sa di viaggiare verso qualcosa che gli è preparato dal destino, o a volte
inseguendo un
piccolo o futile desiderio". Ciò che sinceramente colpisce in questo spettacolo - che, se proprio si
devono fare delle citazioni, può ricordare
certo teatro dell'assurdo o, per l'uso dello spazio e del corpo, il teatro danza - è la capacità di
trasfigurare una
situazione quotidiana, lasciando emergere la follia e la poesia di ogni personaggio che, senza pudore e senza
"mestiere", sa creare anche delle situazioni emotivamente molto forti. Bellissima, in questo senso, è la
scena,
quando, nel buio del pullman che viaggia di notte, ognuno dà voce ai suoi pensieri più intimi
nel dormiveglia, o
quando, un guasto improvviso fornisce il pretesto per un pic-nic grottesco, dove le relazioni fra i personaggi
hanno
già creato delle storie. Colpisce, ancora, la freschezza di questo gruppo, che dimostra comunque di aver
intrapreso
un discorso profondo e uno scambio sincero fra i suoi componenti. Ciò dimostra, ancora, che il teatro
può avere
un senso se lo si concepisce come "luogo di e per l'umanità". Elementi questi che mi sono sembrati
preziosi. Molti
auguri di buon lavoro, "FRA NOI"!
Fernanda Hrelia
Il "Teatro Indipendente" in Argentina e America
Latina
Il teatro politico "indipendente", svincolato cioè dall'industria dello spettacolo e privo di contributi
governativi,
gode in America Latina di una radicata tradizione che ne ha fatto in vari momenti una delle forme privilegiate
di
intervento, denuncia, aggregazione e partecipazione sociale. In particolare a Cuba, in Bolivia, in
Perù, in Cile e in Argentina sono nate, a partire dalla metà degli anni quaranta,
forme di teatro di carattere innovativo e didattico, attente alle istanze del proletariato minerario e agricolo, e
pronte ad intervenire nel dibattito progressista sulle questioni demografiche, morali, sessuali, educative. La
dimensione collettiva e popolare del fenomeno si è legata, nei diversi paesi, alla coscienza della
necessità e
immediatezza del mezzo teatrale come pratica diffusa e largamente partecipata. E su queste basi, in particolare,
si è fondata la grande influenza che il Living Theatre, con la sua struttura collettiva e la pratica
dell'intervento
diretto, ha esercitato nel corso delle sue tournée sulle formazioni teatrali latino-americane. E'
significativo infatti che figure storiche quali il colombiano Santiago Garcia, fondatore del gruppo La
Candelaria, o il cubano Vicente Revuelta, del Grupo Teatro Estudio de la Habana, individuino nell'incontro con
il Living uno dei momenti fondamentali della loro formazione e presa di coscienza teatrale. In Argentina
in particolare sono nati alcuni dei gruppi più significativi degli anni Settanta: il gruppo Once al Sur,
la Comuna Baires e il Teatro Experimental di Buenos Aires e il Libre Teatre Libre di Cordova. Dal '74 il
clima di repressione e terrore instaurato nel paese ha avuto forti ripercussioni anche nel mondo teatrale
e i gruppi impegnati nell'opposizione al governo hanno subito pesanti forme di persecuzione e censura. Il
Libre Teatre Libre, cui si fa riferimento in questo scritto, nasce nel 1969 presso la scuola d'Arte
dell'Università
Nazionale di Cordova per poi costituirsi come gruppo indipendente l'anno successivo. Crea spettacoli di satira
e di denuncia che usano l'ironia come mezzo di straniamento e riflessione critica. I temi trattati sono legati
all'attualità del paese: scioperi, crimini politici, mancanza di libertà nella scuola e nei posti di
lavoro, situazione
carceraria. Il gruppo si organizza come collettivo di lavoro, senza distinzioni e specializzazioni di ruoli.
Applicando al teatro la tecnica del "foro", il LTL invita gli spettatori alla discussione collettiva al termine di
ogni
rappresentazione. In uno dei manifesti del LTL si legge: "Il teatro è per noi una forma di testimonianza
continua.
Di denuncia permanente. E' il mezzo per esprimere la realtà che colpisce tutti noi (...). Il nostro
maggiore obiettivo
è di raggiungere un teatro forse meno teatrale, ma più vicino all'uomo". Il LTL si è
sciolto alla fine del 1975. Molti dei suoi componenti, fra i quali Cristina Castrillo, Pepe Robledo,
Roberto Videla, hanno continuato a fare teatro fondando altri gruppi o portando l'esperienza del LTL all'interno
di diverse formazioni teatrali. L'attività di Videla con il gruppo di emigrati friulano "Fra Noi", di cui
si parla in
queste pagine, è significativa di un modo peculiare di lavorare nel "teatro indipendente": costruendo
continuità
con la tradizione di opposizione del proprio paese e intrecciando trame solidali in un tessuto sociale espropriato
dei valori culturali più autentici.
Cristina Valenti
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