Rivista Anarchica Online
Note sull'anarchismo
di Noam Chomsky
Presentiamo, per la prima volta in italiano, ampi stralci delle "Note sull'anarchismo", comparse
sul
n.116 (settembre 1970) della rivista anarchica mensile inglese "Anarchy". L'autore, Noam Chomsky,
è professore di linguistica al Massachusetts Institute of Technology, dove insegna fin dal 1955.
Laureato all'Università della Pennsylvania, Noam Chomsky è stato membro della
Fondazione
Nazionale per le Scienze e del Centro di "Studi conoscitivi" di Harvard. È stato attivissimo nelle
organizzazioni antimilitariste statunitensi sin dagli inizi della guerra imperialista nel
Vietnam. Noam Chomsky, forse il più noto esponente della New Left (Nuova
Sinistra) americana, non è
anarchico. Per sua stessa definizione, il suo pensiero si ricollega sia all'anarco-sindacalismo sia ai
"marxisti non bolscevichi come Rosa Luxemburg". Rimandiamo i lettori, per un
approfondimento del pensiero di Noam Chomsky, al suo libro "I nuovi
mandarini" (ed. Einaudi, 1969), in cui sono raccolti suoi saggi politici tra cui, particolarmente
interessante, quello sulla rivoluzione spagnola.
I PERICOLI DELLA BUROCRAZIA
... "Gli anarco-sindacalisti sono convinti che l'ordine economico socialista non possa essere creato
per
mezzo dei decreti e delle decisioni di un governo, ma solo dalla collaborazione solidale dei lavoratori
manuali ed intellettuali in ogni speciale branca della produzione; togliendo, cioè, ai dirigenti di
fabbrica
l'iniziativa della pianificazione economica, e stabilendo essi stessi i piani per i diversi rami dell'industria,
i produttori diventano membri indipendenti di un generale organismo economico e sistematicamente
aumentano la produzione e la distribuzione nell'interesse della comunità, sulla base del libero
accordo
sociale". Così scriveva durante la rivoluzione spagnola Rudolf Rocker, proprio quando queste
idee
venivano messe in pratica in maniera drammatica. Appena prima dello scoppio della rivoluzione,
l'economista anarco-sindacalista spagnolo Diego Abad de Santillan aveva scritto: "Di fronte al
problema della trasformazione sociale, la rivoluzione non può considerare lo stato come un
mezzo, ma deve basarsi sull'organizzazione dei produttori. Noi abbiamo seguito questa norma e non
sentiamo affatto la necessità di un potere superiore al lavoro organizzato, che stabilisca un nuovo
ordine
di cose. Noi ringrazieremo chiunque ci indichi quale funzione, se pure una funzione può esservi,
lo stato
possa esercitare in un'organizzazione economica, dove la proprietà privata sia stata abolita e dove
non vi
sia più posto per il parassitismo e per i privilegi. La soppressione dello stato, lungi dall'essere un
affare
di secondaria importanza, deve essere il primo compito della rivoluzione. Si danno solo due
possibilità:
o la rivoluzione dà ricchezza sociale ai produttori, nel qual caso essi stessi si organizzano per la
distribuzione sociale e lo stato non ha alcun compito da svolgere; oppure la rivoluzione non dà
ricchezza
sociale ai produttori, nel qual caso la rivoluzione è stata solo una menzogna e lo stato
continuerebbe la
sua esistenza. Il nostro consiglio federale dell'economia non è un potere politico, ma un potere
regolatore
economico ed amministrativo. Esso riceve il suo orientamento dal basso ed agisce in coordinazione con
le risoluzioni delle assemblee regionali e nazionali". Friedrich Engels, in una lettera del 1883,
polemizza con questa concezione: "Gli anarchici capovolgono i termini della questione. Essi
dichiarano che la rivoluzione proletaria deve
iniziare con il far piazza pulita dell'organizzazione politica dello stato... Ma distruggere lo stato proprio
in quel momento equivarrebbe a distruggere l'unico organismo per mezzo del quale il proletariato
vittorioso può consolidare il potere da poco conquistato, eliminare i suoi avversari capitalisti, e
portare
avanti quella rivoluzione economica della società senza la quale l'intera vittoria finirebbe in una
nuova
sconfitta ed in un massacro degli operai, simile a quello che avvenne dopo la Comune di Parigi". Gli
anarchici, invece - e Bakunin più chiaramente di tutti - misero in guardia contro i pericoli della
"burocrazia rossa", che sarebbe stata "la più vile e terribile menzogna creata dal nostro secolo".
L'anarco-sindacalista Fernand Pelloutier domandava: "Deve proprio lo stato provvisorio cui ci
sottomettiamo essere necessariamente e fatalmente il carcere
collettivo? Non può forse esso consistere in una libera organizzazione, limitata
esclusivamente dalle necessità della
produzione e del consumo, essendo scomparse tutte le istituzioni politiche?" Io non pretendo di
rispondere a questa domanda, ma sembra evidente che se vi è, in una forma qualsiasi,
una risposta affermativa, le possibilità di una rivoluzione veramente democratica che possa
realizzare gli
ideali umanistici della sinistra non sono molte.
IL DIBATTITO MARX-BAKUNIN
Bakunin riteneva che il problema della distruzione e della conquista dello stato fosse la discriminante
fra
sé e Marx. In una forma o nell'altra, il problema si è più volte ripresentato nel
corso di questo secolo,
dividendo i socialisti "libertari" da quelli "autoritari". Nonostante la validità degli ammonimenti
di Bakunin
riguardo alla burocrazia rossa, validità che ha trovato conferma sotto la dittatura di Stalin,
sarebbe
comunque un grave errore criticare gli attuali movimenti sociali riferendosi esclusivamente alle loro
origini
storiche. In particolare non è possibile considerare il bolscevismo come l'unica applicazione
pratica del
marxismo. Piuttosto, precise mi sembrano le conclusioni cui è giunta la critica da sinistra al
bolscevismo,
tenendo in considerazione le circostanze storiche della rivoluzione russa: "Il movimento operaio
anti-bolscevico si oppose ai leninisti poiché essi non si spinsero abbastanza avanti
nell'indirizzare le sollevazioni russe verso fini strettamente proletari. In altre parole, i leninisti divennero
prigionieri della loro stessa situazione e si servirono del movimento rivoluzionario mondiale per
soddisfare
le necessità particolaristiche della Russia, che ben presto divennero sinonimo delle
necessità stesse del
partito bolscevico. Gli aspetti "borghesi" della rivoluzione russa erano dunque scoperti nel bolscevismo
stesso: il leninismo fu giudicato una parte della socialdemocrazia internazionale, differente da quest'ultima
solo su questioni tattiche." (da "Marx and Keynes", di Paul Mattick). Se si dovesse cercare una sola
idea fondamentale nella tradizione anarchica, la migliore certamente
sarebbe quella espressa da Bakunin quando, scrivendo sul tema della Comune di Parigi, presentò
il
seguente autoritratto: "Io sono un fanatico amante della libertà, dal momento che la
considero l'unica condizione sotto la
quale l'intelligenza, la dignità e la felicità umana possano svilupparsi e crescere; non la
libertà
concessa come pura formalità, misurata e regolata dallo stato, eterna bugia che in realtà
non
rappresenta altro che il privilegio di alcuni fondato sulla schiavitù di tutti gli altri; non la
libertà
individualistica, meschina e fittizia predicata dalla scuola di Jean-Jacques Rousseau e dalle altre
scuole di liberalismo borghese, che considera i diritti astratti di tutti gli uomini, rappresentati dallo
stato che limita i diritti di ciascuno - idea questa che riduce i diritti di ciascuno a zero. No, io considero
l'unica libertà degna veramente di questo nome, libertà che consiste nel pieno dispiegarsi
delle capacità
materiali, intellettuali e morali che sono latenti in ciascuno; libertà che non riconosce altra
restrizione
di quelle determinate dalle leggi della nostra natura individuale, che non possono in effetti essere
ritenute restrizioni dal momento che queste leggi non ci sono imposte da un legislatore al di fuori od
al di sopra di noi, ma sono immanenti e, formando le basi della nostra esistenza materiale, intellettuale
e morale, non ci limitano, ma sono le condizioni reali ed immediate della nostra
libertà".
LA TERZA RIVOLUZIONE
Gli anarco-sindacalisti cercavano, anche sotto il regime capitalista, di creare libere associazioni di
liberi
produttori che avrebbero dovuto ingaggiare la lotta e prepararsi a rovesciare l'organizzazione della
produzione su una base democratica. Queste associazioni avrebbero dovuto essere, secondo la
definizione
di Fernand Pelloutier, "una scuola pratica di anarchismo". Se la proprietà privata dei mezzi di
produzione
è, secondo la famosa definizione di Pierre-Joseph Proudhon, un furto, cioè in altre parole
l'espropriazione
del debole da parte del forte, allora anche il controllo della produzione da parte di una burocrazia statale,
non importa quanto buone siano le sue intenzioni, non può creare le condizioni per cui il lavoro,
manuale
ed intellettuale, possa divenire la più alta esigenza della vita. Sia la proprietà privata,
sia il controllo da parte della burocrazia statale devono dunque essere abbattuti.
Nel suo attacco al diritto di proprietà ed al controllo burocratico sui mezzi di produzione,
l'anarchico
prende posizione con coloro che lottano per compiere la terza ed ultima fase storica di emancipazione,
dal momento che la prima ha elevato gli schiavi al rango di serbi, che la seconda ha elevato i servi al
rango di salariati, e che la terza abolirà il proletariato in un atto finale di liberazione che
darà il controllo
dell'economia alle libere e volontarie associazioni dei produttori, come affermava nel 1848 Charles
Fourier. L'imminente pericolo della cosiddetta civilizzazione era notato anche da un attento osservatore
come Alexis de Tocqueville, che, sempre nel 1848, scriveva: "Finché il diritto di
proprietà era all'origine ed alla base di molti altri diritti, esso era facilmente difeso -
o piuttosto non veniva attaccato; esso era la cittadella della società, e tutti gli altri diritti erano le
sue
fortificazioni; esso non tollerava di venire attaccato, ed in ogni caso non fu mai seriamente attaccato. Ma
oggi, quando il diritto di proprietà è considerato l'ultimo indistrutto residuo del mondo
aristocratico,
quando esso rimane come l'unico privilegio in una società egualizzata, il problema si pone in
termini
differenti. Considerate ciò che sta accadendo nei cuori della classe operaia, anche se ammetto
che sono
tuttora calmi; è vero che essi sono meno infiammati di prima dalla passione politica propriamente
detta:
ma non vedete che le loro passioni, lungi dall'essere politiche, sono divenute sociali? Non vedete forse
che, a poco a poco, si stanno diffondendo fra le classi operaie idee ed opinioni che puntano non al
cambiamento di alcune leggi, di un ministro o di un certo governo, ma alla rottura delle fondamenta
stesse
della società?" I lavoratori di Parigi, nel 1871, ruppero il silenzio, e proclamarono (come
afferma Karl Marx ne "La
guerra civile in Francia"): "di abolire la proprietà, base di tutta la civiltà! Sì,
gentiluomini, la Comune intendeva abolire la proprietà
di classe che rende il lavoro di molti utile al profitto di pochi. Essa si proponeva l'espropriazione degli
espropriatori. Essa voleva fare della proprietà individuale una realtà, trasformando i
mezzi di produzione,
la terra ed il capitale, che ora sono mezzi per schiavizzare e sfruttare il lavoro, in semplici mezzi di lavoro
libero ed associato." La Comune, naturalmente, fu soffocata nel sangue; la civiltà che i
lavoratori di Parigi cercarono di
sconfiggere nel loro attacco alle "fondamenta stesse della società" si rivelò ancora una
volta quando le
truppe del governo di Versailles riconquistarono Parigi dalla sua stessa popolazione. Come scrisse,
amaramente ma con notevole precisione, Karl Marx: "La civiltà e la giustizia dell'ordine
borghese viene alla sua lurida luce ogni qual volta gli schiavi e le
vittime di quest'ordine si ribellano contro i loro padroni. Allora la civiltà della giustizia si rivelano
nient'altro che manifesta crudeltà e smontata vendetta. Le imprese infernali della soldataglia
riflettono lo
spirito innato di quella civiltà, di cui essi sono vendicatori mercenari. La borghesia di tutto il
mondo, che
assiste con compiacimento al massacro dopo la battaglia, rabbrividisce d'orrore al veder profanati la calce
ed i mattoni!" Nonostante la violenta distruzione della Comune, Bakunin scrisse che Parigi "apriva
una nuova era, quella
cioè della definitiva e completa emancipazione delle masse popolari e della loro futura
solidarietà, al di
sopra e contro i confini degli stati... La prossima rivoluzione dell'uomo, internazionale e solidale,
sarà la
resurrezione di Parigi" - una rivoluzione che il mondo attende ancora.
LA SINISTRA MARXISTA E GLI ANARCHICI
L'anarchico conseguente, quindi, dovrebbe essere un socialista, ma un socialista di tipo particolare.
Egli
infatti non solo combatterà il lavoro alienato e specializzato e mirerà all'appropriazione
del capitale da
parte dell'intero corpo dei lavoratori, ma sottolinerà continuamente che questa
appropriazione deve essere
diretta, cioè non esercitata da alcuna forza d'elite agente in nome del
proletariato. Come afferma nelle sue "Cinque tesi sulla lotta di classe" il marxista di sinistra Anton
Pannekoek,
olandese, uno dei principali teorici del movimento comunista dei consigli operai, "Bisogna opporsi
all'organizzazione della produzione da parte del governo, cioè al socialismo di stato.
Infatti, l'obiettivo della classe lavoratrice è la fine dello sfruttamento, e ciò non
può certo essere raggiunto
da una nuova classe dirigente che si sostituisca alla borghesia. L'abolizione dello sfruttamento può
essere
ottenuto solo dei lavoratori stessi, proprio nel momento in cui diventano padroni della
produzione." Questa citazione del marxista di sinistra Anton Pannekoek dimostra quanto il marxismo
rivoluzionario
("radical Marxism") sia connesso con le correnti anarchiche; a questo proposito vale anche il seguente
passo sul "socialismo rivoluzionario", scritto da William Paul nella sua opera "Lo stato, le sue origini e
le sue funzioni", pubblicato per la prima volta nel 1917, prima che Lenin scrisse "Stato e rivoluzione",
ritenuta la sua opera più "libertaria": "Il socialista rivoluzionario afferma che la
proprietà statale non può finire altro che nel dispotismo
burocratico. Lo stato non può esercitare un controllo democratico sull'industria, poiché
essa può essere
posseduta e controllata democraticamente solo dai lavoratori, che scelgono direttamente dal loro seno
dei
comitati per l'amministrazione dell'industria. Il socialismo sarà fondamentalmente un sistema
industriale;
le circoscrizioni elettorali avranno carattere industriale. Coloro che svolgeranno attività sociali
oppure
saranno impegnati nelle industrie di proprietà dell'intera società saranno direttamente
rappresentati nelle
assemblee locali e centrali di amministrazione sociale. In questo modo i poteri di tali delegati saranno
sempre controllati dai mandatari, nonché saranno strettamente collegati con le necessità
della comunità.
Quando si riunirà il comitato per l'amministrazione centrale dell'industria, in esso ogni fase
dell'attività
sociale sarà rappresentata. Da questo momento, lo stato capitalistico, da un punto di vista politico
o
geografico, sarà rimpiazzato da un comitato amministrativo industriale del socialismo. La
transizione da
un sistema sociale all'altro sarà la rivoluzione sociale; e poiché nel corso della storia lo
stato politico ha
significato il governo sugli uomini da parte delle classi dominanti, la repubblica del
socialismo sarà il
governo sull'industria, amministrato nell'interesse dell'intera comunità. Nel primo
caso esso rappresentava
la sottomissione economica e politica della maggioranza; nel secondo, invece, il governo sull'industria
rappresenterà la libertà economica per tutti - cioè la vera
democrazia." È interessante notare che William Paul, autore delle precedenti osservazioni
sul "socialismo
rivoluzionario", è stato membro del Partito socialista del lavoro, ispirantesi, oltre che al
marxismo, anche
alle tesi sindacaliste rivoluzionarie di De Leon, e successivamente è stato fra i fondatori del
partito
comunista britannico; la sua critica al socialismo di stato riassume la dottrina libertaria proprio in un suo
punto fondamentale: dato che sia la proprietà privata sia la direzione statale non possono che
condurre
al dispotismo burocratico, compito della rivoluzione sociale dev'essere quello di sostituire allo stato
l'organizzazione industriale della società autogestita dai lavoratori. E questa non è che
una delle tante
affermazioni che possono essere citate.
LA VERA DEMOCRAZIA
Ciò che è ancora più importante è il fatto che queste idee sono state
realizzate con spontanea azione
rivoluzionaria, per esempio in Germania ed in Italia dopo la prima guerra mondiale ed in Spagna
(soprattutto nella zona industriale di Barcellona) nel 1936. Si potrebbe affermare che certe forme di
comunismo consiliare siano la forma naturale del socialismo rivoluzionario nella società
industriale. Ciò
riflette l'intuitiva comprensione che la democrazia è in buona parte un inganno, quando il sistema
industriale è controllato da una qualsiasi forma di elite autocratica, sia essa composta di
proprietari,
affaristi o tecnocrati, da un partito sedicente "d'avanguardia", oppure dalla burocrazia statale.
Noam Chomsky (trad. di P.F.)
|