Rivista Anarchica Online
Passaggio al centro
di Salvo Vaccaro
Comprendere i cambiamenti in atto per ricercare nuove forme di intervento. Alcune riflessioni a tutto campo
di Salvo Vaccaro, per aprire un dibattito.
1993: -7. Un «normale» fine secolo in cui si mima un cambiamento continuativo?
Oppure un «normale» fine
millennio in cui si scatenano rotture coincidenti con soluzioni (forti e meno forti) di continuità?
Dichiarazione di intenti. Sbarazziamoci per un momento di tutte le teorie del Grande Anonimo, residuo
teologico: sono gli uomini che vivono gli eventi, spettatori o protagonisti, registi o sceneggiatori (spesso a
posteriori), comunque sono esseri umani a costituire il flusso di eventi che chiamiamo ambiguamente Storia.
Garanzia è il fatto che concorrono tutti (in potenza), tanti indubbiamente, concordi e discordi
simultaneamente. Tuttavia sembra che gli eventi sfuggano di mano e la Storia faccia se stessa sopra gli
uomini e le donne (e i
bambini...). Sembra ma non lo è. Anche se gli eventi si intrecciano, si ingarbugliano a diventare
matasse (apparentemente)
inestricabili, contro cui il nostro agire è impotente. Sembra ma non lo è. Impazienza contro il
tempo debito.
Anche se la forza si ritorce contro gli uomini e le donne e contribuisce a rendere gli eventi una costellazione
complicata e insolubile, con propri processi, proprie dinamiche, propri ritmi, da interrompere se vogliamo
riacquistare padronanza del tempo. Difficile ma possibile. Il titolo, allusivo, «Passaggio al centro», escluse
povere metafore calcistiche, evoca una fase di transizione
inedita, senza apparenti estremizzazioni. Dalla rivoluzione di velluto ceca a quella «pacifica» della nostra
seconda repubblica (e già l'uso del termine,
sganciato da una tradizione storica, segnala una strisciante trasformazione semantica), sembra che i cambiamenti
emergenti (cioè al di qua di una prima valutazione di merito sulla loro realtà sostanziale o sulla
loro apparenza
fittizia) si svolgano al centro della società presa in considerazione. Rinascita della «borghesia»
(il «giusto medio»)? Prevenzione di una catastrofe (nucleare) se si rompono gli argini? Meglio implodere
che esplodere, meglio
estinguersi che suicidarsi perdendo, verrebbe da dire osservando i ceti politici sconfitti (in Italia e nel mondo).
Cosa sta avvenendo, dunque? Trasformismo? Cambiamento inedito? Ultimo atto? Auto-riforma
possibile? Metamorfosi evolutiva? Aiutiamoci a capire
qualcosa isolando, per comodità, alcuni arcipelaghi tematici che riguardano il pianeta, il mondo
occidentale,
l'Italia.
Pulizia ecologica Dal punto di vista ambientale, si è come ritornati
ad alcuni decenni or sono: i problemi, gravissimi e incombenti,
del clima del globo terrestre, del buco dell'ozono, della deforestazione, della sovrappopolazione, della
siccità
africana, sono scomparsi dalla scena mondiale. Risolti d'emblèe! Sappiamo razionalmente che non
è così, ma intanto assolviamo chi ci ha portato al punto di doverci preoccupare
di quale terra lasciamo ai nostri figli, non dico ai nostri nipoti. Responsabilità etica che sconvolge
una morale secolarizzata e tecnologica insieme, occidentale e non, tutta
incentrata sullo spazio-tempo del singolo individuo pensante e del suo destino. Però
intanto anche responsabilità
politica, a livello macro e micro. È lecito espungere i temi ecologici da qualunque agenda politica
(gingillandoci con maggioritario, uninominale
secco, ecc.)? Razionalmente no, ma politicamente sì, eccome. Lo abbiamo fatto noi in Italia. E nel resto
del
mondo le cose non vanno meglio, la sensibilità dei paesi considerati civili è allineata al
più basso livello con
i regimi sfruttati e ricattati dall'FMI e dal Papa. Eppure una via d'uscita va trovata, se vogliamo continuare a
vivere e progettare sulla terra e non essere costretti a emigrare nella galassia di Anarres.
Fuoco di sbarramento A proposito di migrazione. Sullo stretto di Messina,
cacciatori di frodo si appostano in primavera per colpire
gli uccelli migratori, che passano di lì per recarsi in ambienti migliori, dal clima più
sopportabile. Gli uccelli
non sono «napoletani» (parafrasando Troisi), essi migrano, non emigrano. E sono cifre imponenti, non
restringibili con pianificazione normativa o capacità di persuasione o aiuti ai nidi natali. Che invece
costituiscono le tipiche risposte politiche alle ondate migratorie che dal terzo mondo ovvero dal sud (ex impero
sovietico compreso) si riverseranno da qui a poco sulla fortezza assediata europea, sempre più
perforabile e
sempre meno fortezza. A meno di non fare come quei cacciatori di frodo. Fuoco di sbarramento. Che in politica
si traduce con la caccia agli Asylanten in Germania, con i naziskin razzisti, la polizia solerte in Francia. E in
grande, con un bel conflitto ai confini tra oriente e occidente, lungo una ipotetica via di accesso sud-nord, un
bel massacro, deplorato per carità, effettuato contro i bosniaci musulmani. Europei sì, ma non
d.o.c.,
evidentemente. Secondo il noto principio deterrente, stendere alcuni per prevenirne altri. Basterà per
dissuadere
le ondate migratorie a riversarsi in Europa? E in caso contrario, quale carica di vendetta porteranno gli islamici
costretti all'integralismo per l'odio razziale cui sono fatti oggetto (anche se l'integralismo è anche
autoctono)?
Quali margini saranno possibili un domani per convivenze, meticciati, commistione di culture, ecc., sole vie
di uscita per proseguire su un pianeta sempre più saturo di squilibri geopolitici, sociali ed economici?
Come
ricondurre le differenze accentuate all'eguaglianza di capacità di vita senza annullare identità?
Come
promuovere l'auto-sviluppo senza colonizzare, anche inconsapevolmente, e senza bruciare risorse e,
letteralmente, territori abitabili? . Berlino come Srebrenica Certi eventi
diventano soglie simboliche, ben oltre la portata reale dell'evento stesso. Ieri Yalta (1945), oggi
Berlino (1989). La caduta del muro di Berlino è un effetto di processi già dispiegati, sia
economici (il fallimento
o la sconfitta del capitalismo comunista di stato), sia sociali (il villaggio globale: la diffusione di un modello
occidentale che conquista l'immaginazione di una popolazione), sia politici (nuovi ceti che premono sulle
vecchie nomenklature). La fine del bipolarismo ridisegna, tuttavia, a cascata, tutta la mappa geopolitica
dell'occidente, almeno. Alleanze
a pezzi, sganciamenti, ricatti dissolti, latenze emergenti, ambiti di manovra prima preclusi, ridislocazione di
risorse, e scenari, infine elaborazione di un Nuovo Ordine Mondiale (in tempo reale? con verifica empirica nel
Golfo Persico? con riaggiustamenti dell'Onu?) Indubbiamente si è aperta una nuova fase non
ancora ricompresa sotto un nuovo paradigma geopolitico, fattore
di stabilità internazionale. Il disgelo provoca paradossalmente il percorso inverso rispetto ai conflitti
dell'era
della Guerra Fredda. Allora i conflitti al centro del campo di tensione bipolare - e quindi in Europa, zona di
confine - erano controllati attentamente e ridotti a meri atti di frizione, mentre in periferia avveniva lo scontro
tra cordate opposte: proxy wars, guerre per procura. Oggi avviene l'inverso. I focolai in
periferia sono più controllati dagli ex partners mondiali che fanno i pompieri
all'unisono, con strumenti diplomatici e militari (di volta in volta, intercambiabili o susseguenti), mentre al
centro, scioltisi gli argini, si dà corso a conflitti sanguinosi che dimostrano l'impotenza della dissuasione
nucleare. Allora Berlino chiama Srebrenica, sia per lontana causalità (seppure ipermediata e senza
trascurare i fattori
endogeni), sia per la tentazione di surrogare la guerra fredda con una guerra calda permanente che blocchi gli
spazi di autonomia dispiegatisi con la rottura del bipolarismo. Magari in attesa o sino all'affermazione di un
Nuovo Ordine Mondiale accettato e riconosciuto. Allora, la Bosnia come modello transitorio? Il gendarme in
periferia (a spese nostre) non intende immischiarsi nelle cose europee non certo per non infrangere le
competenze europee (e quando mai l'ha fatto, se era suo interesse interferire, interferiva pure!), quanto piuttosto,
forse, per inceppare l'unità di Maastricht che porterebbe l'Europa unita a livello di potenza mondiale
(economica, politica, militare persino) al pari degli Usa? Quando il sangue delle vittime, l'urlo dei bambini
deformati, il grido strozzato delle donne sistematicamente
violentate sopravanzeranno i cinici giochi del potere e della politica?
La resa dei conti In Italia stiamo assistendo ad una resa dei conti, in perfetto
stile spaghetti-western del compianto Sergio Leone. Più precisamente, ad una faida interna ad un
ceto politico consapevole della propria estinzione, della propria
sconfitta, e della lucidità di potersi riaffermare, di poter rivincere, almeno temporaneamente. Il ricambio
avviene
(peronisticamente?) per via democratico-plebiscitaria da un lato, creando le condizioni idonee affinché
la
seconda repubblica possa godere di un consenso ancor più ampio di quello goduto dai fondatori della
Prima
all'indomani del secondo dopoguerra. Allora si usciva dalla Resistenza e da una guerra civile (almeno in parte),
comunque da una spaccatura ricucita grazie all'amnistia concessa ai quadri fascisti nella pubblica
amministrazione, complice il ministro Togliatti, che diede il segno di continuità tra due forme di stato
(non di
statualità), e grazie altresì al piano Marshall che segnò sul piano economico e politico
la tutela statunitense
sull'Italia, via De Gasperi (e Andreotti) e la Dc appoggiata dalla Chiesa in tutti i suoi ordini e gradi, proprio
così
come in Sicilia gli Usa e la mafia si accordano per vincere senza colpo ferire (lo sbarco sulla costa meridionale
della Sicilia nel luglio 1943 fu l'unica operazione alleata a riuscire senza grosse perdite, se paragonata ad
analoghe operazioni: Marocco, Anzio, Normandia, Iwo Jima). La resa dei conti sostituisce vecchi padroni
con nuovi. Non ci piove. Più onesti forse, come, con lo sguardo da
lontano della storia, tutti i nuovi lo sono rispetto ai vecchi, per accreditarsi, prima di «invecchiare» anch'essi.
Ci saranno più margini di controllo per i cittadini?
Di Pietro come Darwin Dall'altro lato, il fatto è che la selezione del
nuovo ceto politico - meglio la scrematura di un ceto che elimina
il vecchio facendo alla fine residuare il «nuovo», un tempo rincalzi provenienti pur sempre dalle stesse file -
è di ordine non politico, bensì penale. Viva Di Pietro, dunque, ma viva anche la nuova mafia
e quei nuovi
referenti politici che stanno giustamente sbarazzandosi (a colpi di mitraglietta, l'anno scorso, a colpi di avvisi
di garanzia, quest'anno), vecchia mafia e vecchi referenti politici, in auge dalla Resistenza sino alla metà
degli
anni ottanta, secondo quanto riferiscono i collaboratori della giustizia (pentiti di alcunché: Buscetta
è nostalgico
delle vecchie, sacre regole di Cosa Nostra). E dopo, sino ai giorni nostri? E poi, sarà possibile
ricondurre la magistratura esaltata da tutta la società civile nel corretto alveo dei poteri
delimitati dallo stato di diritto? O vedremo Di Pietro ministro della Giustizia o degli Interni? Intanto i
giudici fanno politica selezionando, al posto del corpo elettorale. Non ci piove, anche se nessuno è
disposto ad ammetterlo, se non (ma in malafede e interessatamente) i selezionati tagliati momentaneamente fuori
dal potere. E la sovranità popolare? Esiliata, quantomeno, intenta a tifare per Caselli e Borrelli, non le
resta che
partecipare emotivamente, non politicamente. Addirittura, tanta è l'abitudine e l'acquiescenza, che si
è arrivati
a delegare l'emotività dietro coloro che hanno progettato ed eseguito le stragi palermitane dell'estate
scorsa,
proprio nell'intento fin troppo riuscito di predisporre l'atmosfera adeguata per farla finita con il passato ... Nuova
resistenza, si è detto, senza veri resistenti, anzi con resistenti simbolici e per interposta persona. La
lezione di
un popolo in armi resistente che si ostina a voler proseguire una resistenza autentica non è andata a
vuoto. Questa volta non c'è stato bisogno dell'attentato a Togliatti per disarmare gli armati.
Eliminando Falcone e
Borsellino hanno terrorizzato a tal punto da dissuadere i benpensanti a resistere in prima persona. Meglio
ripiegare nel cantuccio del moralismo intransigente che vede la pagliuzza nell'occhio dimenticando di
notare la trave. Del resto, anche un bambino deve allenarsi mesi per cominciare a camminare su due gambe
anziché su quattro
zampine, e la sovranità popolare dei regimi democratici è, casomai, allenata a vergare una bella
X su simboli
elettorali e, d'ora in poi, a copiare (magari aiutandosi con appositi normografi) nomi e cognomi altrui per
continuare a gestire una cosa pubblica delegata. Con quali capacità e quali progetti è presto
detto.
Il nuovo gattopardo La fantasia dei popoli non ha limiti, proprio come la
finzione letteraria. Così ci siamo intestarditi a cambiare regole, ma non gioco, nell'illusione che
per cambiare questo sia sufficiente
mutare quelle. Che nonsenso! Se non volete più giocare a calcio bensì a rugby, non serve
abolire il penalty,
deformare il pallone e schierare 10 giocatori anziché 11; basta cambiare campo, disimparare una
tecnica e
acquisirne un'altra. Le regole elettorali servono primariamente a selezionare l'accesso regolamentato al
potere politico da parte di
un'élite concorrenziale, che d'ora in poi sarà telegenica, retorica, affascinante, seduttiva
mediaticamente. L'agorà ateniese, ci vien detto, è improponibile come modello di
democrazia diretta perché siamo tanti, distanti,
non si può discutere razionalmente senza competenze specifiche. E infatti ladri e assassini di stato non
sopportavano intrusi nel loro lavoro. Però, ci stanno imponendo un agorà a portata di mano,
anzi di video. Lo
spazio televisivo, freddo per antonomasia sociologica, si surriscalda e fa surriscaldare gli animi quando si
discute di politica (in maniera spettacolare e quindi pornografica, sinonimo di volgare). La nostra modica dose
quotidiana di partecipazione democratica mediat(ic)a. Gli effetti sono micidiali: qualunquismo impegnato,
partecipazione surrogata. Tutti effetti dissuasivi a prendere le redini dell'attività politica (che,
è notorio, è l'unica cosa sporca resistente
ai vari Dixan, Dash, ecc.), dell'attività decisionale e di controllo che rimangono nelle mani (pardon, nei
portafogli) di un ceto con personale eletto senza troppi rischi di tanti concorrenti. La polarizzazione politica
del sistema elettorale maggioritario favorisce, come negli Usa, candidati di
bell'aspetto, suadenti, a loro agio nei freddi circuiti televisivi, riparati al calduccio dei riflettori degli studi, senza
sporcarsi con gli elettori, tuttalpiù diventando, ad esempio, per un giorno nella vita, panettiere. Ha
perfettamente
ragione il noto politologo Rokko Smithersons: se il regime non piace, cambiamo gli elettori. Detto e fatto
con il referendum, che ha ridisegnato le funzioni, il ruolo e i margini di un cittadino-elettore tipo. Cambiare
regole, non il gioco. Non una parola sui contenuti politici, sulle politiche reali di governo che saranno
«secondarie», al riparo degli ostruzionismi parlamentari, forti di un consenso plebiscitario (o quasi). Tuttavia,
si chiudono spazi di mediazione parlamentare, illusori come sempre sono stati, e si apre o la corsa al centro dei
grossi apparati o la capacità di voce autonoma di chi non si riconosce nel gioco e nelle sue regole
coerenti. E
per quest'ultima opzione varrà la pena aprirci un significativo varco.
USA for ever Oppure l'apatia indifferente e anomica messa in conto dai nuovi
padroni, come esistente negli Usa. Che vincono
ancora una volta. Il loro modello di capitalismo boccheggia? Niente paura, per intanto adottiamo e
adattiamo il loro modello
politico, con annessi e connessi. Show-business, lobbies, mass-media, entertainment: le parole d'ordine della
seconda repubblica italiana. Giusto il tempo di riassestarsi dopo il ricambio. Che abbia ragione, sempre
lui, ancora una volta, Andreotti: che
la manovra antimafiosa nasca su ispirazione e dietro regia statunitense, per delegittimare il vecchio regime, da
loro messo in piedi in tempi lontani e in funzione anticomunista, ed oggi inservibile, anzi pericoloso, dopo la
fine del bipolarismo? Che Washington intenda benedire altri politici, diversi ma ancor meno (o comunque non)
autonomi, ed in tale ottica si spieghino gli ossequi di Walter Veltroni a Clinton, il viaggio di Orlando negli Usa?
Insieme alle mutate condizioni internazionali, la residenza dei pentiti di mafia negli Usa farebbe sospettare
per
una simile evenienza. E staremo ben attenti a vedere quali aziende verranno a impadronirsi delle imprese
pubbliche da privatizzare. Ma la sintonia è maggiormente leggibile sul piano simbolico del sistema
sociale italiano, che scimmiotta a ogni
piè sospinto quello americano (valga come esempio per tutti, la tv berlusconiana), pur trovandosi
strutturalmente
con assetti profondamente differenti. E per l'appunto da cambiare dall'alto, ma senza strappi, anzi con continui
bagni di folla elettorali.
Punti interrogativi Senza soffermarsi sul Chi, fermiamoci agli effetti di
potere delle trasformazioni in corso, che presentano alcune
biforcazioni e diversi esiti possibili, secondo le regole di una faida e di una trattativa ancora aperta sulla resa
dei conti. Quali scenari si aprono per la salvaguardia di spazi di libertà e di autonomia d'azione? La
cosiddetta società civile, disciplinata con poteri selettivamente e normativamente assegnati (un po' come
si
è già iniziato a fare: legge sul volontariato, sulle comunità terapeutiche, gestione di
fondi integrativi pensioni,
servizi di assistenza ad anziani, privatizzazione di servizi sociali pubblici), sarà il canale di mediazione
politica
che vanificherà le potenzialità autonome e di auto-governo della prima? Le prospettive di un
gioco politico
sempre più «formale» e non sostanziale (levando impudicamente un velo di ipocrita finzione
già esistente da
tempo) avranno affetti avvertibili sull'identità dei singoli nella percezione del loro posto in
società? E
sull'identità di gruppo (operaio, impiegatizio, studentesco, femminile, ecc.) alla quale verrà
sottratto un terreno
di ricomposizione di sé in nome di un trasversalismo effimero quanto narcotizzante? Cosa
resterà della tensione al cambiamento se tutto si riassume nella forma della regola del gioco senza
intaccare e il gioco e il posto dei singoli giocatori? Quali soglie di tollerabilità assumerà
il sistema nei riguardi di esclusi, emigrati, deboli, disincantati, scettici,
drop-out, sognatori, utopisti, ecc. ecc. che potranno «delirare» (cioè oltrepassare i confini del lecito)
con
violenza nichilista? Meno stato, più mercato (falso slogan, come conferma in via definitiva
Tangentopoli), privatizzazioni a favore
di grossi gruppi potenti, sbando nei servizi sociali, precarietà del lavoro (pubblico e privato): sono
più che
sufficienti per ridisegnare una società; ma saranno sufficienti per ridisegnare un campo di opposizione
e di
rivolta progettata? Federalismo e prelievo fiscale arriveranno a frizioni stridenti: quali interstizi saranno
praticabili materialmente (sempre a rifletterci in tempo) per negare il fisco statuale senza desolidarizzare tra aree
sociali? Ai presenti le ardue sentenze.
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