Rivista Anarchica Online
Che significato avrà domani l'anarchismo?
di Colin Ward
In occasione di una festa organizzata ad Amsterdam per l'uscita del 100° numero di «De As», rivista anarchica
olandese, all'urbanista anarchico inglese Colin Ward è stata posta la domanda riportata nel titolo. Ecco
la sua
risposta.
Per rispondere a questa domanda devo cominciare con una serie di asserzioni
sulla storia dell'anarchismo: 1. Come ideologia politica, l'anarchia è stata
formulata nel 19° secolo dai suoi padri fondatori i quali, come
quelli delle altre versioni del socialismo - marxista, fabiano, socialdemocratico - avevano la visione ottimistica
di un progresso inevitabile che avrebbe portato alla meta che essi si prefiggevano. Erano tutti ugualmente
convinti del fatto che la conquista del potere da parte del «popolo», sia per via parlamentare, che in
virtù di
un'azione diretta nelle strade e nelle fabbriche o mediante la lotta armata, avrebbe portato ai cambiamenti che
essi si auguravano per la società. Quando consideriamo il mancato conseguimento di questi obiettivi
da parte
degli anarchici, non dobbiamo dimenticare tuttavia che anche il socialismo burocratico di stato, sia nella sua
versione socialdemocratica, che in quella di tipo marxista, ha fallito i suoi obiettivi. Gli anarchici possono in
realtà senz'altro affermare che settant'anni di esperienza di socialismo di stato hanno prodotto per la
causa
socialista un ritardo di un secolo. 2. La posizione degli anarchici del 19° secolo
è stata unica per il rifiuto non solo del capitalismo, ma dello stato
stesso. In genere questa posizione è stata considerata come una prova che essi non erano da prendere
sul serio.
Ma l'intera storia del 20° secolo ha dato loro ragione. E' stato il secolo della guerra totale, in cui l'eliminazione
dei civili è diventata una conseguenza accettata dello sviluppo di armi sempre più sofisticate,
mentre le grandi
potenze hanno rivaleggiato l'una contro l'altra per vendere i loro mezzi di distruzione ad ogni piccolo dittatore
locale del mondo. E' stato il secolo in cui lo sterminio di massa è diventato una politica accettata degli
stati
civilizzati. 3. Gli anarchici del 19° secolo guardavano con fiducia all'avvento
di rivoluzioni popolari che avrebbero aperto
la strada a quella che ritenevano sarebbe stata una «società libera». La realtà è stata
diversa. La rivoluzione
messicana del 1911 ha avuto come risultato la morte e la glorificazione postuma di eroi anarchici come Zapata
e Magon e il dominio per ottanta anni di una forza dal nome grottesco come Partito delle Istituzioni
Rivoluzionarie. La rivoluzione russa del 1917 è sfociata nella brutale soppressione degli anarchici
e di tutti gli altri dissidenti
fino al 1921, a cui sono seguiti settanta anni di dittatura leninista-stalinista, dalla quale solo di recente ha potuto
emergere una nuova generazione di anarchici. La rivoluzione spagnola del 1936 ha portato alla
soppressione degli anarchici ben prima che la guerra civile
fosse terminata, e fu seguita da 35 anni di dittatura fascista. Come risponderebbero oggi i messicani, i russi o
gli spagnoli alle esortazioni rivoluzionarie? 4. Verso la fine del 19° secolo alcuni
anarchici cominciarono a formulare la dottrina dell'anarcosindacalismo,
cercando di trasformare ogni conflìtto nei luoghi di lavoro in una battaglia per il controllo dei mezzi
di
produzione. Esso denunciò come un tradimento ogni accordo che i sindacati riformisti raggiungevano
in merito
al salario, all'orario e alle condizioni di lavoro. I successi ottenuti dai sindacati sono diventati in molti paesi
parte integrante della legislazione (nella Spagna di Franco, come nella Svezia socialdemocratica). Negli anni
'90 ci troviamo con i datori di lavoro di tutta Europa che cercano di aggirare i regolamenti allo scopo di ridurre
il costo del lavoro ai livelli esistenti a Taiwan o in Colombia. Ogni operaio della Ford è conscio
del fatto che qualsiasi attività sindacale a livello aziendale darà come risultato
il trasferimento della produzione da parte della multinazionale ad un altro paese. Su questo argomento è
imperniata la legge del governo britannico destinata ad abolire gli accordi che prevedono un salario minimo,
messa in atto in corrispondenza della decisione della Hoover, nel momento in cui scrivo, di trasferire i propri
impianti produttivi dalla Francia all'Inghilterra, così come il rifiuto da parte del governo britannico del
«Protocollo Sociale» previsto dal trattato di Maastricht; si tratta di un argomento destinato ad esercitare
un'influenza sulle strategie future della sinistra politica, ivi inclusi gli anarchici. 5.
Gli anarchici del 19° secolo, così come l'intera sinistra, davano per scontato che il
nazionalismo fosse una
superstizione che il 20° secolo si sarebbe lasciato alle spalle. L'opinione era la stessa anche nei riguardi delle
credenze religiose. L'ultima cosa che essi non avrebbero mai potuto immaginarsi era il risorgere alla fine del
20° secolo dei fondamentalismi religiosi militanti, sia cristiani, che ebrei, islamici e induisti. Il risultato
è stato
che, come altre persone non religiose e non nazionaliste, non disponiamo di un modo di approcciare questo
sgradito problema. Dobbiamo attaccare il revivalismo religioso, con il rischio di alimentarne, anziché
ridurne,
il potenziale divisorio? Oppure dobbiamo, come anarchici e quindi come persone fortemente ostili allo stato,
ritrovarci a difendere lo stato secolare contro queste minoranze organizzate che lo vogliono usare per i propri
scopi? Si tratta di una situazione che potrebbe non riguardare noi, ma che è senz'altro attuale negli Stati
Uniti,
dove ci si trova a difendere lo stato secolare contro Born Again Christians (Cristiani Rinati), o per gli anarchici
israeliani che difendono lo stato secolare contro gli ebrei ultraortodossi, oppure per gli anarchici egiziani che
difendono le istituzioni dello stato secolare contro il fondamentalismo islamico, o ancora per quelli che in India
difendono lo stato secolare. A mia opinione, questi cinque punti sulla differenza tra il mondo degli
anarchici alla fine del 19° secolo e quello
del 20° secolo, indicano la necessità di adottare uno stile diverso per la propaganda anarchica, sulla
soglia del
21° secolo. Di fronte all'eclisse non solo dell'anarchismo, ma anche del grande filone del socialismo, mi sembra
importante sottolineare, come ho già fatto vent'anni fa nel libro Anarchy in action (trad.
it. «Anarchia come
organizzazione», ed. Antistato, 1979), che l'anarchia non è una teoria dell'utopia, ma una teoria
dell'organizzazione. Sono d'accordo con Paul Goodman quando osserva che «una società libera non
può essere
la sostituzione di un "nuovo ordine" ad un vecchio ordine; essa deve essere un'estensione della sfera del libero
agire, fino a che essa non avrà cambiato la maggior parte della vita sociale». Questa convinzione mi
esclude
automaticamente dalle fila di coloro che pensano in termini di rivoluzione di massa (le cui prime vittime, dalla
Cina a Cuba, sono stati gli anarchici), ma mi pone tra coloro che, come nell'utile polarizzazione proposta da
MurrayBookchin, credono nell'ecologia sociale piuttosto che nell'ecologia profonda. Ritengo che l'anarchia
trarrà un maggiore appoggio nel 21° secolo non dai partiti verdi, ma dal più ampio movimento
dei Verdi. Le idee anarchiche del 19° secolo erano inevitabilmente eurocentriche, anche quando venivano
portate in
Giappone, Cina e nelle città dell'America Latina da studenti e immigrati. Ma uno dei maggiori
ampliamenti della
fine del 20° secolo è rappresentato dal contributo apportato da uno stile diverso di pensiero anarchico,
con
un'etichetta diversa e cioè quella del movimento Sarvodaya in India (1) e dall'evolversi delle iniziative
di
autosufficienza e di autorganizzazione in Africa, Asia meridionale e America Latina (2). I successi ottenuti
dall'economia non ufficiale, che permettono alla società di andare avanti nel clima disperato
dell'America del Sud, di fronte ad una classe governante predatrice e ad una casta militare che passa
periodicamente al terrorismo di stato, vengono ora comunemente definiti come basismo, cioè come una
società
che deve essere costruita dalla base (3). Sono convinto che un anarchismo intelligente del 21° secolo
continuerà a rendere più fitti i propri legami con
il mondo dei movimenti verdi e con le economie non ufficiali e informali del mondo povero, così come
con
quelle dei poveri all'interno del mondo ricco, al fine di trarne delle lezioni anarchiche sulla sopravvivenza
umana. Ritengo che le lezioni impartiteci dal 21° secolo diano maggior forza al messaggio anarchico, ma che
il nostro linguaggio debba tener conto delle nuove e complicate realtà sociali.
(traduzione di Andrea Ferrario dal mensile anarchico in lingua inglese
«Freedom»)
1) Geoffrey Ostergaard. 'Indian Anarchism: the case of
Vinoba Bhave' in The Raven, vol. 1, n. 2, agosto 1987 (Londra, Freedom
Press). 2) Vedi, per esempio, Jorge Hardoy e David Satterthwaite.
Squatter Citizen: life in the urban third world (Londra, Earthscan, 1989)
e Bertha Turner (a cura di) Building Community: a third world case book (Londra, BCB,1988).
3) Vedi il capitolo conclusivo di 'Basismo, as if Reality Really Mattered,
or Modernisation from Below' in David Lehmann.
Democracy and Development in Latin America (Cambridge, Polity Press, 1990).
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