Rivista Anarchica Online
Sopravvivenza e/o futuro
di Antonio Cardella
È tempo di Conventions. L'aria che si respira è quella dei grandi
spazi erbosi riservati ai meetings strapaesani
di memoria americanista. E come nella lontana America, anche qui da noi a questo bagno di sole e di popolo
intendono partecipare tutti, senza distinzione d'età, di sesso, di provenienza ideologica. Si notano anche,
per
niente intimiditi, vecchi tromboni dei passati regimi, persino legionari craxiani un po' mesti ma non disperati.
Il gergo è quello di sempre, intercalato monotamente dagli aggettivi più in voga: nuovo,
progressista, non
compromesso e così via. Con grande dispendio di soldi e di energia, si ricicla all'infinito aria fritta,
come può direttamente constatare chi
legge i giornali e viene investito dalle cronache di questi appuntamenti. Sul carro di Segni vogliono saltare tutti:
l'uomo appare, infatti, come il più idoneo a garantire continuità nella gestione del «nuovo
potere» ed il più
disponibile a riciclare vecchi personaggi, che non siano tanto chiacchierati ma che abbiano già dato
dimostrazioni tangibili di fedeltà ed ubbidienza. C'è il vecchio ed appannato Pannella,
irriconoscibile dall'uomo
delle prime battaglie civili: adesso, come la maggior parte di coloro che la vita riduce in solitudine, rimastica
il passato e scopre la vena riformistica-reazionaria che gli ha sempre impedito di compiere il passo ulteriore,
quel passo che avrebbe potuto immetterlo nella valle amara ma fertile dove vivono ed operano coloro che, da
sempre, non hanno bisogno né di Stato né di Dio. C'è Rutelli e con lui Bianco, il
catanese giovanilista, la cui
fortuna, oltre che nella candida dentatura irresistibile, risiede nell'essere sempre stato una promessa. C'è
Ayala,
frenetico frequentatore di sale televisive e di convegni «bene», convinto che l'essere stato per fortuite
circostanze componente del pool antimafia, quello doc, di Falcone e Borsellino, gli apra prospettive suggestive
in ogni campo dell'attività pubblica (c'era qualcuno che lo vaticinava persino come prossimo ministro
della
giustizia, una volta che Conso si fosse definitivamente addormentato). Ci sono Conventions più
risibili, poi. Quella di Buttiglione, per esempio, ex Comunione e Liberazione, che
fonda un dub per «ridare fiato alla presenza dei cattolici in politica». E c'è Pierferdinando Casini, il
nato-morto
della nomenklatura dc, che appoggia senza riserve il segretario Martinazzoli e fa dire messa nelle basiliche
romane perché non fallisca il suo tentativo di rifondare un «grande centro», a guida democristiana,
naturalmente,
che coinvolga i naufraghi del pli, del psdi e del pri. E potrei continuare a lungo se avessi tempo da perdere,
anche se non voglio chiudere la serie senza citare la sortita dei «Circoli Rosselli», che raccolgono quasi tutti
i socialisti che contano dell'ultima generazione, i Valdo Spini, i Franco Gallo, gli Umberto Colombo, sino ai
Gino Giugni, i quali circoli si propongono come gestori di una macro alleanza di governo che vada da AD a
Occhetto, passando evidentemente per il loro Club.
Schizofrenia comportamentale Le cose vanno appena meglio nella
convention della sinistra democratica, con Rete, Rifondazione, Verdi di
varia estrazione ed esponenti contestatori del PdS. Qui c'è il problema serio della tradizione
culturale cui collegarsi: per procedere lungo il percorso coerente e
riconoscibile, ma anche per tenere insieme uomini dalle vocazioni assai diverse. Problema serio, dicevo,
perché,
esaurito il repertorio dei richiami ovvi all'onestà ed alla necessità del rinnovamento, rimangono
gli interrogativi
salienti del dove e del come procedere, partendo per di più da condizioni di vacuità profonda
delle logiche delle
strutture associative esistenti, che certamente non aiutano a ragionare con razionalità. Per citare un solo
esempio, neppure tanto emblematico: è possibile che Orlando riesca a vincere la corsa per la carica di
sindaco
di Palermo, ed è anche possibile che riesca a convivere con una giunta non eccessivamente conflittuale.
L'enorme ostacolo che gli rimane da rimuovere è la burocrazia comunale, dalle tristi consuetudini,
consolidatasi
nei lunghi decenni di prepotere democristiano. Un ostacolo che, «tecnicamente», può essere superato
con un
paziente lavoro di un decennio almeno, a patto che si cominci subito. Nel caso specifico, ma anche nella
complessiva istanza di rinnovamento autentico che parte da una sinistra non
compromessa e non allineata e da larghe fasce di transfughi da partiti e movimenti tradizionali, occorre che ci
si abitui a convivere con una sorta di schizofrenia comportamentale, che renda compatibile l'esistente, il
quotidiano con scelte strategiche apparentemente disancorate dalle logiche e dai dati esistenziali della
contemporaneità. Mi rendo conto che si tratta di argomento arduo, destinato ancora ad apparire astratto;
già nel
lontano 1981, ebbi la percezione che questa fosse l'unica condizione per tentare di evitare la catastrofe
annunciata. Scrissi - mi ricordo - un lungo articolo su Umanità Nazionale col titolo «Elogio della
schizofrenia»,
che provocò tra i compagni un'ondata di benevola comprensione verso un onesto militante che era
andato via
di testa.
Mutamento radicale Però, adesso, le condizioni obiettive dei
processi di trasformazione, riducono drasticamente i margini del
gradualismo. Voglio dire che la fase di avanzamento di certi processi perversi richiede sempre più
spesso o una
drastica e immediata inversione di tendenza oppure l'inevitabile ingresso nel tunnel del non ritorno. Basta
pensare ai gravissimi problemi dell'ecosistema, assai prossimo al collasso, verso i quali l'uomo, sino adesso, ha
assunto l'incomprensibile atteggiamento dell'incosciente posseduto da incontrollabile mistica
dell'autodistruzione. E' possibile continuare a vivere senza ridurre di troppo il livello di benessere raggiunto
dal mondo occidentale e contemporaneamente a rendere operativi i correttivi radicali richiesti dal degrado
complessivo del nostro habitat? Questo è l'interrogativo al quale non si può sfuggire ed al quale
siamo obbligati
a dare una risposta indilazionabile. E legati a questo quesito, vi sono quelli che postulano la necessità
di
altrettanto urgenti istanze di mutamento radicale, strutturale delle condizioni di esistenza della comunità
occidentale. Io credo che ormai tutti si accorgano come il mondo occidentale produce più problemi di
quanti
non ne risolva. E' come un'industria che, uscendo dall'estrema marginalizzazione, più lavora,
più appesantisce
il suo disavanzo. Tutti i processi economici appaiono ormai disancorati dalle originarie ragioni che li hanno
promossi. Non si produce più per soddisfare bisogni, ma per acquisire posizioni nella sfera delle lobbies
finanziarie. Si produce ricchezza astratta, che non serve a nessuno. Le nazioni, nelle pagine dei giornali e,
quindi, nell'immaginario collettivo, figurano grandi e ricche non perché i popoli che le costituiscono
vivono
bene e progrediscono nella cultura, nelle arti, ecc., ma solo perché la moneta nazionale riesce a
prevalere, per
un periodo più o meno lungo e per motivazioni che con il benessere reale della gente non hanno nulla
a che
vedere, sulle altre monete del mercato. Gli USA, la Germania, la Francia e via dicendo, sono colossi d'argilla
che si giuocano il loro prestigio nei clubs dell'alta finanza internazionale, un po' come nei tempi passati
l'aristocrazia decadente d'Europa tentava nei casinò d'alto bordo l'impossibile impresa di sopravvivere
a se
stessa.
Ricostruire la casa Si riescono a produrre solo espedienti per ritardare il
collasso. E questo non soltanto in economia ma in ogni
settore della vita aggregata: non si fanno più leggi, ma si codicillano quelle che già ci sono,
quasi sempre per
restringere gli spazi di libertà dei cittadini. Gli stessi trattati internazionali si riducono a strumenti per
salvaguardare i privilegi dei più forti, dei più ricchi, i quali, d'altro canto sono sempre meno
forti e meno ricchi
nella misura in cui si restringono gli spazi dove esercitare il diritto del più forte e del più ricco.
Credo di avere scritto su questa stessa Rivista che, guardato dall'alto, il mondo occidentale appare sempre
più
come una cittadella assediata che riduce progressivamente il perimetro delle proprie mura di difesa. Pensate alle
grandi emigrazioni che sono alle porte, le desertificazioni in avanzamento nelle desolate piaghe dei molti sud
(il sud della Francia, dell'Inghilterra, della Germania dell'Est, per non parlare della Russia e delle terre del
Baltico). Vedete allora che nessuno, in una società come la nostra, che continua a ripercorrere
acriticamente gli
errori consueti, possa dirsi carico di futuro. E allora? Allora, se mi consentite, io ritorno alla mia
schizofrenia. Vivo il presente solo perché esisto e non intendo
sopprimermi: ma il mio sforzo progettuale è strategico. La mia, ormai, è la condizione di
un tale che ha deciso di rifare la casa con le sue mani e riduce al minimo i
problemi della sopravvivenza: del mangiare, dell'ordine consueto, del godere insomma del benessere cui
è
abituato. L'importante è ricostruire la casa. Solo se mi dispongo a vivere il presente come puro momento
di
sopravvivenza che mi consenta il pensiero strategico, solo allora riuscirò a liberare l'orizzonte della mia
progettualità essenziale. Ma su tutto ciò ritornerò a scrivere, se la pazienza dei
compagni, beninteso, me lo consentirà.
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