Rivista Anarchica Online
Il vecchio che leggeva
di Elena Petrassi
Il tempo in cui si svolge questa storia (Luis Sepulveda, Il vecchio
che leggeva romanzi d'amore, Guanda 1993,
lire 18.000) è forse il presente, forse soltanto ieri o ieri l'altro. La vastità, la luce verde della
foresta amazzonica
levano la cognizione del tempo ai coloni. Il tempo che ritorna lento ripiegato su stesso uguale non è lo
stesso
tempo nel quale viviamo noi occidentali, tesi come frecce nella direzione del futuro. Nella foresta si vive in uno
stato di sospensione tra il tempo e l'eternità ed è li che si svolge la storia che ha come
protagonista Antonio José
Bolivar Proano. Antonio José Bolivar non è nato in quella terra ancora fitta di misteri agli
occhi dei coloni, dei cercatori d'oro
o dei semplici avventurieri che di tanto in tanto si fanno vivi sfidando l'inferno verde. Lui è arrivato
decenni
prima ancora giovane con una moglie al suo fianco, moglie che ha resistito solo pochi anni alla vita sfibrante,
al prezzo che la foresta chiede a chi non è suo figlio. Nonostante l'uomo si impegni con tutte le sue forze
nel
tentativo di odiare la foresta non ci riesce perché si sa impotente. «E nella sua impotenza scoprì
che non
conosceva abbastanza bene la foresta da poterla odiare». E' a partire da questa consapevolezza che Antonio
José
Bolivar decise che per odiare o per amare deve prima conoscere, imparò la lingua degli abitanti della
foresta,
gli Shuar, imparò a cacciare servendosi della cerbottana, dimenticò di essere un contadino
cattolico, e dimenticò
i suoi sogni di vendetta che contemplavano la foresta ardere come un vero inferno sulla terra, dimenticò
perché
alla fine era stato «sedotto da quei luoghi senza confini e senza padroni». E' nel continuo confronto con una
natura vittoriosa che riscopre le potenzialità del suo corpo, la forza dei
muscoli, la prontezza dei riflessi, l'acutezza dei sensi. Antonio José Bolivar era diventato come uno
shuar, ma non era uno shuar. Anche se era sopravvissuto al morso
del serpente più velenoso, anche se la foresta lo aveva prescelto, anche se aveva potuto amare donne
della
foresta, lui continuava a essere un bianco, un diverso tra i bianchi e un diverso tra gli shuar. Quando viene
scacciato, perché non ha saputo vendicare in maniera degna la morte del suo compagno di caccia e
amico, sa
di non essere uno shuar, e quando ritorna a vivere tra i bianchi scopre di essere ancora uno di loro,
perché sa
leggere. «Sapeva leggere. Fu la scoperta più importante di tutta la sua vita. Sapeva leggere. Possedeva
l'antidoto
contro il terribile veleno della vecchiaia. Sapeva leggere, ma non aveva niente da leggere». Ed è
la lettura che rende ma non interamente l'uomo ormai vecchio al suo mondo malato di presunzione. Lo
rende a quei suoi simili che sono capaci solo di lasciare il deserto dietro di sé e solo morte alloro
passaggio. Il
vecchio sa di voler leggere ma non cosa, quindi parte per la caccia, cattura animali che sa di poter rivendere vivi.
Il dentista, che diventerà poi il suo fornitore di romanzi, lo presenta alla maestra di El Dorado, dove il
vecchio
potrà, accedendo alla biblioteca della scuola, farsi un'idea di cosa gli piaccia leggere. Passano cinque
mesi prima
che egli riesca a scoprire cosa davvero gli piacesse leggere. Ma finalmente trova un libro «dove c'era amore,
amore da tutte le parti. I personaggi soffrivano e mescolavano la felicità con le sofferenze in modo
così bello,
che la lente di ingrandimento gli si appannava di lacrime». E nella lettura di quei romanzi d'amore «che lo
aspettavano, tentatori, distesi sul tavolo alto, estranei al passato disordinato a cui Antonio José Bolivar
Proano
preferiva non pensare, lasciando aperti i pozzi della memoria per riempirli con le gioie e i tormenti di amori
più
forti del tempo». Niente e nessuno riescono a distogliere il vecchio dalla lettura dei suoi romanzi, solo la paura
di perdere la capanna dove vive lo spingono ad aiutare il viscido sindaco di El Idilio nella caccia a una femmina
di tigrillo impazzita dal dolore e che sta seminando la morte lungo le rive del fiume. I felini non uccidono
se non spinti dalla fame o dal dolore, e la femmina è stata privata dei suoi cinque cuccioli
da un cacciatore idiota che lei ha ucciso subito dopo. L'equilibrio della foresta è infranto, perché
nella foresta
la morte non arriva mai gratuitamente. I vecchi shuar che sanno di avere esaurito il loro tempo, danno una festa
di addio, si ubriacano del succo di una radice allucinogena e si lasciano divorare dalla foresta, tornano a vivere
di nuovo nel ventre delle formiche, nei nuovi alberi che nasceranno, nelle vite di quelli che arriveranno dopo.
L'equilibrio deve essere ristabilito e il prezzo del sangue pagato. La femmina impazzita non può
vivere e sarà
proprio il vecchio, a malincuore, a doverla uccidere. Le pagine del romanzo che descrivono l'inseguimento,
la caccia e la morte dell'animale sono tra le più belle del
libro. Incredulo di esserci riuscito Antonio José Bolivar, uccide l'animale e dà il suo corpo al
fiume. Sa di essere
una creatura della foresta ormai, non solo un gringo, e che forse anche i suoi anni stanno per finire e maledice
in cuor suo «tutti coloro che corrompevano la verginità della sua Amazzonia». Perché anche
lui è diventato uno
dei custodi di quella terra feroce il cui senso a noi bianchi sfugge. Perché come il vecchio potremmo
stare in
silenzio e ascoltare le voci sconosciute che arrivano dal profondo degli alberi. Potremmo sentire il canto degli
uccelli e la voce dei pesci nei fiumi, cose che forse un tempo anche noi occidentali sapevamo fare. Io non credo
che basteranno pochi anni perché la nostra cultura riesca a fermarsi e guardarsi intorno. Non credo che
nel
frattempo riusciremo a impedirci di infliggere nuove, profonde ferite alla terra. Ma credo che il rispetto si possa
imparare, credo che si possa anche imparare ad amare. Amare di «quell'amore puro, senza altro fine che l'amore
stesso. Senza possesso e senza gelosia». Perché se è vero che noi non possediamo nulla
se non noi stessi e non sempre, ed è vero che la nostra cultura
ha ottenuto prima di tutto di far sì che fossero le cose a possederci, perché non leggere libri
come questi, libri
«che parlavano d'amore con parole così belle che a volte gli facevano dimenticare la barbarie umana»?
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