Rivista Anarchica Online
L'amico amerikano
di Salvo Vaccaro
Tra le varie letture che si danno di questo frangente storico italiano, in cui
assistiamo al tramonto del regime
politico post-resistenziale e ad una inevitabile, se si vuole, e confusa fase di transizione verso un'incognita, poco
spazio viene assegnato ad un contesto di motivazioni di natura estera, che possono apportare alcuni elementi
di comprensione. Non che fattori esteri pilotino quanto sta succedendo, né che spieghino ogni cosa;
tuttavia è
strano che il contesto di alleanze e interdipendenze, in cui l'Italia è immersa e che ne ha condizionato
eventi ed
evoluzioni politiche ancora oggi non del tutto note (il ruolo della Nato con presunti protocolli segreti, il fattore
K, l'egemonia Usa, ecc.), oggi brilli per la sua assenza dalle analisi dei critici e degli opinionisti. Anzi, tale
assenza, ammesso che lo sia effettivamente, non viene nemmeno problematizzata e delucidata. Il crollo del muro
di Berlino (che corre il rischio di fare la fine degli accordi di Yalta: passepartout per qualsiasi interpretazione
futura ... e per il suo contrario) ha assunto dimensioni simboliche che oltrepassano i confini della Germania
unita, pur avendone permesso l'unificazione e l'insorgenza di un grande paese potente al centro di un continente
ormai privo del contraltare estremo, dacché l'Unione sovietica e il Patto di Varsavia si sono dissolti e
la Russia
erede di Gorbaciov oscilla tra attrazione europea e deriva asiatica.
Politica e affari Ma la dimensione simbolica segna più un effetto
che una causa, ed è probabile che gli scenari post1989 siano
stati studiati in tempo reale dagli analisti professionisti dei centri di potere occidentali (per i quali, magari, la
crisi dell'impero sovietico era leggibile da tanti dati e la caduta del muro di Berlino non li aveva colti
impreparati e sorpresi). Non previsti, forse, ma valutati attentamente perché gli eventi dell'89, che pure
sono
stati effetti di processi di disgregazione della cortina di ferro già in atto, a loro volta ridisegnano una
mappa
post-bipolare di opportunità politiche per nuove strategie di dominio sociale, politico ed economico.
Significativamente, il collasso del comunismo o socialismo realizzato coinvolge l'Italia perché il
regime
nostrano catto-socialdemocratico ha rivestito il riformismo indigeno del welfare state di dosi massicce
«socialiste»: una forte proprietà pubblica che oggi va smantellata per privatizzazioni a vantaggio di
gruppi forti
(italiani o stranieri); un enorme debito pubblico che, pur segnando una fase storica attuale del capitalismo
mondiale oltremodo dissipativo su scala planetaria, denota la modalità di acquisto del consenso e della
legittimazione politica a governare; una nomenklatura allargata con saldi agganci nella cosiddetta
società civile
(per nulla migliore dell'omologo ceto politico eletto, in ciò complice con funzionari e imprenditori che
hanno
blaterato in questi anni di libero mercato e libera impresa, negandoli nei fatti delittuosi); un intrico tra politica
e affari illeciti che hanno reso specifico e scostante l'Italia da una dimensione non-criminale e non-mafiosa del
potere economico e politico (ostacolo da rimuovere in vista dell'unità europea in fatto di gestione
sovranazionale
dell'economia, della moneta, di alcune normative, e che in parte spiega il forte rifiuto espresso da omologhi
partners capitalisti a farsi «scalare» dai nostri imprenditori: si vedano i casi di Agnelli con il BSN Danone in
Francia, De Benedetti con la Générale in Belgio e Pirelli con la Continental in Germania).
Questa riflessione
meriterebbe ciascuna un approfondimento sulle condizioni materiali e sociali che determinano questa fase
storica, ma già è sufficiente per avanzare l'ipotesi di una Italia vecchia da rimuovere in una
Europa trasformata
e in via di trasformazione. Apertosi l'orizzonte di ridisegnare gli equilibri europei, mischiando le carte,
ciascuna gioca le proprie per
assicurarsi possibilmente assetti più favorevoli ai propri interessi, anche ricorrendo al conflitto ed alla
guerra,
come dimostrano le vicende della ex-Jugoslavia. Del resto, tali prospettive a livello mondiale sono state presenti
anche nei disegni ingenui di un Saddam Hussein, che ha svolto il ruolo (complice o idiota che sia) di apripista
per un Nuovo Ordine Mondiale che cerca di succedere al bipolarismo della guerra fredda. La guerra del Golfo
è stata una prima tappa che ha evidenziato, anche se con passi incerti, una nuova mappa di
opportunità per i
partners occidentali forti (Usa, Europa e Germania, Giappone). E' addirittura probabile che l'elaborazione della
nuova strategia sostitutiva, il Nuovo Ordine Mondiale appunto, necessitasse di una verifica empirica per
calibrarsi, imprimendo una svolta affermativa ad un disegno progettato come work in progress nel breve lasso
di tempo 1989-1990. In questa mappa globale stesa dalla nuova strategia del Nuovo Ordine Mondiale, l'Europa
ne è un tassello rilevante, specialmente per il particolare rapporto con gli Usa. Senza più
URSS e Patto di Varsavia, la minaccia proviene dagli integralismi islamici trasportati sulle onde di
una enorme pressione migratoria dal sud verso il nord del pianeta, di fronte alla quale occorre riorientare, e in
fretta, Nato, Ueo e Csce. Un bel focolaio bellico nel cuore europeo è un buon disincentivo. Ciò
comporta, d'altro
canto, un disimpegno statunitense della presenza rigida in Europa, non più giustificata dalle tensioni
del
bipolarismo che in Germania vedeva presentarsi l'interfaccia di attrito. Su tale ipotesi si regge la lettura di una
emancipazione politica europea, in parte concordata, in parte conflittuale con l'alleato Usa; ed al suo interno,
la sottrazione della tradizionale stretta tutela dell'Italia, la cui posizione nevralgica ha costituito vincolo di
eterodeterminazione del suo sviluppo politico autoctono; oggi è plausibile ipotizzare uno sganciamento
Usa
dalle vicende nostrane, una maggiore autonomia dalla longa manus dell'alleato maggiore, o quanto meno una
marcatura meno stretta. Ciò non vuol dire, però, un abbandono dell'Europa da parte degli Usa.
Processi anonimi Poca riflessione si è appuntata sulla guerra
commerciale in atto da tempo tra i due versanti dell'Atlantico, che
al limite surroga un potenziale di conflitto vero e proprio. La prospettiva sancita a fatica da Maastricht (e non
ancora sicura di vittoria) di una Europa unita nel mercato comune commerciale e monetario e omogeneizzata
a forza (con palesi contraccolpi al proprio interno per i paesi «meridionali» più deboli), non può
certamente
incontrare i favori statunitensi, che conoscono da parte loro una fase di relativa debolezza economica,
sicuramente non all'altezza degli oneri auto-affidatisi nel Nuovo Ordine Mondiale. Maastricht disegna
un'Europa unita che può dare fastidio a Usa e Giappone. Da un lato, il conflitto Gatt ostacola tale
percorso;
dall'altro, occorre sbrigarsi affinché tutti i membri della CEE siano pronti e adeguati a questi compiti.
Dal primo
lato, gli Usa possono inoltre ostacolare il piano di Maastricht incrinando il fronte CEE su più punti: il
commercio internazionale, i focolai bellici con relative spese e oneri da far ricadere a singole economie
nazionali, le speculazioni internazionali sulle monete deboli, la destabilizzazione politica, il finanziamento di
elementi di disordine (come i naziskin antiebraici e razzisti, ad esempio). Dall'altro lato, occorre che i
partners CEE siano all'altezza del piano Maastricht con elementi politici ed
economici credibili per i nuovi assetti. In entrambi i casi, l'Italia si trova ad essere il manzoniano «vaso di
coccio
tra vasi di ferro». Così l'ipotesi di leggere gli eventi di Tangentopoli e della «sconfitta» di Cosa
Nostra nei suoi aspetti eversivi
risponde a grossi tratti anche a esigenze di natura esterna all'atmosfera per certi versi insopportabile che si vive
in Italia da anni. Cambiare l'Italia può essere obiettivo di una posta in palio nel grande gioco del
rimescolamento
di carte dello scacchiere mondiale, con i relativi giochi di potere e gli inevitabili attriti e frizioni determinate
dalle mosse degli attori mondiali. Una Italia diversa significa un ceto politico, economico e sociale diverso che
sappia governare il paese e si renda credibile e affidabile secondo e assecondando nuove strategie mondiali.
Cambiare l'Italia può essere obiettivo sia dei nuovi Stati Uniti del Nuovo Ordine Mondiale, che
intravedono per
il nostro paese un ruolo differente da quello sinora svolto, e per far ciò premono con ogni mezzo per
affossare
un ceto politico (e imprenditoriale) scaricando un fedele ma inservibile vassallo-alleato, per far maturare un
mutamento di personale e di sistema di potere (fra l'altro omogeneo a quello in vigore negli Usa, maggioritario,
elitario, personalistico, quasi dualistico, massmediatico), affidandosi pertanto a uomini diversi (pur provenienti
in parte dal vecchio regime) e sacrificando infine i vecchi sull'altare di Tangentopoli e di Cosa Nostra (si
consideri il segnale di fine gennaio, dopo l'elezione di Clinton, con l'attacco inedito del New York Times a
Andreotti, con la veemente e insolita risposta di quest'ultimo, che sembra percepire la cifra della bordata
giornalistica, accusando Leoluca Orlando di essersi presentato negli Usa come il garante di una Italia diversa).
Ma cambiare l'Italia per come è stata sino ad oggi può pure essere l'obiettivo delle forze
che vogliono realizzare
l'Europa di Maastricht a tutti i costi, costringendo alla resa con Tangentopoli e Cosa Nostra un ceto politico e
favorendo l'emergenza di un nuovo sistema politico (riforme istituzionali), economico (privatizzazioni) e sociale
(condizioni materiali d'esistenza). In questo caso, Maastricht richiederebbe il sacrificio del vecchio corrotto
regime politico e imprenditoriale aprendo l'Italia a condizioni di mercato più omogenee al resto
d'Europa, senza
alti tassi di «socialismo reale» e di lacci arcaici: cioè senza proprietà pubblica, clientele
politico-mafiose,
imprenditoria succube e complice, intrecci illeciti oltre la norma e la misura del consentibile e del fisiologico.
Questo può rappresentare un frammento di contesto al cui interno comprendere e valutare gli eventi
in corso
che accelerano senza dubbio un mutamento di regime. Ovviamente, si tratta di processi per lo più
anonimi, allo
stato attuale delle conoscenze dirette, nel senso che non bisogna vedere dietro nessun Grande Vecchio. Si tratta
di strategie di interessi forti esterni e interni, esterni con punti di appoggio interni e interni con punti di
riferimento esterni. Chi ne approfitterà, chi ne beneficerà è un altro discorso, e la
riuscita o meno di un dato esito
tra conflitti di strategie così ampie sarà motivata da una complessità di fattori in campo
non riducibile a una
lettura delimitata che illumina uno solo degli oscuri coni d'ombra proiettati con inquietudine sulla serrata,
difficile e, per certi versi, affascinante partita di transizione. Che ognuno giochi le proprie carte, che anche i
«deboli» si organizzino per giocare in proprio e non per interposta persona, anzi, che si organizzino per dare
il mazzo, senza accontentarsi dei miseri spazi di manovra consentiti dal micidiale gioco internazionale,
è anche
l'intento di una lettura più disincantata e più lucida possibile del reale e dei suoi duplicati
dissuasori.
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