Rivista Anarchica Online
Coerenze
di Carlo Oliva
Non credo che nessuno di noi si sia troppo stupito di fronte al messaggio con cui il papa, come se nulla fosse,
è intervenuto una volta di più nelle faccende profane italiane, spiegando ai vari Segni e
Martinazzoli che,
liberaldemocratici o no, se vogliono l'appoggio dei vescovi nella prossima difficile campagna elettorale
dovranno fare il santo piacere di mettersi in riga, cosa che entrambi, peraltro, si sono già dichiarati
dispostissimi
a fare. Il papa è polacco, e leader di statura e interessi internazionali, ma non per questo è
disposto ad
abbandonare al suo destino l'orto di casa: la sua organizzazione, nonostante tutto, continua ad avere la sede
centrale in Italia, e per farla funzionare la Santa Sede abbisogna più che mai della diuturna
disponibilità e
collaborazione del governo italiano. L'idea che quel governo possa essere formato o diretto da forze e/o persone
che non dipendano in alcun modo dall'approvazione e dal patronato della chiesa cattolica, dev'essere, per il
Vicario di Pietro, alquanto disturbante. E visto che sono parecchie le forze politiche autocandidatesi a
raccogliere l'eredità del compianto (dal papa) partito unico dei cattolici, e quindi bisognose di qualche
forma
di investitura, dovremo aspettarci, nell'immediato futuro, più un incremento che un decremento delle
pressioni
clericali nei nostri problemi interni. Non è la prima volta, e non sarà l'ultima.
Un vecchio nemico del popolo Se mai, quanti sono curiosi d'ideologia si
saranno divertiti al passaggio con cui il Santo Padre ha messo in
guardia dai «rischi di separazione che sembrano emergere nel Paese,» rischi che «vanno decisamente superati
con un onesto atteggiamento di amore per il bene della propria nazione e un comportamento di rinnovata
solidarietà.» Anche qui, non è la prima volta che Wojtyla scende in campo a difesa
dell'unità nazionale, ma non
lo aveva mai fatto in una forma così solenne. E visto che non occorre essere degli studiosi di storia del
risorgimento per sapere che la forza che più accanitamente al risorgimento si oppose e più
risolutamente ha
condannato l'idea stessa di unità nazionale italiana è stata appunto la chiesa, si potrebbe essere
tentati di
rimproverare all'erede di Pio IX (che in fondo non appartiene a un passato più remoto di quello dei
nostri
bisnonni) una certa pia disinvoltura nel cambiare opinione. È vero che Bossi e i suoi rappresentano, per
qualsiasi
partito moderato, laico o cattolico, dei concorrenti temibili, ma chiedere a un'organizzazione che vanta una
storia bimillenaria, e per di più ha il vizietto di asserire in varia forma la propria infallibilità,
di mantenere un
punto di vista stabile su un problema importante almeno per la bazzeccola di un secolo non dovrebbe essere una
richiesta eccessiva. Ma la coerenza, si sa, è un valore più facile da chiedere agli altri che
da mantenere per sé. E un papa che difende
l'unità nazionale, magari in nome di valori che la chiesa a suo tempo ha condannato con altrettanta
solenne
sicumera, come quelli del liberalismo e della democrazia, si inserisce bene nel quadro del nostro allegro paese.
Un paese in cui, come è successo in questi giorni, chi desidera, non importa per quali motivi, una lunga
permanenza in carica del governo presenta una mozione di sfiducia al medesimo e chi invece vuole liberarsene
al più presto cerca di mettere insieme una risoluzione di appoggio. In cui, se ricordiamo bene, è
stata presentata
come una grande conquista democratica l'introduzione di un sistema elettorale che priverà di ogni
rappresentanza metà circa dell'elettorato e al cui confronto dovremo rimpiangere la vecchia «legge
truffa» come
un modello irraggiungibile di correttezza formale. In cui le forze che si dicono di sinistra affermano soprattutto
la propria preoccupazione per interessi della grande industria e la tenuta dell'indice di Borsa, e vecchi arnesi
fascisti danno lezioni (non richieste) di ossequio alla volontà popolare. Un paese in cui si permette a
un vecchio
nemico del popolo come il noto Indro Montanelli, che per tutta una vita ha spiegato ai suoi lettori come il bene
generale si identifichi nella disponibilità dei lavoratori a sottomettersi senza fiatare alle esigenze e alle
volontà
del padronato, di figurare come un fulgido esempio di indipendenza e di ribellione alle sopercherie dei
padroni.
Libertà propria e altrui A proposito. Quest'ultimo caso, se mi
permettete, è forse quello che, tra tutti gli episodi citati, mi ha procurato
maggior fastidio sul piano personale. Non solo perché rappresenta un caso paradigmatico di incoerenza,
ma
perché mi sono sentito in qualche modo offeso nella mia (pur scarsissima) coscienza professionale
dall'affermazione, ripetuta un numero esagerato di volte da servi e zelatori d'ogni risma, secondo cui Montanelli
oggi sarebbe «il più importante giornalista italiano». Il giornalismo, specie in Italia, è
notoriamente una trista
professione, ma forse gli si fa torto elevandone a campione un tale figuro. Montanelli non è
personalmente
antipatico, e non sfoggia certo gli atteggiamenti servili di tanti suoi colleghi meno noti, ma non si può
considerare un paradigma di indipendenza professionale e morale chi, in cinquant'anni di carriera, ha
costantemente scambiato la propria libertà con quella degli altri. Chi ha sempre rivendicato per
sé e per pochi
suoi pari quell'autonomia di giudizio e quella facoltà di contrattazione che ha sempre negato alla massa
dei
poveri cristi qualunque. Ma proprio questo è il problema. Abbiamo già avuto occasione di
notare insieme, su
queste pagine, come la contraddizione tra la libertà propria e quella altrui rappresenti l'unica vera
antinomia
di fondo di ogni sistema che voglia definirsi democratico. Anche il papa, che si preoccupa tanto della
libertà
della sua organizzazione e dei suoi aderenti, non ha mai speso troppe parole per chi non ne fa parte. Ed
è proprio
su questo piano che un vecchio laico conclamato come Montanelli può dare idealmente la mano a
Wojtyla, o
(quanto a questo) un sedicente anticlericale come Pannella può ballare il trescone con i vari Formigoni
e Casini.
Nè gli uni nè gli altri si sentono in alcun modo obbligati a rinunciare a delle opzioni che poco
hanno a che fare
con quello che gli sta davvero a cuore, quello che, in definitiva, per loro è il problema vero: quello di
chi
comanda (loro) e di chi obbedisce (noi). Come nella pazzia di Amleto, nelle loro incoerenze c'è del
metodo.
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